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Il più grande desiderio di Lucy Mae era diventare un
vampiro. Aveva dei motivi solidissimi per desiderarlo, il primo dei quali era
che essere un vampiro avrebbe risolto la sua adolescenza.
Un vampiro, tanto per cominciare,
non deve andare a scuola. Anzi, meglio, non può, visto che non può
sopravvivere alla luce del sole.
Lucy Mae aveva analizzato
attentamente la questione e aveva concluso di non doversi preoccupare delle
scuole serali. Aveva persino preso un opuscolo con gli orari, ottenendo così
una conferma delle sue supposizioni: nemmeno la più serale delle scuole
iniziava dopo il calar del sole durante tutto l’anno.
Il fattore scuola, comunque, era
solo il più evidente dei vantaggi dell’essere un vampiro.
Visto che era una ragazza
precisa, aveva fatto un elenco:
1) niente più verdura
2) niente più coprifuoco
3) niente più ginnastica
I primi tre punti bastavano a
risolvere metà dei suoi problemi. Inoltre c’erano altri vantaggi accessori:
superforza, vista notturna, pelle splendida, niente più visite dal dentista…
Lucy Mae aveva provato a pensare
anche agli svantaggi, ma le erano sembrati minimi. Certo, non avrebbe più
potuto prendere il sole, ma era un problema marginale. Anche in questo c’era un
lato positivo: non le sarebbe mai venuto un melanoma. Anzi, non le sarebbe mai
venuta nessuna malattia.
Ogni volta che pensava a un
possibile svantaggio le venivano in mente almeno due nuovi punti a favore.
Alimentazione monotona? Sì, ma
non sarebbe mai stata a rischio obesità.
Provocare terrore negli altri? E
questo che cos’era, uno svantaggio?
Veder morire tutti i propri amici
di vecchiaia? Lucy Mae era pronta a vederli morire anche prima, per quel che
valevano.
Dormire in una bara… be’, se si
fosse rivelato indispensabile, Lucy Mae era sicura che ce ne fossero alcune
comode.
Aveva una soluzione per tutto: la
croce, l’aglio, l’acqua santa, l’argento, gli specchi… Per quanto riguardava
l’avversione per la croce e l’acqua santa, era un’ottima scusa per non dover
più andare alle funzioni. L’aglio lo odiava già. Con gli specchi non aveva mai
avuto un buon rapporto. Avrebbe evitato gli orecchini d’argento.
Insomma, diventare un vampiro
sembrava la soluzione perfetta.
C’era solo un problema: non aveva
idea di come riuscirci.
***
Consapevole del fatto che non
esistono problemi senza soluzione – brufoli esclusi – aveva iniziato a fare
ricerche in internet. Il modo più semplice, ovviamente, era quello indicato
nella maggior parte dei siti: farsi mordere da un vampiro. Sulla modalità
precisa le opinioni erano discordanti. C’era chi diceva che bastava un morso
qualunque, chi sosteneva che ne servivano diversi, chi asseriva che fosse
necessario uno scambio di sangue con il vampiro donatore.
C’erano poi dei metodi di
efficacia meno comprovata: uccidere sette uomini e berne il sangue (blea),
essere il settimo figlio di un settimo figlio (impraticabile, entrambi i suoi
genitori avevano a malapena un fratello a testa), essere seppelliti in terra
sconsacrata (fattibile, ma prima avrebbe dovuto morire), suicidarsi (idem),
essere morsi da un pipistrello (che schifo), bestemmiare (provato: non
funzionava), fare un patto col diavolo…
Fare un patto col diavolo
sembrava promettente, ma dopo diversi tentativi Lucy Mae era arrivata alla
conclusione che o il diavolo non esisteva o non aveva alcuna voglia di parlare
con lei.
Scoraggiata, stava quasi per
desistere, ma poi le era venuta un’idea.
Il fatto che lei non conoscesse
vampiri non voleva per forza dire che non potesse conoscerne. In fondo internet
serviva proprio a questo: mettere in contatto persone che abitavano in posti
molto lontani tra loro. E, ok, anche per trovare dei temi su Shakespeare già
fatti.
Aveva messo un annuncio.
L’annuncio diceva così:
AAA, vampiro cercasi. Ragazza sedicenne, sana, fortemente
motivata, cerca vampiro per contagio. Astenersi impostori.
