lunedì 16 dicembre 2013

Anatomia di uno statista: un'anteprima di 34 pagine

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PREFAZIONE
Lawrell Hernandez

Quando mi è stato chiesto di scrivere la prefazione per la ristampa di questo libro, stavo facendo la doccia. Chiamano sempre quando stai facendo la doccia.
Ho preso la chiamata nella cabina e Hawne Kelly, il capoccia della Swan, mi ha chiesto: «Ti ricordi quella vecchia biografia non-autorizzata di Niccolò Romanoff? Stiamo per ristamparla e ci serve qualcuno per la prefazione. Che ne dici?».
Ho risposto le solite cose. Che ero molto lusingato, che proprio mi dispiaceva, ma che purtroppo...
«Non hai visto l’ologiornale» mi ha interrotto Hawne.
Solo Hawne è capace di chiamare le News “ologiornale”, tra parentesi. Comunque, no, non l’avevo visto. Stavo facendo la doccia.
Ora, se state leggendo questo libro, è chiaro che voi l’avete fatto, quindi avrete già capito che cosa successe dopo. Guardai le News e venni letteralmente inondato di Niccolò Romanoff, con due “f” e nessuna “v”.
Così, eccomi qua. Non me lo sarei perso per niente al mondo.
Per prima cosa, è stata una buona occasione per leggere Anatomia di uno statista.
Sì, so che cosa state pensando: ho dichiarato più volte di averlo letto ai tempi di Sahara Rising. Mentivo, che cosa vi aspettavate? Mettetevi nei miei panni: un giovane attore, semi-sconosciuto, viene chiamato a interpretare il ruolo di un famoso uomo politico in sostituzione di un altro attore, ugualmente giovane ma molto più conosciuto. Un cast internazionale, un grande regista, un successo annunciato... un cachet spaventoso. Dieci giorni per preparare la parte e la sensazione strisciante che se avessi toppato la mia carriera sarebbe finita prima di cominciare.
Voi avreste letto la biografia non-ufficiale del vostro personaggio?
Quindi, non mi vergogno ad ammettere che quando ho scritto questa prefazione avevo appena finito di leggere Anatomia di uno statista per la prima volta in vita mia.
E ora posso dire di aver fatto dannatamente bene, a non farlo all’epoca. Il perché lo capirete da soli tra qualche pagina.
Se avessi letto questa biografia non sarei mai riuscito a interpretare il Romanoff brusco e glaciale che tanto è stato amato – o detestato, è la stessa cosa – dal pubblico. Avrei cercato di interpretare un Romanoff cortese e trattenuto e non avrebbe funzionato. Solo lui riusciva a essere gentile e minaccioso nello stesso momento. E quello che si agitava nelle profondità della sua mente, non l’abbiamo mai visto.
Dopo aver letto Anatomia di uno statista mi sono reso conto di quanto la mia interpretazione, all’epoca, fosse stata viziata dalla mitologia che circondava Romanoff. Che, permettetemi di ricordarlo, non era morto da neanche dieci anni.
Romanoff mi era stato dipinto come un uomo efficiente e spietato, misogino, misantropo, profondamente conservatore, probabilmente corrotto e sicuramente fanatico. Potete capire come per me, all’epoca, questo fosse pressappoco il ritratto di Satana.
Interpretai Satana al mio meglio e sono lieto che la mia performance sia stata apprezzata dall’Accademy dei Kubrick Awards. Ma quello non era Niccolò Romanoff, ora lo so.
Era il prodotto delle mie più grandi paure, probabilmente, tutto qua.
Dopo aver letto Anatomia di uno statista sono giunto alla conclusione che Romanoff fosse un personaggio che nessuno avrebbe potuto interpretare, al di fuori di lui stesso.
Di certo era efficiente e spietato, ma era anche dedito oltre ogni dire al suo progetto. Non era affatto misogino, anzi, era l’esatto contrario della misoginia. Vedeva le donne per quello che sono: esseri umani come tutti gli altri. Non era conservatore. All’opposto, era un folle sperimentatore, un visionario, un politico profondamente iconoclasta.
Infine, non era un misantropo. Se pure non amava particolarmente la compagnia degli altri esseri umani, singolarmente presi, ogni sua azione, fin dalla gioventù, fu nell’interesse della collettività.
Da questo punto di vista, se volete, sì, era un fanatico. Un fanatico della società civile.
Si dedicò solo a questo per tutta la sua vita – e oltre, come ora sappiamo.
Ma non possiamo giudicare troppo duramente chi l’ha dipinto come un mostro senz’anima, un uomo senza scrupoli o Satana. Romanoff stesso, molto probabilmente, ne era deliziato.
Faceva parte del suo carattere. Indossava la sua cattiva reputazione come una corazza.
Solo una persona, mentre era ancora in vita, si avvicinò a comprenderne le profondità. Un altro uomo ossessionato, forse: l’autore di questo libro.
James Meyer dedicò quattro anni a una paziente opera di svelamento. Non lasciatevi ingannare dal suo tono scanzonato. Meyer verificò ogni fatto, seguì ogni pista e non trascurò nessuna possibilità pur di avvicinarsi alla verità che cercava.
Si introdusse in banche dati protette e scavò, scavò, scavò finché non trovò quel che cercava. Se prendete in considerazione il numero di filmati e documenti che riuscì a trovare, vi renderete conto dell’opera monumentale che è questo libro. Vi sono citati centinaia di episodi, vi compaiono le voci di decine di testimoni, in un gioco di incastri che dà quasi le vertigini.
Immaginate la quantità di materiale grezzo che ha analizzato, ricostruito, rimontato finché non ha trovato il suo posto nell’incredibile caleidoscopio dell’esistenza di Niccolò Romanoff.
E tutto questo solo perché la sua opera venisse superata e rimossa, sostituita dall’immagine più semplice che ci veniva consegnata da un attore di belle speranze in Sahara Rising.
Un attore che aveva semplicemente avuto la fortuna di essere alto e magro come Niccolò Romanoff.
È ingiusto.
Non pensate ora che io sia macerato dai sensi di colpa per la mia interpretazione. Non è così. Ma, tutto considerato, se Anatomia di uno statista vivrà una nuova vita più di settant’anni dalla sua prima edizione anche per merito del mio nome in copertina, non posso che esserne felice.
Non so se posso permettermi di dire che giustizia è stata fatta, ma almeno ci ho provato.
In quanto a Romanoff... a lui non importerebbe in ogni caso.
A lui non importa. Per fortuna.

