Aurora si mise in ginocchio sul
cuscino che aveva previdentemente piazzato per terra e iniziò a mimare un
rapporto orale. Sensi le appoggiò una mano sulla testa, una cosa che, di norma,
non faceva.
«Dovremmo metterci un po’ di
audio» mormorò.
«Sto già per morire di vergogna.
E poi, di logica, l’audio dovresti mettercelo tu».
«Anche questo è vero» ammise lui.
Non molto convinto, cominciò a gemere per finta, prima a un volume normale, poi
ad alta voce.
«Quanto può durare un pompino?»
disse lei, in una pausa.
«Non lo so. Di solito non ci fai
caso. Sono meno di cinque minuti, però».
«Oh, Cristo. Ricomincia a gemere.
Qualcuno potrebbe non averti sentito».
«Grazie per il supporto, eh?
Volevo capire se l’uomo dei kleenex diceva qualcosa».
Rimasero in ascolto per qualche
secondo. Apparentemente no. Forse si godeva lo spettacolo e basta.
«Forse bisogna farlo incazzare di
più» disse Aurora, continuando diligentemente a fare su e giù con la testa.
Sensi ci pensò un attimo.
«Oookey» mormorò. Riprese a gemere più forte e aggiunse un paio di commenti
sulla falsa riga del “ciucciamelo, puttana”, che era un po’ un classico del
genere.
«Non sei tanto scurrile» gli fece
notare Aurora, sottovoce.
«“Ingoiamelo fino alle palle”
andrebbe meglio?»
«Forse».
Sensi sospirò. «Oookey» ripeté, e
provò la sua nuova squallida battuta.
Rimase in ascolto per qualche
secondo. «No, senti, non sta funzionando. Forse l’effetto ombre cinesi non è
venuto bene. Facciamo in un altro modo».
La sollevò per le ascelle e la
appiccicò contro la finestra, sopra alla tenda. Aurora appoggiò le mani
all’altezza della propria testa e una guancia contro la tenda. Sensi appoggiò
le mani accanto alle sue.
«Sogna il sesso anale? Ti informo
che stiamo facendo sesso anale. Sarà meglio che tu dia il tuo contributo,
adesso».
«Oh, cavolo... ma che cosa dovrei
dire?».
«Se non lo sai tu. La fronte.
Appoggia la fronte contro il vetro. Contro la tenda. Hai capito. E ora prova
con il classico “oh, sì, bravo, lì”».
A onor del vero, Aurora era molto
più portata per la recitazione di Sensi. Iniziò a fare dei suoni piuttosto
credibili e aggiunse una serie di frasi ad hoc che rendevano tutto il pathos
della situazione.
Sensi iniziò a ridacchiare sotto
voce. «Ma davvero? Cioè, “sfondami”? Così, al primo appuntamento?».
«E stai zitto».
«No, ma figurati. Lascia che io
contribuisca». E Sensi ricominciò a gemere.
Finalmente, dalla strada proruppe
un grido, tra il rabbioso e il preoccupato. «Aurora!».
«Dai che ci siamo. Propongo di
aspettare un altro po’, prima di venire. Non si sa mai. Potrebbe scappare e basta».
«In un certo senso lo
preferirei».
«In un certo senso lo preferirei
anch’io. È un poveraccio, sai. Forse pericoloso, ma pur sempre un poveraccio.
Oh, tesoro, ce l’hai stretto come un laccio emostatico!».
«Visto che puoi essere
fantasioso, se vuoi?».
«Un collegamento d’idee».
Lo stalker, nel frattempo, stava
dando in escandescenze. Aveva preso a calci qualcosa, a giudicare dal rumore.
«Oh, sì, sei un animale, ti amo!»
gridò lei.
«Mi fai venire i brividi»
commentò Sensi. Sentì il rumore del portone che sbatteva. Sbirciò fuori dalla
finestra. Riccardo non c’era più.
Si allontanò dalla tenda e prese
la padella per il manico.
«Non sembra molto pericolosa»
commentò Aurora, tesa.
«Ho un coltello in tasca, ma
preferirei non usarlo» disse Sensi. Evitò di dire che aveva anche una pistola,
nella sua fondina, sotto alla felpa, sul letto. Mettere una donna incazzata e
una pistola nella stessa stanza era abbastanza pericoloso anche senza che la
donna sapesse che la pistola c’era.