Le risposte avevano iniziato ad
arrivare quasi subito, ma non tutte erano state soddisfacenti. Un utente
anonimo le aveva detto, senza giri di parole, che i vampiri erano passati di
moda e che avrebbe fatto meglio a cercare di diventare un trans. Un altro si
offriva di morderla pur essendo un normalissimo essere umano – sul
“normalissimo” Lucy Mae aveva i suoi dubbi. Una donna sosteneva che avrebbe
pregato per lei. Un tizio le proponeva un siero vampirizzante a soli 9.99$.
Qualcuno le aveva chiesto un appuntamento. La maggior parte aveva iniziato a
parlare di Twilight, ma nemmeno Lucy Mae era così disperata da
rispondergli.
Aveva iniziato a pensare di non
avere speranze.
Avrebbe dovuto rassegnarsi all’adolescenza,
alla scuola, ai brufoli, alle verdure e al dentista.
Era incredibilmente ingiusto, ma
iniziava a sospettare che il mondo fosse un posto ingiusto e che, in fondo, non
ci fosse una soluzione a ogni problema, proprio come non c’era una soluzione ai
brufoli.
Iniziò ad accarezzare l’idea di
diventare anoressica, ma la scartò quasi subito: le anoressiche, probabilmente,
dovevano andare a scuola comunque.
Stava per fare comunque un
tentativo, quando finalmente un vampiro rispose.
***
La lettera non era molto
incoraggiante. Il vampiro chiedeva una serie di informazioni difficili da
procurarsi: il suo gruppo sanguigno, una fototessera, un elenco delle malattie
esantematiche che aveva avuto, un albero genealogico fino alla quarta
generazione e l’assicurazione di non essere emofiliaca.
In cambio si offriva di
dimostrare aldilà di ogni ragionevole dubbio di essere un vero vampiro.
Lucy Mae non era sicura che non
fosse un impostore, ma finché non le chiedeva dei soldi poteva concedergli il
beneficio del dubbio.
Ricopiò la lista come se fosse un
compito scolastico e la portò a sua madre.
Se c’era una cosa a cui sua madre
teneva era che Lucy Mae andasse bene a scuola. Si mise immediatamente in moto
e, due giorni più tardi, le fece avere tutte le informazioni richieste. In
questo modo Lucy Mae scoprì anche che le malattie esantematiche erano
varicella, orecchioni e affini.
Speranzosa, mandò la sua risposta
al vampiro.
A questo punto, Lucy Mae temeva
che lui non si sarebbe più fatto vivo, ma il vampiro rispose subito: come
promesso, le avrebbe fornito una prova inconfutabile della sua vampiricità. Le
chiese di indicargli un luogo in cui incontrarsi dopo il calar del sole.
La seconda cosa a cui la madre di
Lucy Mae teneva moltissimo, oltre al fatto di andare bene a scuola, era che non
frequentasse cattive compagnie. Questo era il motivo per cui non poteva andare
a ballare e non poteva mettere piede nei bar.
Lucy Mae era consapevole del
fatto che dare appuntamento al vampiro in un bar sarebbe stato molto più
appropriato che dargli appuntamento da Mac Donald, ma non aveva scelta. Se
qualcuno l’avesse vista in un bar sua madre l’avrebbe ammazzata.
Vergognandosi come una spia,
scrisse al vampiro che si sarebbero visti sabato sera alle sette al Mac Donald
più vicino a casa sua. Poi disse a sua madre che sabato sarebbe andata a
mangiare con le sue amiche e, dopo varie contrattazioni sull’orario di rientro,
sua madre le diede il permesso.
A questo punto aveva due giorni
per prepararsi al grande incontro.
***
Avrebbe voluto vestirsi in modo
appropriato, solo che non sapeva quale fosse l’abbigliamento appropriato per
andare a conoscere un vampiro. Forse qualcosa di nero. Forse qualcosa di sexy.
O forse niente di tutto questo.
Aveva però un’idea piuttosto
precisa di quale fosse l’abbigliamento appropriato per andare da Mac Donald. E
per non far diventare isterica sua madre.
Optò per un paio di jeans, una
t-shirt bianca e delle scarpe da ginnastica di tela blu. Si guardò allo
specchio (forse per l’ultima volta) e pensò che aveva l’aspetto meno vampirico
del mondo.
Suo padre, forse vedendola così
poco vampirica, le prestò la macchina. Era una Prius, e anche quella non aveva
assolutamente niente di tenebroso. Al massimo, ecologico.
Durante il tragitto fino a Mac
Donald, Lucy Mae cercò di immaginarsi il suo ospite.