© Swan Publishing 2243, Sahara City. Il testo redatto da Mbote Redhill è stato letto e approvato da Lawrell Hernandez e dai legali dello studio associato York&Sons, Capital, Sahara City.


Introduzione. [...]
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Continua a leggere l'anteprima (34 pagine totali)...

domenica 15 dicembre 2013

Anatomia di uno statista: copie recensione


Se sei un giornalista, un recensore, un blogger o un calciatore di serie A, puoi avere una copia recensione di Anatomia di uno statista. Basta che tu ti impegni a recensirlo usando i tuoi canali (o, se sei un calciatore di serie A, a leggerlo - qua si lavora anche per il sociale).
Manda un'email a srauleATgmail.com oppure un MP al profilo Facebook ufficiale specificando per quale testata scrivi, e riceverai una copia omaggio in formato epub o pdf.
Semplice, no?

sabato 14 dicembre 2013

Anatomia di uno statista


Questa è la storia di un uomo nato con il nuovo secolo, nel 2100. Un uomo che aveva un sogno - un sogno che mai nessuno ha capito con esattezza quale fosse.
Nel 2124 ha suggerito a Rockwell la legge che gli sarebbe costata la testa. 
Nel 2125 ha innescato la Congiura dei Dottori che avrebbe portato alla morte del Doge.
Nel 2129 ha ispirato l’omicidio di un primo ministro.
Nel 2143 ha creato un’agenzia di sicari istituzionali e li ha sguinzagliati nel Paese.
Questa è la storia di un uomo che non credeva nell’uguaglianza, non credeva nella democrazia, non credeva nella libertà.
Niccolò Romanoff credeva solo nei risultati. Ed è stato il miglior uomo politico di Sahara City.
Questa è la sua storia, o meglio... la sua biografia non-autorizzata.

Un affresco fantapolitico lungo due secoli. La storia di una nazione. Con un numero più che rispettabile di morti improvvise.

SUSANNA RAULE - ANATOMIA DI UNO STATISTA
DAL 20 DICEMBRE IN E-BOOK


martedì 23 luglio 2013

Sensi Location Tour

Aggiorno l'elenco delle puntate del Sensi Location Tour, ossia la guida turistica non molto seria della Spezia, realizzata seguendo gli itinerari di Ermanno nei romanzi.

INTRODUZIONE: ovvero come sopravvivere se capitate in città.
PRIMO ITINERARIO (prima parte): il centro storico.
PRIMO ITINERARIO (seconda parte): il centro storico bis.
SECONDO ITINERARIO: il quartiere umbertino, anche detto Piazza Brin.
TERZO ITINERARIO: i parchi cittadini.
QUARTO ITINERARIO: Decò e razionalismo

Di molti itinerari potete trovare più foto sulla mia pagina Facebook ufficiale.


venerdì 12 luglio 2013

L'ombra del commissario Sensi con il Sole 24 Ore


Il 17 agosto L'ombra del commissario Sensi uscirà in allegato con il Sole 24 Ore a un prezzo davvero conveniente. 
Il piano dell'opera vi dice già che Sensi è in ottima compagnia. Questi i primi titoli:

1. Bruno Morchio, Bacci Pagano. Una storia da carruggi.
2. Valerio Varesi, Il commissario Soneri e la mano di Dio.
3. Marco Vichi, Commissario Bordelli.
4. Loriano Macchiavelli, Sarti Antonio: un diavolo per capello.
5. Massimo Cassani, Pioggia battente.
6. Susanna Raule, L'ombra del commissario Sensi.
7. Gianni Biondillo, Con la morte nel cuore.
8. Cristina Rava, Un'indagine al nero di seppia.
9. Rosa Mogliasso, L'assassino qualcosa lascia.

Tutte le informazioni del caso sul sito del Sole 24 Ore - Noir Italia.

Ermanno Sensi Location Tour - Il Centro storico (2)

Con colpevole ritardo, vi segnalo che è uscito il secondo opuscolo dedicato al centro storico. QUA.
Lunedì il terzo.

lunedì 24 giugno 2013

La Spezia Ermanno Sensi Location Tour

Sta arrivando l’estate…

Sta arrivando, giusto?

Diciamo che sta arrivando.

Arriva l’estate e alcuni di noi vanno persino in vacanza. Quelli che non ci vanno fisicamente, ci vanno con la mente, magari. Che uno vada in vacanza con tutto il corpo o solo con il cervello, scegliere la meta giusta è molto importante.

Da quando scrivo libri, mi è successa più volte una cosa strana. Persone che li avevano letti mi scrivevano dicendo che avevano voglia di venire a vedere la mia città. La Spezia.
Perché avessero questo desiderio insano ancora non mi è chiaro, ma ho deciso di venire loro incontro.

Così, durante l’estate, pubblicherò una specie di guida turistica basata sui luoghi dei libri. Scritta a modo mio. Non il genere di opuscolo che trovereste all’ufficio del turismo, probabilmente.

In questa fine di giugno cominciamo con un’introduzione: dieci regole per sopravvivere alla mia città.

Norme elementari di sopravvivenza se capitate a Spezia

1. Nessuno chiama “La Spezia” La Spezia. È solo Spezia. Se usate l’articolo vi identificherete subito come foresti (forestieri) e a noi i foresti non piacciono. Se vi adeguate alle abitudini del luogo e chiamate la città semplicemente Spezia (e se non avete un accento foresto troppo evidente), gli spezzini vi tratteranno come se foste del luogo. Cioè, di merda.

2. Gli spezzini disprezzano i turisti. Nonostante questo Spezia è una città piuttosto turistica. Ci sono un sacco di alberghi, di bed&breakfast, di ristorantini e così via. In media, i gestori vi tratteranno male. Al meglio vi sopporteranno a stento. Fa parte della tipicità locale. Potete dire che siete in città per trovare un amico, ma tanto vi tratteranno male lo stesso. [CONTINUA QUA]

Come vedete, ho deciso di creare dei veri e propri fascicoli. Potete leggerli gratis su Yudu.

Ne uscirà uno ogni settimana di qua alla fine di agosto.