Si spostò verso il corridoio.
«Facciamo un altro po’ di rumore»
sussurrò.
Aurora iniziò a gemere. In altre
circostanze, avrebbe potuto essere stuzzicante. Vederla lì, bianca di paura,
appoggiata allo stipite della porta, non lo era.
«Aurora, apri! Che cazzo ti
stanno facendo? Che cazzo stai facendo, troia?».
Aurora si azzittì e rimase, se
possibile, ancora più ferma, come congelata.
Sensi impugnò meglio la padella e
si avvicinò alla porta d’ingresso.
«Vattene!» strillò Aurora e
quello era esattamente quello che voleva, non era una recita.
«Aprimi, cazzo! Ti hanno sentita
tutti!».
«Non sono affari tuoi! Devi
lasciarmi in pace!».
«Puttana maledetta... con me non
volevi e con questo stronzo sì? Te
ne pentirai!».
Si sentì un colpo sulla porta. Un
battente tremò.
«Vattene! Che cosa stai facendo?»
«Adesso ti faccio vedere io...»
Un altro colpo, più forte. Sensi
fece segno ad Aurora di stare indietro. Si sgranchì i muscoli del collo. Dentro
di lui, Astarotte si svegliò e si stiracchiò, soddisfatto.
Non è roba per te, gli
disse Sensi.
Non si sa mai, sogghignò
l’altro.
Aurora, avvertì, improvvisamente,
un vago odore di fiammifero sfregato. Forse era il legno della porta, forse...
Si sentì uno schianto e un
pannello cedette.
Sensi vide una mano maschile
introdursi nello squarcio e cercare a tentoni la serratura, come in film horror
di serie z. Così, dopo tutto, Riccardo l’aveva fatto.
Era onesto, quello che si
proponeva Sensi? Be’, no. Probabilmente quel tizio non sarebbe mai esploso, da
solo. Il commissario, con gli occhi rossi come sangue, sogghignò. Poteva
conviverci.
La mano riuscì a sbloccare la
serratura e la porta si spalancò. Riccardo l’Uomo dei Kleenex si catapultò
all’interno come un ossesso.
Sensi lasciò che facesse qualche
passo, sereno come un bracconiere che ha inquadrato un cervo.
Poi lo colpì di piatto con la
padella.
Si sentì un suono cupo, come
quello di una campana fessa.
Riccardo l’Uomo dei Kleenex andò
al tappeto.
«Oh, Dio... oh, mio Dio...»
gemeva Aurora, piangendo.
Sensi si inginocchiò accanto al
corpo dell’altro e si assicurò che fosse solo tramortito. Si sfilò il cellulare
dalla tasca dei pantaloni.
«Mi servirebbe qualcosa per
legargli le mani» disse, componendo un numero. «Qualcosa di morbido. Di spugna,
magari».
Si portò il cellulare
all’orecchio. «Max? Ho qua un tizio che ha sfondato una porta e ha cercato di
introdursi con la forza nella casa di una persona. L’ho un pochino tramortito.
Puoi mandare una volante e un’ambulanza?».
Rimase in ascolto qualche
secondo, poi diede l’indirizzo dell’appartamento in cui era.
Aurora, sulla porta della sua
stanza, piangeva e tremava. Gli stava porgendo un asciugamano, senza
avvicinarsi troppo.
Sensi lo prese e legò i polsi
dello stalker.
Si rialzò e andò a rimettersi la
maglietta, la fondina e la felpa.
«Avevi una pistola» disse Aurora,
con voce sottile.
Sensi sorrise lievemente. «È il
momento giusto per dirmi che sei contraria alle armi da fuoco».
Sorrise anche lei. «Be’, lo
sono».
Il commissario arricciò il naso.
«Lo so. Sei contraria a tutto».
Continua...
2 commenti:
Grazie.
Davvero, davvero figo.
E un bell'esempio di mestiere da cui cercherò di rubare con l'occhio.
Ooook, spazio serietà:
tu a me non devi rubare niente. Hai già tutto e pure qualcosa di più.
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