mercoledì 26 ottobre 2011

Pierrot - 2

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Adesso, prima che ti racconti per bene come ho fatto a lasciarmi incastrare, voglio prima dirti in due parole com’è il posto in cui vivo e più o meno come funziona.

È una grande città del Nord. La più grande di tutte. La Città. Bravo, hai capito: vivo a New York.

Non ci vivo proprio sempre, anzi la maggior parte del tempo sono da qualche altra parte, ma New York è il posto dove devi lasciarmi un messaggio, se vuoi parlare con me.

Ho una casa da qualche parte, ma non ti dirò dove. Nessuno lo sa, a parte me, il che mi rende piuttosto felice.

Quando non lavoro a volte sono a New York, in questa casa. Quando lavoro a volte sono a New York, ma più spesso da tutt’altra parte. Come in un altro stato o in un’altra nazione, o magari anche in un altro continente. Capisci che è meglio non scendere troppo nello specifico.

A NY ci sono i tizi di cui ti parlavo prima, quelli meno pericolosi di me, ed è la gente che più o meno mi dà da mangiare. Mica sempre, non sono di loro proprietà, te l’ho detto.

Quei quattro tizi lì, in ogni caso, sono i miei clienti più affezionati. E io cerco sempre di curare i miei clienti, per quanto possibile.

Santos ha un paio d’anni più di me e vende armi. Non vecchie pistole col numero di serie limato, capisci, ma proprio scatole e scatole d’armi da guerra. Uzi, AK47, Remington, e anche roba più grande, tipo carri armati o elicotteri. In questo modo è diventato enormemente ricco, frequenta personaggi in vista e ha sempre quelli dell’NSA col fiato sul collo, per non parlare degli altri. Vedi, quelli dell’NSA se ne fottono del contrabbando, ma se la fanno in mano al pensiero che tutto quel ben di Dio circoli tra cammellieri dal grilletto facile. Mica come gli statunitensi.

Santos è molto alto e piuttosto magro, tanto per inquadrarti il tipo, con la pelle chiara e i capelli neri come l’ala di un corvo. È sempre stato di carattere glaciale, giusto per contraddire un altro po’ i luoghi comuni sui sudamericani, ed è efficiente come un computer. Non si muove più un granché da New York da quando la sua organizzazione è diventata così grande da poter competere con molte multinazionali e da quando si è fatto fregare dalla morettina con dieci grappoli di coglioni che è diventata sua moglie.

La quale si chiama Cora, è più fredda di lui e ancora più simile a un computer e non gliene frega un cazzo dei bambini sterminati in Angola. Penso che la notte, a letto, si connettano tramite USB o qualcosa del genere. Se avranno un figlio probabilmente lo chiameranno Figlio 1.0, Beta version.

Clyde è un bel tipo sulla trentina. Belloccio lo deve essere per forza, visto che ha iniziato a convincere strafighe a lavorare per lui contando solo sulla sua bella presenza. Adesso gestisce un grosso numero di night, alcuni bordelli, varie mandrie di puttane da strada e anche qualche produzione cinematografica hard-core. Nei suoi locali spesso si incontrano Santos e i suoi acquirenti, e Lester ci vende la sua roba.

Lester è matto come un cavallo. Ha iniziato pilotando aerei su e giù dal Messico, pieni di qualunque sostanza illegale gli capitasse sotto mano. Ora vola solo per divertimento anche se ti assicuro che salire su un biposto pilotato da lui è un’esperienza da farti raccomandare l’anima a Dio. Romano, infatti, non ha mai voluto provare l’esperienza, anche se Lester ha provato a convincerlo in tutti i modi.

Romano è figlio di Giuliano, Don Giuliano, e questo dovrebbe dire tutto su di lui e sulla sua Famiglia.

Sia Santos che Clyde che Lester lavorano più o meno per lui, e lui lavora per il vecchio. Il vecchio non è così vecchio, ha sessant’anni, e possiede mezza New York.

Salendo-salendo non c’è un negoziante di determinati quartieri che non gli paghi il pizzo, e una fetta di tutto quello che succede da queste parti finisce nelle sue capienti tasche.

Il termine corretto è Mafia, se te lo stai chiedendo.

Ora, la Mafia è una roba complessa. Ci sono famiglie, e strani legami, e gerarchie intricate, e se comincio a spiegarti tutto non finirò mai di raccontare.

Ci sono famiglie e clan e liberi imprenditori che gravitano nell’orbita di Giuliano. Poi ce ne sono altre che non lo fanno per niente, e questi sono considerati rivali.

Ce ne sono alcuni che sono Russi, ma non gli stessi russi che lavorano con Don Giuliano, e ci sono dei Cinesi, ma non gli stessi cinesi che lavorano con Don Giuliano, degli Ispanici e persino dei Giapponesi.

Uno li cataloga per etnia tanto per semplificarsi la vita, ma non sarebbe corretto sostenere che tutti i Russi sono russi, come non tutti gli Italiani sono italiani.

E poi ci sono io: il Francese, il Marsigliese, il Pierrot.