Se l’idea vi piace, condividetela. Se non vi piace, andate a far ehm. Ognuno ha i suoi gusti.

lunedì 6 maggio 2013

Preda naturale

(Ancora per promuovere il nuovo sito di racconti StoryBox.)
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Volevo essere un assassino. Se fossi stato un assassino avrei potuto uccidere Bobby Sinclaire, e se c’era uno che meritava di morire quello era Bobby.
Bobby aveva tredici anni, ossia uno più di me, ma a vederlo ne dimostrava almeno sedici. Era il ragazzo più grande della classe e questo, per qualche motivo incomprensibile, ne aveva fatto anche il capo.
Mi aveva odiato fin dal primo istante e le cose, col tempo, non erano migliorate. Il primo giorno di scuola mi aveva puntato addosso i suoi piccoli occhi scuri come se sapesse già chi ero. Era come se mi avesse individuato con un mirino, come se il suo cervellino ottuso fosse in grado di riconoscere all’istante la sua preda naturale.
Ossia, io. CONTINUA A LEGGERE.

giovedì 2 maggio 2013

Ordinaria manutenzione


(Per promuovere il nuovo sito di racconti StoryBox. Potete iniziare a leggerlo qua, ma dovrete finire di là.)

Il commissario Ermanno Sensi non amava la natura. Non la detestava nemmeno, finché non era costretto a starci dentro, ma i paesaggi suggestivi e selvaggi non lo coinvolgevano, le meraviglie incontaminate di campagna, montagna o mare lo lasciavano indifferente e la primavera gli procurava dei picchi ormonali di natura strettamente urbana.
Purtroppo, però, la gente aveva la nefasta tendenza a morire nel verde.
Era un fenomeno ben documentato. Se gli omicidi avvenivano per lo più nel comfort di un’abitazione privata, le morti accidentali capitavano quasi per definizione in posti scomodi da raggiungere, umidi e in cima a una salita.
La vittima di quel giorno non faceva eccezione [...] CONTINUA A LEGGERE

giovedì 21 febbraio 2013

Wannabe

Questo racconto è stato scritto per il primo numero della rivista Denti  (Ed. Inkiostro) del luglio 2010. Era il periodo di massimo fulgore della moda "Twilight" e io ne avevo fin sopra i capelli dei vampiri belli e affascinanti. "Wannabe" è il mio personale contributo all'argomento.
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Il più grande desiderio di Lucy Mae era diventare un vampiro. Aveva dei motivi solidissimi per desiderarlo, il primo dei quali era che essere un vampiro avrebbe risolto la sua adolescenza.
Un vampiro, tanto per cominciare, non deve andare a scuola. Anzi, meglio, non può, visto che non può sopravvivere alla luce del sole.
Lucy Mae aveva analizzato attentamente la questione e aveva concluso di non doversi preoccupare delle scuole serali. Aveva persino preso un opuscolo con gli orari, ottenendo così una conferma delle sue supposizioni: nemmeno la più serale delle scuole iniziava dopo il calar del sole durante tutto l’anno.
Il fattore scuola, comunque, era solo il più evidente dei vantaggi dell’essere un vampiro.
Visto che era una ragazza precisa, aveva fatto un elenco:
1) niente più verdura
2) niente più coprifuoco
3) niente più ginnastica
I primi tre punti bastavano a risolvere metà dei suoi problemi. Inoltre c’erano altri vantaggi accessori: superforza, vista notturna, pelle splendida, niente più visite dal dentista…
Lucy Mae aveva provato a pensare anche agli svantaggi, ma le erano sembrati minimi. Certo, non avrebbe più potuto prendere il sole, ma era un problema marginale. Anche in questo c’era un lato positivo: non le sarebbe mai venuto un melanoma. Anzi, non le sarebbe mai venuta nessuna malattia.
Ogni volta che pensava a un possibile svantaggio le venivano in mente almeno due nuovi punti a favore.
Alimentazione monotona? Sì, ma non sarebbe mai stata a rischio obesità.
Provocare terrore negli altri? E questo che cos’era, uno svantaggio?
Veder morire tutti i propri amici di vecchiaia? Lucy Mae era pronta a vederli morire anche prima, per quel che valevano.
Dormire in una bara… be’, se si fosse rivelato indispensabile, Lucy Mae era sicura che ce ne fossero alcune comode.
Aveva una soluzione per tutto: la croce, l’aglio, l’acqua santa, l’argento, gli specchi… Per quanto riguardava l’avversione per la croce e l’acqua santa, era un’ottima scusa per non dover più andare alle funzioni. L’aglio lo odiava già. Con gli specchi non aveva mai avuto un buon rapporto. Avrebbe evitato gli orecchini d’argento.
Insomma, diventare un vampiro sembrava la soluzione perfetta.
C’era solo un problema: non aveva idea di come riuscirci.

***

Consapevole del fatto che non esistono problemi senza soluzione – brufoli esclusi – aveva iniziato a fare ricerche in internet. Il modo più semplice, ovviamente, era quello indicato nella maggior parte dei siti: farsi mordere da un vampiro. Sulla modalità precisa le opinioni erano discordanti. C’era chi diceva che bastava un morso qualunque, chi sosteneva che ne servivano diversi, chi asseriva che fosse necessario uno scambio di sangue con il vampiro donatore.
C’erano poi dei metodi di efficacia meno comprovata: uccidere sette uomini e berne il sangue (blea), essere il settimo figlio di un settimo figlio (impraticabile, entrambi i suoi genitori avevano a malapena un fratello a testa), essere seppelliti in terra sconsacrata (fattibile, ma prima avrebbe dovuto morire), suicidarsi (idem), essere morsi da un pipistrello (che schifo), bestemmiare (provato: non funzionava), fare un patto col diavolo…
Fare un patto col diavolo sembrava promettente, ma dopo diversi tentativi Lucy Mae era arrivata alla conclusione che o il diavolo non esisteva o non aveva alcuna voglia di parlare con lei.
Scoraggiata, stava quasi per desistere, ma poi le era venuta un’idea.
Il fatto che lei non conoscesse vampiri non voleva per forza dire che non potesse conoscerne. In fondo internet serviva proprio a questo: mettere in contatto persone che abitavano in posti molto lontani tra loro. E, ok, anche per trovare dei temi su Shakespeare già fatti.
Aveva messo un annuncio. L’annuncio diceva così:

AAA, vampiro cercasi. Ragazza sedicenne, sana, fortemente motivata, cerca vampiro per contagio. Astenersi impostori.