Per prima cosa, poteva essere un
qualunque ragazzetto dei dintorni. Era pronta a una delusione del genere.
Poteva essere un signore anziano.
In quel caso se ne sarebbe andata alla velocità della luce. Non era ancora
troppo tardi per incontrare un pedofilo, come le diceva sempre sua madre.
Poteva essere un sacco di cose,
ma poteva anche essere un vero vampiro.
Lucy Mae lo sperava con tutto il
cuore.
Arrivò nel parcheggio del Mac
Donald e lasciò la Prius di suo padre il più vicino possibile alle porte
scorrevoli. Si assicurò di aver chiuso bene la portiera. Controllò che i fari
fossero spenti.
Poi, visto che non aveva più uno
straccio di motivo per rimanere nel parcheggio, si decise a entrare.
Il fast-food era pieno di gente. C’erano
dei ragazzi più o meno della sua età, delle famiglie e, specialmente, una marea
di bambini.
Si mise in coda a una cassa,
pensando che sedersi senza aver ordinato sarebbe sembrato strano. Quando fu il
suo turno, si rese conto di non avere fame. Non solo non aveva fame, aveva lo
stomaco completamente tappato. Prese comunque un Big Mac Menù.
Si sedette a un tavolo e iniziò a
guardarsi intorno.
Forse il vampiro non sarebbe
venuto.
Probabilmente era solo uno
scherzo, scema lei a cascarci.
Si mise in bocca una patatina e
fece uno sforzo per masticarla e deglutirla.
Forse doveva aspettarlo nel
parcheggio.
Ma no, non sarebbe venuto.
Erano già le sette e cinque, non
sarebbe venuto di sicuro.
“Ciao, tu sei Lucy Mae?” chiese
una voce, esattamente davanti a lei.
***
Lucy Mae alzò lo sguardo. Aldilà
del tavolo c’era un tizio con un vassoio in mano. Sopra il vassoio c’era una
coca-cola. Ancora più sopra c’era la faccia del tizio, che la guardava con le
sopracciglia inarcate.
“Ehm, sì. Sono Lucy Mae,” disse,
dubitativa.
Il tizio si sedette e piazzò il
vassoio davanti a sé, sul tavolo.
“Io sono Deonne,” disse.
“Don?”
L’altro fece una smorfia.
“D-e-o-n-n-e,” compitò, con vago accento britannico. “Se proprio non riesci a
pronunciarlo puoi chiamarmi Dean.”
Lucy Mae lo osservò attentamente.
Ok, era pallido. Ok, non era un ragazzo dei dintorni. Ok, non era vecchio –
almeno, non lo sembrava. Sembrava un tizio sulla ventina, con una faccia
piuttosto normale.
“Sarebbe un nome antico o roba
del genere?” chiese. Non aveva il coraggio di fare domande dirette sulla sua
età o sul suo vampirismo.
“Sarebbe il prodotto di due
genitori sciroccati,” rispose l’altro, con una scrollata di spalle. “Io ho
trentadue anni. Oppure vent’uno, come preferisci.”
“E saresti…”
“Un vampiro. Non cercavi un
vampiro?”
Lucy Mae deglutì. “Già,” ammise.
Deonne le rifilò un sorriso
promozionale e allargò le braccia. “Ta-daa.”
“Non dicevi… ehm. Non dicevi che
mi avresti, ecco…”
“Dato una prova? Come no. Finisci
di mangiare, se vuoi. È meglio se andiamo in bagno.” Deonne diede una ciucciata
alla cannuccia della sua coca e, allungando una mano verso le sue patatine,
aggiunse: “Ti dispiace?”
Lucy Mae scosse la testa.
Deonne si infilò la patatina in
bocca, la masticò per un po’ e poi la sputò in un tovagliolino di carta. “Adoro
le patatine,” spiegò, in tono conversevole.
Lucy Mae si limitò a osservarlo
in silenzio, sospettosa.
“Una cosa non smette di piacerti
solo perché non puoi più farla, no?” disse l’altro, e ciucciò un altro po’ di
coca.
“Ma quella la stai bevendo,” fece
notare Lucy Mae.
“Già,” ammise l’altro. “Con i
liquidi è più facile. Non mangi?”
Lucy Mae scosse la testa. “Che
cos’altro non puoi fare?” chiese.
“Abbronzarmi,” rispose Deonne, un
po’ seccamente. “Senti, se hai finito, che ne dici di andare in bagno?”
