Aurora l’aveva richiamato quella
sera stessa.
«È qua sotto» aveva detto. «Di
nuovo».
Erano le sette e mezza, fuori
piovigginava e Sensi si era illuso di poter ordinare una pizza e passare la
serata ascoltando musica, con la Vettori che batteva sul soffitto con la scopa,
da migliore tradizione.
Però si era anche ricordato del
suo Nobile Scopo, quindi aveva cercato di dimostrarsi accomodante.
«Capisco» aveva detto. «Che cosa
posso fare, dato che arrestarlo non posso?».
La legge contro lo stalking era
una legge nuova, ma questo non la rendeva meno inutile delle leggi vecchie.
Prima dovevi provare che un tizio ti perseguitava, poi lui poteva
tranquillamente ignorare l’ordinanza restrittiva, dato che nessuna questura
poteva permettersi di mettere un piantone a protezione di una vittima di
stalking ventiquattr’ore al giorno.
Per lo più, le vittime dovevano
ingegnarsi da sole. Alcune finivano per cambiare casa, lavoro, città. Altre
avevano degli amici compiacenti, che menavano lo stalker finché non cambiava
idea. Altre sopportavano. Qualcuna, infine, finiva nelle statistiche.
«Che ne dici di venire a cena? Ti
propongo una seratina hardcore» aveva detto lei.
Sensi, per circa mezzo secondo,
si era illuso che un Dio, dopo tutto, esistesse. Sul Diavolo aveva buone
speranze, ma del vecchio Yahweh non aveva mai visto traccia. Subito dopo aveva
capito che non solo Dio non esisteva ma che, se esisteva, ce l’aveva con lui.
«Wow» aveva detto, piatto.
Naturalmente, una seratina di
punk hardcore non gli sorrideva per niente, ma, in un angolo ottimista del suo
cervello, c’era ancora la speranza che Aurora intendesse del sano porno
hardcore. Non ci credeva neanche lui, ma, comunque, non poteva lavarsi del tutto
le mani del problema “stalker”.
Il tizio sembrava piuttosto
innocuo, ma non si poteva mai sapere.
Aveva finito per mettersi il
giaccone e accorrere in difesa della fanciulla in pericolo, consapevole del
fatto che presto quello in pericolo sarebbe stato lui.
Quaranta minuti più tardi, dopo
aver mangiato una cosa chiamata “cannelloni vegani”, aveva avuto la conferma
dei suoi peggiori sospetti.
-
Così, ora Sensi era lì, seduto
sul pavimento della camera di Aurora, a chiedersi se il nobile scopo che si era
prefisso giustificasse tutto quel dolore.
Gli erano già stati inflitti un
intero album dei Contropotere e una scelta del meglio dei Wretched.
Sensi, che Dio lo perdonasse,
iniziava a sperare che i vicini si lamentassero. Ma, tanto, si era già visto
che Dio non esisteva.
«Potremmo ascoltare un po’ di
Crass, ora» propose, in quel momento, Aurora. Sembrava felicissima di averlo
lì. La coinquilina, chiaramente, aveva pensato bene di tornarsene a Rovigo per
il week-end. Dato che era mercoledì sera, doveva essere un week-end lungo.
«Ma certo. Perché insistere con i
soliti tre slogan in una lingua sola? Vediamo come suonano in inglese» ribatté
Sensi, stancamente.
Aurora sembrò presa da un dubbio.
«Oh. Forse ti dà fastidio che se la prendano con gli sbirri?».
«No» sospirò Sensi. «Mi dà
fastidio che se la prendano con questo sbirro. Chiarito che il potere è il
male, il governo è il male, la tv è il male, la polizia è il
male, la coca-cola è il male e così via, mi chiedo perché sia
necessario continuare a ripeterlo a oltranza, ma, ehi, non è la monotonia a
uccidermi. Io amo la musica monotona. Solo che questa fa cagare».
Ecco, adesso l’aveva detto e poteva dire addio al suo
Nobile Scopo.
Aurora, infatti, incrociò le
braccia con aria bellicosa. «Scusa, tu non credi che la musica dovrebbe avere
un’utilità sociale?» chiese, un po’ impettita.
«No» rispose Sensi, molto
francamente. Iniziò ad alzarsi.
L’altra aprì la bocca,
oltraggiata.