Le risposte avevano iniziato ad arrivare quasi subito, ma non tutte erano state soddisfacenti. Un utente anonimo le aveva detto, senza giri di parole, che i vampiri erano passati di moda e che avrebbe fatto meglio a cercare di diventare un trans. Un altro si offriva di morderla pur essendo un normalissimo essere umano – sul “normalissimo” Lucy Mae aveva i suoi dubbi. Una donna sosteneva che avrebbe pregato per lei. Un tizio le proponeva un siero vampirizzante a soli 9.99$. Qualcuno le aveva chiesto un appuntamento. La maggior parte aveva iniziato a parlare di Twilight, ma nemmeno Lucy Mae era così disperata da rispondergli.
Aveva iniziato a pensare di non avere speranze.
Avrebbe dovuto rassegnarsi all’adolescenza, alla scuola, ai brufoli, alle verdure e al dentista.
Era incredibilmente ingiusto, ma iniziava a sospettare che il mondo fosse un posto ingiusto e che, in fondo, non ci fosse una soluzione a ogni problema, proprio come non c’era una soluzione ai brufoli.
Iniziò ad accarezzare l’idea di diventare anoressica, ma la scartò quasi subito: le anoressiche, probabilmente, dovevano andare a scuola comunque.
Stava per fare comunque un tentativo, quando finalmente un vampiro rispose.

***

La lettera non era molto incoraggiante. Il vampiro chiedeva una serie di informazioni difficili da procurarsi: il suo gruppo sanguigno, una fototessera, un elenco delle malattie esantematiche che aveva avuto, un albero genealogico fino alla quarta generazione e l’assicurazione di non essere emofiliaca.
In cambio si offriva di dimostrare aldilà di ogni ragionevole dubbio di essere un vero vampiro.
Lucy Mae non era sicura che non fosse un impostore, ma finché non le chiedeva dei soldi poteva concedergli il beneficio del dubbio.
Ricopiò la lista come se fosse un compito scolastico e la portò a sua madre.
Se c’era una cosa a cui sua madre teneva era che Lucy Mae andasse bene a scuola. Si mise immediatamente in moto e, due giorni più tardi, le fece avere tutte le informazioni richieste. In questo modo Lucy Mae scoprì anche che le malattie esantematiche erano varicella, orecchioni e affini.
Speranzosa, mandò la sua risposta al vampiro.
A questo punto, Lucy Mae temeva che lui non si sarebbe più fatto vivo, ma il vampiro rispose subito: come promesso, le avrebbe fornito una prova inconfutabile della sua vampiricità. Le chiese di indicargli un luogo in cui incontrarsi dopo il calar del sole.
La seconda cosa a cui la madre di Lucy Mae teneva moltissimo, oltre al fatto di andare bene a scuola, era che non frequentasse cattive compagnie. Questo era il motivo per cui non poteva andare a ballare e non poteva mettere piede nei bar.
Lucy Mae era consapevole del fatto che dare appuntamento al vampiro in un bar sarebbe stato molto più appropriato che dargli appuntamento da Mac Donald, ma non aveva scelta. Se qualcuno l’avesse vista in un bar sua madre l’avrebbe ammazzata.
Vergognandosi come una spia, scrisse al vampiro che si sarebbero visti sabato sera alle sette al Mac Donald più vicino a casa sua. Poi disse a sua madre che sabato sarebbe andata a mangiare con le sue amiche e, dopo varie contrattazioni sull’orario di rientro, sua madre le diede il permesso.
A questo punto aveva due giorni per prepararsi al grande incontro.

***

Avrebbe voluto vestirsi in modo appropriato, solo che non sapeva quale fosse l’abbigliamento appropriato per andare a conoscere un vampiro. Forse qualcosa di nero. Forse qualcosa di sexy. O forse niente di tutto questo.
Aveva però un’idea piuttosto precisa di quale fosse l’abbigliamento appropriato per andare da Mac Donald. E per non far diventare isterica sua madre.
Optò per un paio di jeans, una t-shirt bianca e delle scarpe da ginnastica di tela blu. Si guardò allo specchio (forse per l’ultima volta) e pensò che aveva l’aspetto meno vampirico del mondo.
Suo padre, forse vedendola così poco vampirica, le prestò la macchina. Era una Prius, e anche quella non aveva assolutamente niente di tenebroso. Al massimo, ecologico.
Durante il tragitto fino a Mac Donald, Lucy Mae cercò di immaginarsi il suo ospite.
Per prima cosa, poteva essere un qualunque ragazzetto dei dintorni. Era pronta a una delusione del genere.
Poteva essere un signore anziano. In quel caso se ne sarebbe andata alla velocità della luce. Non era ancora troppo tardi per incontrare un pedofilo, come le diceva sempre sua madre.
Poteva essere un sacco di cose, ma poteva anche essere un vero vampiro.
Lucy Mae lo sperava con tutto il cuore.
Arrivò nel parcheggio del Mac Donald e lasciò la Prius di suo padre il più vicino possibile alle porte scorrevoli. Si assicurò di aver chiuso bene la portiera. Controllò che i fari fossero spenti.
Poi, visto che non aveva più uno straccio di motivo per rimanere nel parcheggio, si decise a entrare.
Il fast-food era pieno di gente. C’erano dei ragazzi più o meno della sua età, delle famiglie e, specialmente, una marea di bambini.
Si mise in coda a una cassa, pensando che sedersi senza aver ordinato sarebbe sembrato strano. Quando fu il suo turno, si rese conto di non avere fame. Non solo non aveva fame, aveva lo stomaco completamente tappato. Prese comunque un Big Mac Menù.
Si sedette a un tavolo e iniziò a guardarsi intorno.
Forse il vampiro non sarebbe venuto.
Probabilmente era solo uno scherzo, scema lei a cascarci.
Si mise in bocca una patatina e fece uno sforzo per masticarla e deglutirla.
Forse doveva aspettarlo nel parcheggio.
Ma no, non sarebbe venuto.
Erano già le sette e cinque, non sarebbe venuto di sicuro.
“Ciao, tu sei Lucy Mae?” chiese una voce, esattamente davanti a lei.