Lucy Mae tentennò. “Immagino che
tu non possa farmelo vedere qua, eh?”
“Immagino che tu non sia poi così
fortemente motivata. Sai, quasi nessuno lo è. È il ventisettesimo annuncio a
cui rispondo. Nessuno è andato oltre il bagno. Sei la prima che mi dà
appuntamento da Mac Donald, però.”
Un po’ scocciata, Lucy Mae si
alzò in piedi. “Era solo una domanda. Forza, andiamo.”
L’altro le rifilò un sorriso di
sufficienza. “Come vuoi,” disse, alzandosi a sua volta. Era poco più alto di
lei, notò Lucy Mae, e indossava dei comunissimi jeans.
Lo seguì verso la porta della
toilette, che per fortuna era una sola per gli uomini e per le donne. Era anche
una porta basculante, quindi, pensò, se quel tizio allungava le mani poteva
sempre urlare.
“Non ho nessuna intenzione di
allungare le mani,” precisò l’altro, spingendo la porta.
Lucy Mae lo fissò in silenzio,
senza entrare.
“Allora?” fece lui, vagamente
seccato.
Lucy Mae si decise a seguirlo.
***
L’anticamera del bagno era
piccola e quadrata. C’era un lavandino doppio, uno specchio e due porte, una
per i maschi e una per le femmine. C’era anche una signora in fila.
Deonne il vampiro si appoggiò a
una parete con l’aria di quello che aspetta il suo turno.
“Quello degli uomini è libero,”
si sentì in dovere d’informarlo, la signora.
“Ah, grazie,” sorrise lui, e
entrò.
Lucy Mae rimase in attesa. Dal
bagno degli uomini non proveniva alcun rumore. Poi si sentì un conato.
“È un tuo amico?” chiese la
donna.
“Una specie.”
“Penso che stia male.”
Lucy Mae sorrise nervosamente. “È
intollerante al lattosio. Gli ho detto di non bere il milk-shake.”
La donna forse avrebbe aggiunto
qualcosa, ma in quel momento si liberò il suo bagno.
Una volta sola, Lucy Mae bussò
all’altra porta. “Ti senti bene?” chiese.
“’nsomma,” rispose una voce
attutita. Poi la porta si aprì. “Entra un attimo.”
Lucy Mae non era del tutto sicura
di volerlo fare, ma il cosiddetto vampiro l’aveva già tirata dentro. Si
richiuse la porta alle spalle.
“La coca-cola,” spiegò, con aria
sofferente, sciacquandosi la faccia. Si asciugò con un tovagliolo di carta e
tornò a guardarla. Dietro di lui lo specchio lo rifletteva fedelmente.
“Sì, quella è una cazzata,”
spiegò Deonne, seguendo il suo sguardo. “Anche le croci e l’argento. L’aglio è
semplicemente fastidioso, e solo se non ti piace l’aglio.”
“E che cos’è che non è una
cazzata?” chiese Lucy Mae, facendosi forza.
“Queste,” rispose il vampiro e
sorrise di nuovo. I suoi canini, ora, erano decisamente più lunghi del normale.
Si udì un lieve rumore e i canini rientrarono parzialmente nelle gengive. Si
udì di nuovo e, di nuovo, fuoriuscirono.
“Fico,” commentò Lucy Mae.
“E anche questo,” continuò
Deonne, come se non l’avesse nemmeno sentita. Abbassò la bocca sulla propria
mano e diede un lieve morso. Le mostrò la mano. Due gocce di sangue stavano
scivolando giù, tra le sue dita. Un istante dopo le due punture erano di nuovo
chiuse e Deonne si sciacquò la mano sotto il getto del lavandino.
“È…” iniziò a dire Lucy Mae,
completamente avvinta.
“È l’ora di uscire, se non vuoi
che la signora pensi che ci stiamo facendo una sveltina.”
Lucy Mae sgranò gli occhi e si
affrettò a riaprire la porta.
La signora era proprio lì fuori.
“Tutto bene?” chiese, in tono
falsamente premuroso.
“Gliel’ho detto. È intollerante
al lattosio,” ribatté Lucy Mae, in tono di sfida.
“Terribilmente intollerante,”
confermò Deonne, dietro di lei. “Non avrei dovuto farlo.”
Quando uscirono dal bagno, Lucy
Mae stava ancora ridacchiando.