Capirai, infatti, che tutta questa gente, che se ne va più o meno tutta in giro armata, non sta brava e buona tutto il tempo. A volte i russi di Don Giuliano litigano con gli altri Russi, o con gli Ispanici, o magari con gli ispanici di Don Giuliano.

Io presto le mie particolari capacità a questo o a quello, quando proprio non si riesce a risolvere con una bella ammazzatina tra amici.

Perché - e questa è la differenza che corre tra me e loro - io sono un professionista solitario. Conosco tanta gente ma loro non conoscono me.

Se mi vuoi ingaggiare chiami un certo numero e parli con la mia segreteria.

E io ti richiamo.

Pierrot - 1

Altro racconto. Per le tematiche trattate, se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Tra tutti sono io il più pericoloso. Santos è freddo ed efficiente, Clyde è spietato e creativo, Lester non ha paura di niente e Romano è puntiglioso, ma io sono imprevedibile.

È per questo che, nel giro, mi chiamano Pierrot.

Hai mai visto la maschera del Pierrot? Con la faccia bianca e liscia, gli occhi come bottoni neri e quella lacrima di china che scende languidamente su una guancia?

Il Pierrot è melanconico, il Pierrot è spaventoso, sulla sua maschera non si legge altro che quello che c’è disegnato sopra. Il romantico Pierrot, il Pierrot crudele, il clown che piange, l’assassino che sorride. Il bizzarro, il grottesco. Quello che ride ai funerali, che tace nel frastuono, che saluta con un inchino dopo che tutti se ne sono andati.

Non assomiglio a Lui, esteticamente. A prima vista ti sembro un qualunque Pierre. Questo è più o meno il nome con cui sono nato, a Marsiglia, quasi quarant’anni fa.

Sono frrrrancese, e questo a volte si coglie nelle erre, quando parlo, sempre meno col passare degli anni, e nelle magnifiche imprecazioni che posso lanciare.

Pierre il Marsigliese è un altro dei nomi con cui mi chiamano, quando vogliono far capire fin dall’inizio che sono capace di tagliare una gola. Chissà perché il nome della mia città natale dà subito questa sensazione, come se Marsiglia e tagliagole fossero legate da qualche misterioso patto tra parole, in modo che se dici l’una non puoi fare a meno di pensare all’altra.

Ma se mi vogliono blandire, concupire, mostrare rispetto, mi chiamano sempre Pierrot.

Sono alto un po’ meno di un metro e ottanta, il che non fa di me proprio uno spilungone, ma neanche un nanerottolo. Sono… com’è che si dice? Ossuto.

Ossuto, strana parola. Non so se mi descrive correttamente. Di sicuro il mio naso e i miei zigomi sono affilati e il mento è duro, appena irruvidito dai peli biondi e spinosi che non ho mai voglia di rasare a pelle. Anche i miei capelli sono un po’ spinosi, lunghi fin sotto alle orecchie e stinti dal sole. Sono uno di quei biondi che se avessero i capelli tagliati a spazzola sarebbero biondo scuro, ma col fatto che li lascio crescere si sono scoloriti un bel po’ e in alcuni punti sono quasi bianchi.

Vedi, so di avere un aspetto da europeo del sud. Non c’è niente di burroso nei miei lineamenti, malgrado pelle e peli chiari. Anche i miei occhi, azzurro scuro, non hanno niente a che vedere con le pozze di acqua limpida e glaciale del nord. Piuttosto credo che ricordino le acque profonde del Mediterraneo, con quella sfumatura verdastra di un mare chiuso e umorale.

Sono… fibroso. È così che definiscono i tipi come me. Senza un solo grammo di grasso, dall’aria un po’ affamata, predatoria.

Alcuni si aspettano che un francese sia sempre elegante, ma non è il mio caso. Non riesco proprio a esserlo. Anche se mi infili uno smoking tagliato su misura, dopo neanche cinque secondi ricomincio a sembrare male in arnese. Non posso farci niente, fa parte di me.

Le camicie sembrano subito stazzonate, se le indosso io, e mi muovo in modo poco elegante, non saprei neanche spiegarti come.

Guarda, sembro sempre un cane che morde. Non che sta mordendo, ma che morde per abitudine. Di quelli che il proprietario, quando ti avvicini per accarezzarlo muove la testa per sconsigliarti e dice: “Non farlo. È una brava bestia, ma morde.”

Per fortuna non ho un proprietario. Non sempre, almeno.

Una bella fortuna, come dicevo, perché sono proprio il tipo da morsicare la mano che mi nutre, a lungo andare.

Gli Stati Uniti mi piacciono perché gli americani sono abbastanza stupidi da aver sempre bisogno di istruzioni.

Si aspettano sempre un bell’… uno: non fare questo, due: attento a quello, tre: chiedi prima a me.

È uno spasso.

Se non gli dai il loro un-due-tre non capiscono più una sega.

C’è bisogno che ti dica che io non do mai istruzioni?

Problemi di gestione

Blogspot mi sta dando dei problemi. Provo a caricare nuovi racconti, ma non me lo fa fare. Continuo a provare, ok?