***

Lucy Mae alzò lo sguardo. Aldilà del tavolo c’era un tizio con un vassoio in mano. Sopra il vassoio c’era una coca-cola. Ancora più sopra c’era la faccia del tizio, che la guardava con le sopracciglia inarcate.
“Ehm, sì. Sono Lucy Mae,” disse, dubitativa.
Il tizio si sedette e piazzò il vassoio davanti a sé, sul tavolo.
“Io sono Deonne,” disse.
“Don?”
L’altro fece una smorfia. “D-e-o-n-n-e,” compitò, con vago accento britannico. “Se proprio non riesci a pronunciarlo puoi chiamarmi Dean.”
Lucy Mae lo osservò attentamente. Ok, era pallido. Ok, non era un ragazzo dei dintorni. Ok, non era vecchio – almeno, non lo sembrava. Sembrava un tizio sulla ventina, con una faccia piuttosto normale.
“Sarebbe un nome antico o roba del genere?” chiese. Non aveva il coraggio di fare domande dirette sulla sua età o sul suo vampirismo.
“Sarebbe il prodotto di due genitori sciroccati,” rispose l’altro, con una scrollata di spalle. “Io ho trentadue anni. Oppure vent’uno, come preferisci.”
“E saresti…”
“Un vampiro. Non cercavi un vampiro?”
Lucy Mae deglutì. “Già,” ammise.
Deonne le rifilò un sorriso promozionale e allargò le braccia. “Ta-daa.”
“Non dicevi… ehm. Non dicevi che mi avresti, ecco…”
“Dato una prova? Come no. Finisci di mangiare, se vuoi. È meglio se andiamo in bagno.” Deonne diede una ciucciata alla cannuccia della sua coca e, allungando una mano verso le sue patatine, aggiunse: “Ti dispiace?”
Lucy Mae scosse la testa.
Deonne si infilò la patatina in bocca, la masticò per un po’ e poi la sputò in un tovagliolino di carta. “Adoro le patatine,” spiegò, in tono conversevole.
Lucy Mae si limitò a osservarlo in silenzio, sospettosa.
“Una cosa non smette di piacerti solo perché non puoi più farla, no?” disse l’altro, e ciucciò un altro po’ di coca.
“Ma quella la stai bevendo,” fece notare Lucy Mae.
“Già,” ammise l’altro. “Con i liquidi è più facile. Non mangi?”
Lucy Mae scosse la testa. “Che cos’altro non puoi fare?” chiese.
“Abbronzarmi,” rispose Deonne, un po’ seccamente. “Senti, se hai finito, che ne dici di andare in bagno?”
Lucy Mae tentennò. “Immagino che tu non possa farmelo vedere qua, eh?”
“Immagino che tu non sia poi così fortemente motivata. Sai, quasi nessuno lo è. È il ventisettesimo annuncio a cui rispondo. Nessuno è andato oltre il bagno. Sei la prima che mi dà appuntamento da Mac Donald, però.”
Un po’ scocciata, Lucy Mae si alzò in piedi. “Era solo una domanda. Forza, andiamo.”
L’altro le rifilò un sorriso di sufficienza. “Come vuoi,” disse, alzandosi a sua volta. Era poco più alto di lei, notò Lucy Mae, e indossava dei comunissimi jeans.
Lo seguì verso la porta della toilette, che per fortuna era una sola per gli uomini e per le donne. Era anche una porta basculante, quindi, pensò, se quel tizio allungava le mani poteva sempre urlare.
“Non ho nessuna intenzione di allungare le mani,” precisò l’altro, spingendo la porta.
Lucy Mae lo fissò in silenzio, senza entrare.
“Allora?” fece lui, vagamente seccato.
Lucy Mae si decise a seguirlo.

***

L’anticamera del bagno era piccola e quadrata. C’era un lavandino doppio, uno specchio e due porte, una per i maschi e una per le femmine. C’era anche una signora in fila.
Deonne il vampiro si appoggiò a una parete con l’aria di quello che aspetta il suo turno.
“Quello degli uomini è libero,” si sentì in dovere d’informarlo, la signora.
“Ah, grazie,” sorrise lui, e entrò.
Lucy Mae rimase in attesa. Dal bagno degli uomini non proveniva alcun rumore. Poi si sentì un conato.
“È un tuo amico?” chiese la donna.
“Una specie.”
“Penso che stia male.”
Lucy Mae sorrise nervosamente. “È intollerante al lattosio. Gli ho detto di non bere il milk-shake.”
La donna forse avrebbe aggiunto qualcosa, ma in quel momento si liberò il suo bagno.
Una volta sola, Lucy Mae bussò all’altra porta. “Ti senti bene?” chiese.
“’nsomma,” rispose una voce attutita. Poi la porta si aprì. “Entra un attimo.”
Lucy Mae non era del tutto sicura di volerlo fare, ma il cosiddetto vampiro l’aveva già tirata dentro. Si richiuse la porta alle spalle.
“La coca-cola,” spiegò, con aria sofferente, sciacquandosi la faccia. Si asciugò con un tovagliolo di carta e tornò a guardarla. Dietro di lui lo specchio lo rifletteva fedelmente.
“Sì, quella è una cazzata,” spiegò Deonne, seguendo il suo sguardo. “Anche le croci e l’argento. L’aglio è semplicemente fastidioso, e solo se non ti piace l’aglio.”
“E che cos’è che non è una cazzata?” chiese Lucy Mae, facendosi forza.
“Queste,” rispose il vampiro e sorrise di nuovo. I suoi canini, ora, erano decisamente più lunghi del normale. Si udì un lieve rumore e i canini rientrarono parzialmente nelle gengive. Si udì di nuovo e, di nuovo, fuoriuscirono.
“Fico,” commentò Lucy Mae.
“E anche questo,” continuò Deonne, come se non l’avesse nemmeno sentita. Abbassò la bocca sulla propria mano e diede un lieve morso. Le mostrò la mano. Due gocce di sangue stavano scivolando giù, tra le sue dita. Un istante dopo le due punture erano di nuovo chiuse e Deonne si sciacquò la mano sotto il getto del lavandino.
“È…” iniziò a dire Lucy Mae, completamente avvinta.
“È l’ora di uscire, se non vuoi che la signora pensi che ci stiamo facendo una sveltina.” 
Lucy Mae sgranò gli occhi e si affrettò a riaprire la porta.
La signora era proprio lì fuori.
“Tutto bene?” chiese, in tono falsamente premuroso.
“Gliel’ho detto. È intollerante al lattosio,” ribatté Lucy Mae, in tono di sfida.
“Terribilmente intollerante,” confermò Deonne, dietro di lei. “Non avrei dovuto farlo.”
Quando uscirono dal bagno, Lucy Mae stava ancora ridacchiando.