***
“Ok,” disse, quando furono nel
parcheggio, accanto alla Prius di suo padre, “che cosa devo fare per diventare
un vampiro?”
“Farti dissanguare fin quasi alla
morte e poi bere il mio sangue,” rispose l’altro, stringendosi nelle spalle.
Lucy Mae deglutì. “Questa cosa me
la devi spiegare per bene,” disse.
“Tanto non hai intenzione di
farlo sul serio,” ribatté lui. “Anzi, non mi credi nemmeno. Pensi che sia tutto
un trucco, che io abbia delle protesi strafighe e che faccia solo finta di
essere un vampiro.”
Si avvicinò di un passo e la
guardò negli occhi, aggrondato.
“Pensi che se io fossi un vero
vampiro ti avrei già morsa.”
“Non stavo pensando quello,”
disse lei.
“Non ti posso leggere nella
mente,” ribatté lui.
“Prima l’hai fatto.”
“Prima ho tirato a indovinare.”
“E non mi hai spiegato niente.”
Deonne sospirò. “O lo vuoi o non
lo vuoi, è semplice. Non ho tutta la notte. Devo ancora mangiare.”
“Quindi morderai qualcuno,
giusto?”
“Non ho intenzione di fartelo
vedere.”
“Chiedevo soltanto.”
“Era tanto per chiarire.”
Lucy Mae sospirò. “Che cosa non
puoi fare, a parte mangiare e bere?”
“E prendere il sole.”
“E prendere il sole, ok. Dormi in
una bara?”
L’altro scosse la testa.
“Hai un lavoro?”
L’altro scosse di nuovo la testa.
“Mi hanno licenziato, se vuoi saperlo.”
“Non uccidi, tipo, le persone?”
“Sono un vampiro, non
un’idrovora. Una volta che ho bevuto le mie due pinte sono a posto.”
Lucy Mae incrociò le braccia. “E
come fai a bere le tue due pinte?”
“Non lo vuoi sapere sul serio.”
L’altra inarcò le sopracciglia.
“Oh, sì che lo voglio sapere sul serio.”
“Dipende. Di solito pago. Ma,
come ti dicevo, mi hanno licenziato.”
Tutta la faccenda era molto
strana. “Paghi? Paghi in che senso? E perché ti hanno licenziato?”
Deonne sospirò e si appoggiò
contro la sua macchina. “Non sapevo che fosse un colloquio di lavoro.”
“Come fai con i documenti? Chi ti
ha fatto diventare un vampiro? Puoi ancora fare sesso? Fai la pipì?” incalzò
Lucy Mae.
Deonne socchiuse fece una
smorfia. “Insomma, vuoi scrivere un articolo o che cosa?”
“Eh?”
“Sai qual è il punto? Io sono una
fottuta creatura soprannaturale e nessuno di voi wannabe ha il minimo rispetto
per la cosa.”
“Be’, potresti provare con un
mantello nero foderato di rosso!”
“E voi potreste provare con un
po’ di educazione!”
Lucy Mae lo guardò. Era davvero
irritato e forse anche un po’ infelice. Che cazzo, non sembrava così privo di
problemi. Tanto per cominciare, non aveva un lavoro.
“Spiegami almeno perché sei
disposto a farmi diventare un vampiro,” disse, in tono più civile.
L’altro si limitò a guardarla con
odio.
“Per la tua cazzo di paghetta
settimanale,” disse, sarcastico, prima di girare sui tacchi e mollarla lì, nel
parcheggio allegramente illuminato del Mac Donald.
***
Non era stato un grande successo.
Anzi, era stato un fiasco completo.
Per prima cosa non era diventata
un vampiro. E poi, non era nemmeno più tanto sicura di volerla diventare.
Per esempio, non aveva pensato al
fattore economico. Che razza di lavoro poteva fare un vampiro? Il sorvegliante
notturno? Non le veniva in mente nient’altro.
Nei film e nei libri la questione
non veniva mai affrontata in modo esaustivo. I vampiri non avevano mai bisogno
di soldi, ne avevano sempre a palate.
Quel tizio, Deonne, non sembrava
tanto ben fornito.
Non sembrava che il vampirismo
avesse risolto tutti i suoi problemi.
E poi, in ogni caso, Deonne si
era scocciato e se n’era andato. Probabilmente era stata colpa sua. Era stata
davvero insopportabile. E la faccia che aveva fatto quando gli aveva chiesto
perché era disposto a farla diventare un vampiro? Probabilmente si sentiva
solo, e lei era stata sensibile come una pietra.
