«Abbiamo alcune regole, nel nostro club…» stava
dicendo l’uomo con gli occhiali. «Alcuni requisiti devono essere… rispettati, per essere ammessi».
L’uomo con gli occhiali tondi sollevò una mano
lunga e magra, con l’indice teso.
«Ogni membro del Club dei Cantanti Morti deve
essere stato in vita un musicista di un certo successo. Deve essersi lasciato
dietro un certo numero di fan». Fece una piccola pausa. «Deve essere morto di
morte violenta».
Gli altri annuirono, chi più chi meno.
Weasley si sporse leggermente verso di loro,
con un sorriso accondiscendente dipinto sul viso.
«Mi rendo conto» disse.
«Potrebbe venire al punto, signor Lennon?» chiese,
invece, Nastasia Scott-Greene, secca.
Lennon sobbalzò. Non era abituato a venir
redarguito. Poi annuì lentamente.
«L’ora sta per arrivare» divagò ancora. «Non ci
è rimasto molto tempo».
Gettò un’occhiata al grande pendolo. Era quasi
mezzanotte e venti.
«Non riusciamo a spiegarci perché» continuò «ma
non capiamo se Jimmy Razor soddisfa i criteri di selezione per entrare nel
club. In particolare… non riusciamo a capire se è morto o meno in modo
violento…»
«Potrebbe approfondire il concetto?» chiese Pennington.
«Che cosa intendete, con esattezza, con morte
violenta?».
Lennon sorrise, come se la domanda non facesse
onore all’interlocutore.
«Omicidio, overdose, suicidio, incidente
stradale… tutto quello che pone fine alla vita prima del tempo: questa è una
morte violenta». Sembrò quasi in imbarazzo. «Capisce che altrimenti… altrimenti
non sarebbe possibile il nostro incontro di stasera, per esempio. Solo quelli
che vengono strappati dalla vita possono… talvolta… a precise condizioni…
tornare indietro, se mi comprende».
Weasley Pennington annuì.
«Il cuore di Jimmy Razor si è fermato» disse
l’uomo di colore con la grande massa di capelli, continuando ad aspirare
tranquillo boccate dalla sua sigaretta arrotolata a mano «ma non sappiamo
perché». Sogghignò: «E non sappiamo nemmeno il perché non sappiamo il perché».
Morrison, dall’altra parte del tavolo, sbuffò.
«Le vie dell’eccesso conducono alla saggezza,
Jimi, questo è noto, ma qui non stiamo concludendo niente. Abbiamo eccesso in
abbondanza, ma saggezza poca. Siamo sicuri che questi signori ci possano
aiutare?».
Lennon lo guardò vacuamente: «Le loro referenze
sono impeccabili».
«Già, be’. Ma non stiamo cercando un fottuto
maggiordomo, John» commentò, sarcastico, l’uomo con i capelli biondi.
«Mi pare che fossimo tutti d’accordo nel
chiedere il loro… interessamento, Kurt» replicò, dolcemente, Lennon. Ma nella
sua voce, ora, c’era una sottile nota di ammonizione.
«E non abbiamo ancora accettato il caso» fece
notare Pennington, in tono neutro.
Attorno al tavolo ci furono varie occhiate
sconcertate. Le star lì riunite, era chiaro, si sentivano offese. La prima a
riprendersi fu la donna, che emise un sospiro triste, come se il mondo le fosse
appena stato deposto sulle spalle.
«Tuttavia state per farlo, no? Di “accettare il
caso”, come dite voi».
Pennington sorrise di nuovo, vagamente
enigmatico. Assomigliava sempre di più a un gatto che fa le fusa e, come un
gatto, sembrava pronto per farsi lisciare.
«Sarete ricompensati» disse Lennon, secco.
Nastasia rise. Una risata cristallina,
insolente, da bambina viziata.
Lennon si alzò in piedi, imitato dagli altri.
«Vi faremo avere un accordo» li informò, come
se il patto fosse ormai stipulato. E forse era proprio così, per quel che li
concerneva.
Cobain batté gli indici sul tavolo, prima il
sinistro e poi il destro, e viceversa. Li gratificò di un ultimo ghigno di
derisione, mentre il tempo in quattro quarti iniziava a formarsi.
Le fiamme, nel camino, si alzarono di colpo.
Cobain aggiunse al ritmo maggiore complessità e cominciò a fischiettare.
Le cinque figure iniziarono a rarefarsi, in un
processo contrario a quello dell’apparizione.
Nastasia fece in tempo a cogliere un
ammiccamento di sfida correre da Cobain a Lennon, prima che diventassero troppo
evanescenti perché si potessero leggere le loro espressioni. Lennon alzò ancora
una volta gli occhi al cielo, come se trovasse la provocazione puerile.
La musica continuò, crebbe di intensità, il
fuoco scoppiettò vivace, le lampadine tremolarono al ritmo del fischiettare
dell’uomo.
Una voce roca si inserì nel flusso,
evidentemente divertita.
Time, is on my side... yes, it is...
La pendola batté il suo silenzioso rintocco
della mezza sulle ultime parole udibili, prima che la stanza ritornasse al
silenzio.
Weasley Pennington e Nastasia Scott-Greene
erano ancora seduti al tavolo. Di fronte a loro non c’era più nessuno. L’unico
segno che qualcosa fosse successo era l’aroma dolciastro del tabacco nell’aria,
che si assottigliava sempre di più, fino a sparire.
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