***

“Ok,” disse, quando furono nel parcheggio, accanto alla Prius di suo padre, “che cosa devo fare per diventare un vampiro?”
“Farti dissanguare fin quasi alla morte e poi bere il mio sangue,” rispose l’altro, stringendosi nelle spalle.
Lucy Mae deglutì. “Questa cosa me la devi spiegare per bene,” disse.
“Tanto non hai intenzione di farlo sul serio,” ribatté lui. “Anzi, non mi credi nemmeno. Pensi che sia tutto un trucco, che io abbia delle protesi strafighe e che faccia solo finta di essere un vampiro.”
Si avvicinò di un passo e la guardò negli occhi, aggrondato.
“Pensi che se io fossi un vero vampiro ti avrei già morsa.”
“Non stavo pensando quello,” disse lei.
“Non ti posso leggere nella mente,” ribatté lui.
“Prima l’hai fatto.”
“Prima ho tirato a indovinare.”
“E non mi hai spiegato niente.”
Deonne sospirò. “O lo vuoi o non lo vuoi, è semplice. Non ho tutta la notte. Devo ancora mangiare.”
“Quindi morderai qualcuno, giusto?”
“Non ho intenzione di fartelo vedere.”
“Chiedevo soltanto.”
“Era tanto per chiarire.”
Lucy Mae sospirò. “Che cosa non puoi fare, a parte mangiare e bere?”
“E prendere il sole.”
“E prendere il sole, ok. Dormi in una bara?”
L’altro scosse la testa.
“Hai un lavoro?”
L’altro scosse di nuovo la testa. “Mi hanno licenziato, se vuoi saperlo.”
“Non uccidi, tipo, le persone?”
“Sono un vampiro, non un’idrovora. Una volta che ho bevuto le mie due pinte sono a posto.”
Lucy Mae incrociò le braccia. “E come fai a bere le tue due pinte?”
“Non lo vuoi sapere sul serio.”
L’altra inarcò le sopracciglia. “Oh, sì che lo voglio sapere sul serio.”
“Dipende. Di solito pago. Ma, come ti dicevo, mi hanno licenziato.”
Tutta la faccenda era molto strana. “Paghi? Paghi in che senso? E perché ti hanno licenziato?”
Deonne sospirò e si appoggiò contro la sua macchina. “Non sapevo che fosse un colloquio di lavoro.”
“Come fai con i documenti? Chi ti ha fatto diventare un vampiro? Puoi ancora fare sesso? Fai la pipì?” incalzò Lucy Mae.
Deonne socchiuse fece una smorfia. “Insomma, vuoi scrivere un articolo o che cosa?”
“Eh?”
“Sai qual è il punto? Io sono una fottuta creatura soprannaturale e nessuno di voi wannabe ha il minimo rispetto per la cosa.”
“Be’, potresti provare con un mantello nero foderato di rosso!”
“E voi potreste provare con un po’ di educazione!”
Lucy Mae lo guardò. Era davvero irritato e forse anche un po’ infelice. Che cazzo, non sembrava così privo di problemi. Tanto per cominciare, non aveva un lavoro.
“Spiegami almeno perché sei disposto a farmi diventare un vampiro,” disse, in tono più civile.
L’altro si limitò a guardarla con odio.
“Per la tua cazzo di paghetta settimanale,” disse, sarcastico, prima di girare sui tacchi e mollarla lì, nel parcheggio allegramente illuminato del Mac Donald.

***

Non era stato un grande successo. Anzi, era stato un fiasco completo.
Per prima cosa non era diventata un vampiro. E poi, non era nemmeno più tanto sicura di volerla diventare.
Per esempio, non aveva pensato al fattore economico. Che razza di lavoro poteva fare un vampiro? Il sorvegliante notturno? Non le veniva in mente nient’altro.
Nei film e nei libri la questione non veniva mai affrontata in modo esaustivo. I vampiri non avevano mai bisogno di soldi, ne avevano sempre a palate.
Quel tizio, Deonne, non sembrava tanto ben fornito.
Non sembrava che il vampirismo avesse risolto tutti i suoi problemi.
E poi, in ogni caso, Deonne si era scocciato e se n’era andato. Probabilmente era stata colpa sua. Era stata davvero insopportabile. E la faccia che aveva fatto quando gli aveva chiesto perché era disposto a farla diventare un vampiro? Probabilmente si sentiva solo, e lei era stata sensibile come una pietra.
Così il suo eccitante sabato sera si era concluso in un niente di fatto e adesso aveva anche fame. I suoi erano chissà dove, convinti che la figlia fosse a divertirsi con gli amici.
Rattristata, scese al piano di sotto e aprì il frigo. La domenica era il giorno libero della donna di servizio, quindi era probabile che avesse lasciato qualcosa di già pronto per il giorno dopo.
Sì, c’era una pirofila coperta di domopak.
Leggermente rincuorata, Lucy Mae rimosse il domopak e iniziò a mangiare a forchettate il pasticcio di pollo. Decisamente, l’anoressia non era alla sua portata.
E, a quel che pareva, neanche il vampirismo.
Se solo sua madre non avesse insistito così tanto con la scuola… ma no, prima di fare qualsiasi cosa doveva diplomarsi, punto. Come se lei si fosse mai diplomata.
Lei a diciassette anni ancheggiava già in passerella, mentre Lucy Mae doveva fare la studentessa modello.
Lei si era sposata la prima volta a vent’anni, la seconda a ventidue e la terza a ventiquattro.
Lucy Mae, probabilmente, sarebbe rimasta zitella, vista la vita sociale che le permettevano di avere.
Ricoprì la pirofila con il domopak e la rimise in frigo.
Il mondo era un posto raccapricciante.