Così il suo eccitante sabato sera
si era concluso in un niente di fatto e adesso aveva anche fame. I suoi erano
chissà dove, convinti che la figlia fosse a divertirsi con gli amici.
Rattristata, scese al piano di
sotto e aprì il frigo. La domenica era il giorno libero della donna di
servizio, quindi era probabile che avesse lasciato qualcosa di già pronto per
il giorno dopo.
Sì, c’era una pirofila coperta di
domopak.
Leggermente rincuorata, Lucy Mae
rimosse il domopak e iniziò a mangiare a forchettate il pasticcio di pollo.
Decisamente, l’anoressia non era alla sua portata.
E, a quel che pareva, neanche il
vampirismo.
Se solo sua madre non avesse
insistito così tanto con la scuola… ma no, prima di fare qualsiasi cosa doveva
diplomarsi, punto. Come se lei si fosse mai diplomata.
Lei a diciassette anni
ancheggiava già in passerella, mentre Lucy Mae doveva fare la studentessa
modello.
Lei si era sposata la
prima volta a vent’anni, la seconda a ventidue e la terza a ventiquattro.
Lucy Mae, probabilmente, sarebbe
rimasta zitella, vista la vita sociale che le permettevano di avere.
Ricoprì la pirofila con il
domopak e la rimise in frigo.
Il mondo era un posto
raccapricciante.
***
Si mise a letto presto, visto che
tanto il suo sabato sera era naufragato prima ancora di cominciare. Non che
avesse sonno.
Si rivoltò per un po’ tra le
lenzuola, cercando di non pensare alla sua quasi-vampirizzazione.
Mentre stava quasi per
addormentarsi, sentì un leggero rumore provenire dalla terrazza. Se era ancora
uno scoiattolo che veniva a lasciarle delle cagatine sulla sdraio, l’avrebbe
ucciso.
Non capiva perché i suoi avessero
voluto un giardino così boscoso. Sì, certo, la privacy – ma non avevano pensato
che tra gli alberi tende a vivere ogni genere di animale pernicioso?
Irritata, ormai senza più
speranza di addormentarsi, Lucy Mae andò a controllare che cosa stava
succedendo fuori. Per sicurezza, prese anche un vecchio top che non metteva
più. Poteva usarlo per spaventare l’animaletto, qualsiasi cosa fosse.
“Scoiattolo di merda, ora ti
faccio vedere io se…” iniziò a dire, minacciosa, roteando il top.
“Credo che ti servirà qualcosa di
un po’ più grosso per mandare via me,” disse una voce, dal confine buio
della terrazza.
Lucy Mae fece un passo avanti e
le luci esterne si accesero automaticamente.
Appoggiato contro il davanzale,
pallido come l’ultima volta in cui l’aveva visto, c’era Deonne.
“Cavoli, mi hai fatto venire un
colpo,” tartagliò Lucy Mae, abbassando l’inutile top.
L’altro sorrise. “Sono venuto a
fare pace.”
Lei si strinse nelle spalle.
“Già, be’, fantastico. Come hai fatto ad arrivare fin qua?”
“I vostri allarmi non sono un
granché, se puoi saltare tre metri e venti da fermo,” spiegò Deonne, vagamente
ironico. “Mi fai entrare?”
Lucy Mae rise. “Hai bisogno che ti
inviti?”
Deonne si limitò a scivolarle
accanto. “No,” rispose, infilandosi in camera sua.
Si andò a sedere sul suo letto.
“I tuoi non ci sono, se non sbaglio,” disse. Sembrava rilassato, a suo agio,
vagamente divertito, come se la discussione di poche ore prima non ci fosse mai
stata.
Lucy Mae entrò a sua volta in
camera, un po’ sospettosa. Aveva preferito di gran lunga quando si erano
incontrati fuori da casa sua.
“Perché,” chiese, quindi, un po’
seccata, “hai deciso che, dopo tutto, vuoi rispondere alle mie domande?”
L’altro sorrise.
“Ma certo, perché no? In fondo è
un tuo diritto. Fammi ricordare… quali erano?”
Si alzò in piedi e prese a
gironzolare per la stanza, soffermandosi distrattamente sulle sue foto appese
alla parete, sui suoi vestiti abbandonati qua e là e sui suoi trucchi,
allineati alla rinfusa sulla specchiera.
“Ah, sì,” disse, fermandosi
proprio davanti a un reggiseno appeso allo schienale di una poltroncina. “Come
faccio a nutrirmi. Be’, di solito pago una puttana. Per cinquanta dollari si
farebbero fare di tutto…” sorrise. “Di documenti nuovi non ho ancora bisogno.
Sono un trentaduenne giovanile. Ovviamente questi non sono i miei primi
documenti.”
Si avvicinò di un passo,
silenzioso, sorridente.
“Non faccio la pipì. Non ne ho
bisogno.”
Un altro passo. Il sorriso era
sempre al suo posto.
“Se ne ho voglia, posso fare
sesso, ma di solito non ne ho voglia. Sai perché?”
Lucy Mae indietreggiò
leggermente. “P-perché?”
Il sorriso dell’altro si allargò
e Lucy Mae si rese conto che aveva i canini completamente scoperti.
“Perché bere è già uno sballo di
per sé,” sussurrò Deonne. “Vieni, ti faccio provare.”
Lucy Mae avrebbe voluto dire che,
in fondo, a provare non ci teneva tanto. Che, in fondo, essere un vampiro non
la attraeva più molto. Che, insomma, era un’altra persona che aveva cambiato
idea.
Avrebbe voluto dirlo, ma Deonne
non gliene lasciò il tempo.
Coprì la distanza che li separava
con una velocità inumana e le afferrò i polsi. Le sue mani non erano solo
fredde, erano anche inamovibili. Lucy Mae provò inutilmente a divincolarsi.
“Ti prego…” gemette.
“Oh, ma non hai bisogno di
pregarmi,” sussurrò l’altro, deliziato. Poi abbassò la testa sul suo collo, di
scatto. Lucy Mae sentì i denti che le trapassavano la carne. Era piuttosto
doloroso.
Poi sentì la sua lingua che
cominciava a lapparle il sangue.
Anche questo era piuttosto
doloroso.
“No, Deonne, per favore…”
Ma lui non l’ascoltò. Sentì i
suoi denti che la mordevano ancora, più in profondità, sulla vena giugulare.
Sentì un rumore sordo, come il mugolio di un animale.
Continuava a bere e a bere, e
Lucy Mae non aveva più la forza di divincolarsi.
Poi non ebbe neanche più la forza
di tenersi in piedi. Le ginocchia le cedettero e cadde a terra. Deonne non la
lasciò, non allontanò neanche la bocca dal suo collo.
Si limitò a cadere con lei,
coprendola con il suo corpo.
“Ti… prego…” mormorò, ancora una
volta, lei.
Deonne non la ascoltò nemmeno.
Sentiva la sua lingua che lappava il suo sangue, la sua cintura contro lo
stomaco e, più in basso, la cosa più vicina a una vita sociale eccitante che
avesse mai provato. Solo che non era eccitante, neanche un po’.
“De…on… ne…” rantolò.
Stava per svenire, ne era
praticamente sicura.
E poi, all’improvviso, Deonne
sollevò la bocca. Si leccò le labbra e le sorrise, un sorriso tranquillo, da
bravo ragazzo che non ha lasciato niente nel piatto.
“Non è la cosa più figa del
mondo?”
Lucy Mae non aveva la forza di
rispondere. Aveva un velo davanti agli occhi e stava per svenire.
Deonne si portò un polso alla
bocca e diede un morso delicato. Ovviamente, quando si trattava di se stesso,
era delicato, pensò, confusamente, Lucy Mae.
“Bevi, tesoro,” le mormorò,
posandole il polso sulle labbra. “Bevi, se non vuoi morire.”
Lucy Mae bevve.
***
Era passato del tempo. Non sapeva
quanto, semplicemente del tempo. Poco dopo aver bevuto, aveva iniziato a
provare un torpore diverso da quello di quando era stata quasi dissanguata. Non
il torpore di una persona che ha perso le forze, ma quello di qualcuno che ha
mangiato troppo.
Era passato dell’altro tempo. A
un certo punto aveva vomitato il pasticcio di pollo. Solo il pasticcio
di pollo. Del sangue che aveva bevuto non c’era più traccia.
Poi aveva avuto degli strizzoni
alla pancia. Aveva fatto i suoi bisogni per l’ultima volta.
Infine il torpore aveva avuto la
meglio e era crollata sul suo letto.
Quando si era svegliata, si era
resa conto di non essere da sola. C’era un’altra persona sdraiata accanto a lei
– e quella persona era come lei.