***

Si mise a letto presto, visto che tanto il suo sabato sera era naufragato prima ancora di cominciare. Non che avesse sonno.
Si rivoltò per un po’ tra le lenzuola, cercando di non pensare alla sua quasi-vampirizzazione.
Mentre stava quasi per addormentarsi, sentì un leggero rumore provenire dalla terrazza. Se era ancora uno scoiattolo che veniva a lasciarle delle cagatine sulla sdraio, l’avrebbe ucciso.
Non capiva perché i suoi avessero voluto un giardino così boscoso. Sì, certo, la privacy – ma non avevano pensato che tra gli alberi tende a vivere ogni genere di animale pernicioso?
Irritata, ormai senza più speranza di addormentarsi, Lucy Mae andò a controllare che cosa stava succedendo fuori. Per sicurezza, prese anche un vecchio top che non metteva più. Poteva usarlo per spaventare l’animaletto, qualsiasi cosa fosse.
“Scoiattolo di merda, ora ti faccio vedere io se…” iniziò a dire, minacciosa, roteando il top.
“Credo che ti servirà qualcosa di un po’ più grosso per mandare via me,” disse una voce, dal confine buio della terrazza.
Lucy Mae fece un passo avanti e le luci esterne si accesero automaticamente.
Appoggiato contro il davanzale, pallido come l’ultima volta in cui l’aveva visto, c’era Deonne.
“Cavoli, mi hai fatto venire un colpo,” tartagliò Lucy Mae, abbassando l’inutile top.
L’altro sorrise. “Sono venuto a fare pace.”
Lei si strinse nelle spalle. “Già, be’, fantastico. Come hai fatto ad arrivare fin qua?”
“I vostri allarmi non sono un granché, se puoi saltare tre metri e venti da fermo,” spiegò Deonne, vagamente ironico. “Mi fai entrare?”
Lucy Mae rise. “Hai bisogno che ti inviti?”
Deonne si limitò a scivolarle accanto. “No,” rispose, infilandosi in camera sua.
Si andò a sedere sul suo letto. “I tuoi non ci sono, se non sbaglio,” disse. Sembrava rilassato, a suo agio, vagamente divertito, come se la discussione di poche ore prima non ci fosse mai stata.
Lucy Mae entrò a sua volta in camera, un po’ sospettosa. Aveva preferito di gran lunga quando si erano incontrati fuori da casa sua.
“Perché,” chiese, quindi, un po’ seccata, “hai deciso che, dopo tutto, vuoi rispondere alle mie domande?”
L’altro sorrise.
“Ma certo, perché no? In fondo è un tuo diritto. Fammi ricordare… quali erano?”
Si alzò in piedi e prese a gironzolare per la stanza, soffermandosi distrattamente sulle sue foto appese alla parete, sui suoi vestiti abbandonati qua e là e sui suoi trucchi, allineati alla rinfusa sulla specchiera.
“Ah, sì,” disse, fermandosi proprio davanti a un reggiseno appeso allo schienale di una poltroncina. “Come faccio a nutrirmi. Be’, di solito pago una puttana. Per cinquanta dollari si farebbero fare di tutto…” sorrise. “Di documenti nuovi non ho ancora bisogno. Sono un trentaduenne giovanile. Ovviamente questi non sono i miei primi documenti.”
Si avvicinò di un passo, silenzioso, sorridente.
“Non faccio la pipì. Non ne ho bisogno.”
Un altro passo. Il sorriso era sempre al suo posto.
“Se ne ho voglia, posso fare sesso, ma di solito non ne ho voglia. Sai perché?”
Lucy Mae indietreggiò leggermente. “P-perché?”
Il sorriso dell’altro si allargò e Lucy Mae si rese conto che aveva i canini completamente scoperti.
“Perché bere è già uno sballo di per sé,” sussurrò Deonne. “Vieni, ti faccio provare.”
Lucy Mae avrebbe voluto dire che, in fondo, a provare non ci teneva tanto. Che, in fondo, essere un vampiro non la attraeva più molto. Che, insomma, era un’altra persona che aveva cambiato idea.
Avrebbe voluto dirlo, ma Deonne non gliene lasciò il tempo.
Coprì la distanza che li separava con una velocità inumana e le afferrò i polsi. Le sue mani non erano solo fredde, erano anche inamovibili. Lucy Mae provò inutilmente a divincolarsi.
“Ti prego…” gemette.
“Oh, ma non hai bisogno di pregarmi,” sussurrò l’altro, deliziato. Poi abbassò la testa sul suo collo, di scatto. Lucy Mae sentì i denti che le trapassavano la carne. Era piuttosto doloroso.
Poi sentì la sua lingua che cominciava a lapparle il sangue.
Anche questo era piuttosto doloroso.
“No, Deonne, per favore…”
Ma lui non l’ascoltò. Sentì i suoi denti che la mordevano ancora, più in profondità, sulla vena giugulare. Sentì un rumore sordo, come il mugolio di un animale.
Continuava a bere e a bere, e Lucy Mae non aveva più la forza di divincolarsi.
Poi non ebbe neanche più la forza di tenersi in piedi. Le ginocchia le cedettero e cadde a terra. Deonne non la lasciò, non allontanò neanche la bocca dal suo collo.
Si limitò a cadere con lei, coprendola con il suo corpo.
“Ti… prego…” mormorò, ancora una volta, lei.
Deonne non la ascoltò nemmeno. Sentiva la sua lingua che lappava il suo sangue, la sua cintura contro lo stomaco e, più in basso, la cosa più vicina a una vita sociale eccitante che avesse mai provato. Solo che non era eccitante, neanche un po’.
“De…on… ne…” rantolò.
Stava per svenire, ne era praticamente sicura.
E poi, all’improvviso, Deonne sollevò la bocca. Si leccò le labbra e le sorrise, un sorriso tranquillo, da bravo ragazzo che non ha lasciato niente nel piatto.
“Non è la cosa più figa del mondo?”
Lucy Mae non aveva la forza di rispondere. Aveva un velo davanti agli occhi e stava per svenire.
Deonne si portò un polso alla bocca e diede un morso delicato. Ovviamente, quando si trattava di se stesso, era delicato, pensò, confusamente, Lucy Mae.
“Bevi, tesoro,” le mormorò, posandole il polso sulle labbra. “Bevi, se non vuoi morire.”
Lucy Mae bevve.