Voltò la testa da quella parte.
La luce era spenta, ma ci vedeva perfettamente.
“Deonne?” disse.
Il sorriso di lui scintillò nel
buio.
“Ah, tesoro, ben svegliata. Sei
stata magnificamente veloce.”
“Deonne, sono un vampiro?”
“Sì, cara. Non era quello che
volevi, in fondo?”
Lucy Mae non ne era per niente sicura,
anzi. Le sembrava di ricordare che, verso la fine, non lo voleva più per
niente.
“Perché sei tornato?” chiese.
Deonne si sollevò su un braccio.
Era flessuoso – e forte. Ora che lo poteva vedere con i suoi nuovi occhi, si
rendeva conto che era molto più forte di lei, persino della nuova Lucy Mae che
era diventata.
“Per la tua paghetta settimanale,
ovviamente. Anche se, sai, credo che mi prenderò molto di più.” Un altro
sorriso dolce. “Credo che mi prenderò tutto.”
Poi continuò, assorto: “Sai, è
così che funziona. Duecentotrenta anni fa, quando ero ancora un essere umano –
sì, ti ho mentito – sono stato scelto per la mia ricchezza. Poi i soldi sono
finiti e la mia creatrice se n’è andata. Capisci da sola che ho dovuto trovare
qualcun altro. E poi qualcun altro. Finché non sono arrivato in questo
meraviglioso angolino del Nuovo Mondo.”
“Los Angeles?” chiese Lucy Mae, un po’ ottusamente.
“Bel Air,” rispose Deonne, alzandosi e stiracchiandosi,
soddisfatto. “Ah, credo che questo sia il rumore della macchina dei tuoi.
Un’ex-modella e un produttore. Sembra incoraggiante, vero?”
Lucy Mae si mise a sedere sul
letto, abbattuta. “Ma perché proprio io?” mormorò.
Deonne sorrise. Il suo magnifico
sorriso, magnificamente falso.
“Paris Hilton era francamente
insopportabile. E poi, dai, non sarà per sempre.”
“Non sarà per sempre?”
Deonne rise. “Il vampirismo? Oh,
quello sì. La tua prigionia? Naa. Solo finché durano i soldi. Ma guarda al lato
positivo. Non dovrai più andare a scuola.”
A Lucy Mae la prospettiva della
scuola iniziava a non sembrare più così disgustosa.
“Oh, piantala! Ci divertiremo un
mondo, noi due. Me ne sono accorto subito, fin da quando ti ho vista in quel
Mac Donald. Adesso alzati, sistemati, fai qualcosa. Stanno per arrivare i
tuoi.”
Lucy Mae si alzò meccanicamente.
Finché duravano i soldi, molto
confortante.
Andò allo specchio e osservò la
nuova, pallida, se stessa. Si riavviò i capelli con le dita.
“Che cosa dovrei dire?” mormorò.
Deonne, ancora una volta,
sorrise. “Niente che mi costringa ad ammazzarli, spero. Sei ancora minorenne.”
Lucy Mae strinse le labbra. C’era
qualcosa nella sua bocca che… ma ovviamente erano solo i suoi canini.
Scosse la testa e scese le scale.
Poteva sentire i suoi genitori che uscivano dalla macchina, sbattevano le
portiere, ridevano, aprivano la porta d’ingresso, disinserivano l’allarme.
Che cosa poteva mai dire?
I suoi entrarono in cucina e
accesero la luce. Erano vestiti in gran spolvero.
“Lucy Mae!” esclamò sua madre,
vedendola. “Che cosa ci fai qua al buio? Hai la faccia pallida, ti senti bene?”
“Oh, sì,” disse la voce sorniona
di Deonne, alle sue spalle, con debole accento britannico.
Suo padre aggrottò la fronte. “E
questo chi è, Lucy Mae?”
Lucy Mae scosse la testa, ma
Deonne non aveva intenzione di seguire i suoi consigli. Non ne aveva alcun
bisogno, in effetti.
Lo vide che allargava le braccia
e faceva lampeggiare il suo magnifico sorriso. “Ma come, il vostro nuovo
padrone.”
Il padre e la madre di Lucy Mae
si scambiarono uno sguardo confuso, poi, cauta e un po’ severa, sua madre
chiese: “Tesoro, che cosa succede?”
Lucy Mae non sapeva davvero che
cosa dire.
“Mamma,” confessò, alla fine, con
aria abbattuta, “sono diventata un vampiro.”
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