***

Era passato del tempo. Non sapeva quanto, semplicemente del tempo. Poco dopo aver bevuto, aveva iniziato a provare un torpore diverso da quello di quando era stata quasi dissanguata. Non il torpore di una persona che ha perso le forze, ma quello di qualcuno che ha mangiato troppo.
Era passato dell’altro tempo. A un certo punto aveva vomitato il pasticcio di pollo. Solo il pasticcio di pollo. Del sangue che aveva bevuto non c’era più traccia.
Poi aveva avuto degli strizzoni alla pancia. Aveva fatto i suoi bisogni per l’ultima volta.
Infine il torpore aveva avuto la meglio e era crollata sul suo letto.
Quando si era svegliata, si era resa conto di non essere da sola. C’era un’altra persona sdraiata accanto a lei – e quella persona era come lei.
Voltò la testa da quella parte. La luce era spenta, ma ci vedeva perfettamente.
“Deonne?” disse.
Il sorriso di lui scintillò nel buio.
“Ah, tesoro, ben svegliata. Sei stata magnificamente veloce.”
“Deonne, sono un vampiro?”
“Sì, cara. Non era quello che volevi, in fondo?”
Lucy Mae non ne era per niente sicura, anzi. Le sembrava di ricordare che, verso la fine, non lo voleva più per niente.
“Perché sei tornato?” chiese.
Deonne si sollevò su un braccio. Era flessuoso – e forte. Ora che lo poteva vedere con i suoi nuovi occhi, si rendeva conto che era molto più forte di lei, persino della nuova Lucy Mae che era diventata.
“Per la tua paghetta settimanale, ovviamente. Anche se, sai, credo che mi prenderò molto di più.” Un altro sorriso dolce. “Credo che mi prenderò tutto.”
Poi continuò, assorto: “Sai, è così che funziona. Duecentotrenta anni fa, quando ero ancora un essere umano – sì, ti ho mentito – sono stato scelto per la mia ricchezza. Poi i soldi sono finiti e la mia creatrice se n’è andata. Capisci da sola che ho dovuto trovare qualcun altro. E poi qualcun altro. Finché non sono arrivato in questo meraviglioso angolino del Nuovo Mondo.”
“Los Angeles?” chiese Lucy Mae, un po’ ottusamente.
“Bel Air,” rispose Deonne, alzandosi e stiracchiandosi, soddisfatto. “Ah, credo che questo sia il rumore della macchina dei tuoi. Un’ex-modella e un produttore. Sembra incoraggiante, vero?”
Lucy Mae si mise a sedere sul letto, abbattuta. “Ma perché proprio io?” mormorò.
Deonne sorrise. Il suo magnifico sorriso, magnificamente falso.
“Paris Hilton era francamente insopportabile. E poi, dai, non sarà per sempre.”
“Non sarà per sempre?”
Deonne rise. “Il vampirismo? Oh, quello sì. La tua prigionia? Naa. Solo finché durano i soldi. Ma guarda al lato positivo. Non dovrai più andare a scuola.”
A Lucy Mae la prospettiva della scuola iniziava a non sembrare più così disgustosa.
“Oh, piantala! Ci divertiremo un mondo, noi due. Me ne sono accorto subito, fin da quando ti ho vista in quel Mac Donald. Adesso alzati, sistemati, fai qualcosa. Stanno per arrivare i tuoi.”
Lucy Mae si alzò meccanicamente.
Finché duravano i soldi, molto confortante.
Andò allo specchio e osservò la nuova, pallida, se stessa. Si riavviò i capelli con le dita.
“Che cosa dovrei dire?” mormorò.
Deonne, ancora una volta, sorrise. “Niente che mi costringa ad ammazzarli, spero. Sei ancora minorenne.”
Lucy Mae strinse le labbra. C’era qualcosa nella sua bocca che… ma ovviamente erano solo i suoi canini.
Scosse la testa e scese le scale. Poteva sentire i suoi genitori che uscivano dalla macchina, sbattevano le portiere, ridevano, aprivano la porta d’ingresso, disinserivano l’allarme.
Che cosa poteva mai dire?
I suoi entrarono in cucina e accesero la luce. Erano vestiti in gran spolvero.
“Lucy Mae!” esclamò sua madre, vedendola. “Che cosa ci fai qua al buio? Hai la faccia pallida, ti senti bene?”
“Oh, sì,” disse la voce sorniona di Deonne, alle sue spalle, con debole accento britannico.
Suo padre aggrottò la fronte. “E questo chi è, Lucy Mae?”
Lucy Mae scosse la testa, ma Deonne non aveva intenzione di seguire i suoi consigli. Non ne aveva alcun bisogno, in effetti.
Lo vide che allargava le braccia e faceva lampeggiare il suo magnifico sorriso. “Ma come, il vostro nuovo padrone.”
Il padre e la madre di Lucy Mae si scambiarono uno sguardo confuso, poi, cauta e un po’ severa, sua madre chiese: “Tesoro, che cosa succede?”
Lucy Mae non sapeva davvero che cosa dire.
“Mamma,” confessò, alla fine, con aria abbattuta, “sono diventata un vampiro.”

venerdì 25 gennaio 2013

Nessuna più



Scrivo per anticiparvi l’uscita di un mio racconto su un’antologia molto particolare. Il titolo è Nessuna più e il tema è l’omicidio di donne da parte di uomini; amanti, mariti, fratelli, ex, amici, sconosciuti…

Un fenomeno le cui dimensioni, come sapete, sono in crescita. Un fenomeno ormai noto con il nome di femminicidio.

Ognuno dei racconti di questa antologia parte da un fatto di cronaca reale e ne dà un’interpretazione personale. L’idea era di mantenere desta l’attenzione sul problema e di onorare la memoria delle donne che sono perite in quella che, è sempre più chiaro, è praticamente una strage.

Tutti i proventi del progetto, a cura di Marilù Oliva, saranno devoluti al Telefono Rosa.

Il mio racconto si intitola “Minnie e Mickey: un lungometraggio animato in tre atti”. Gli autori coinvolti nell’antologia sono:

Vittoria A., Alessandro Berselli, Francesca Bertuzzi, Sara Bilotti, Mariangela Camocardi, Stefano Caso, Gaja Cenciarelli, Milvia Comastri, Laura Costantini, Andrea Cotti, Maurizio de Giovanni, Romano De Marco, Loredana Falcone, Caterina Falconi, Ida Ferrari, Alessia Gazzola, Francesca Genti, Lorenza Ghinelli, Laura Liberale, Elisabetta Liguori, Fabrizio Lorusso, Loriano Macchiavelli, Lara Manni, Marco Marsullo, Marina Marazza, Massimo Maugeri, Raul Montanari, Gianluca Morozzi, Andrea Novelli, Marilù Oliva, Cristina Orlandi, Flavia Piccinni, Marco Proietti Mancini, Piergiorgio Pulixi, Paola Rambaldi, Susanna Raule, Matteo Strukul, Marco Vichi, Cristina Zagaria, Giampaolo Zarini.

Il libro uscirà a marzo 2013 per Elliot Editore.

giovedì 3 gennaio 2013

Un'intervista


Intervista di inizio anno sul blog del mio amico (e collega scrittore) Carlo Deffenù. Potete leggerla QUA.