«Allora davvero eri al May
Day per fare rapporto o, non so, reprimere la libertà di pensiero o...» iniziò,
in tono sostenuto.
Sensi si mise a ridere. «Ero al
May Day per accompagnare un mio amico a vedere quello schifo di gruppo
brutal-death. Ti sei fatta un’idea sbagliata, su di me. Se fossi stato lì per
fare rapporto o, cosa ancora più impegnativa, reprimere la libertà di
pensiero, col cazzo che avrei resistito fino alle tre di notte. Avrei fatto
quello che faccio sempre quando c’è da lavorare, ossia me la sarei squagliata.
E poi, io sono il commissario della squadra mobile. Con me sono al sicuro anche
i ladri e gli assassini, figurati i liberi pensatori».
Aurora annaspò. «Cioè... non ti
importa niente?».
Sensi fece un gesto vago
nell’aria. «Mi importa che Riccardo l’Uomo dei Kleenex non si masturbi davanti
al tuo spioncino, anche se ammetto che non è proprio il primo dei miei
pensieri. Mi importa che non ti uccidano, anche se non credo che sia molto
probabile. Detto questo, se continui a obbligarmi ad ascoltare queste schifezze
hardcore probabilmente ti ucciderò io e sarà stata fatica sprecata».
«Ma ti ho detto che ti
invitavo a una serata hardcore casalinga!».
«Mi chiedo se tu abbia mai
proposto la stessa cosa anche a Riccardo l’Uomo dei Kleenex... perché potrei
cominciare a capirlo».
Sensi andò alla finestra e guardò
fuori. Lo stalker era ancora lì.
Aprì la finestra e si sporse.
«Riccardo!» gridò. «Ti ha mai
proposto una serata hardcore casalinga?».
Lo stalker, preso alla
sprovvista, fece un mezzo salto indietro. Poi alzò lo sguardo verso la
finestra. Uno sguardo pieno di rancore. «Sì!» rispose.
«Lo sapevi che il punk hardcore è
un genere musicale, sì?».
«L’ho scoperto!» ringhiò l’altro.
«Che cosa ci fai tu lì? Chi sei? Aurora sta bene?» aggiunse, poi, con la voce
che saliva di tono.
Sensi richiuse la finestra. «All
right. È uno stalker vero» le comunicò. «Paranoico e tutto quanto. E la musica
hardcore gli fa schifo, a conferma che anche le persone peggiori hanno qualcosa
di buono».
Aurora, palesemente agitata,
faceva avanti e indietro per la stanza.
«Forse non capisci che sto per
impazzire» gli disse, mordicchiandosi un dito quasi a sangue. «È sempre lì,
fintamente premuroso! E tu non sei molto meglio. Secondo te, gli avrei proposto
una serata di sesso estremo e ora lui sarebbe solo incazzato perché è andato in
bianco? Ma sei scemo?».
Sensi sollevò le mani in segno di
resa.
«Ci sono andata a letto... normalmente
a letto, ed è stato il peggior errore della mia vita!» strillò l’altra, che non
aveva ancora finito. «Credi che sia stato bello beccarmi le sue telefonate in
cui mi spiegava che me lo vuole mettere nel culo?».
Sensi, sempre con le mani alzate,
ebbe il buon gusto di sentirsi vagamente in colpa.
«Credi che sia bello trovarmi i
suoi disgustosi fazzolettini dappertutto?» aggiunse Aurora. «Credi che sia
bello starmene qua sapendo che lui è lì sotto?».
«Ehm. No, non dev’essere bello»
ammise Sensi, un po’ a disagio. Il suo Nobile Scopo si era completamente
vaporizzato.
«E allora? Non vuoi ascoltare la
musica che piace e me? Bene! Non vuoi restare, dato che non ho intenzione di
farti uno spogliarello? Benissimo! Magari è anche meglio!».
Ormai piuttosto mortificato,
Sensi decise di ricorrere al rimedio più estremo che conoscesse.
«Mi. Dispiace» scandì, senza
abbassare le mani. «Scusa».
Aurora socchiuse gli occhi,
sospettosa. Era chiaro che avrebbe voluto continuare un altro po’.
«Ah, ti dispiace?» provò a
ritorcere, ma aveva ormai perso lo slancio.
Sensi sospirò e abbassò le mani.
«Sì, mi dispiace. Non vado molto forte, nell’empatizzare con le vittime. E la
cura a base di slogan anti-tutto non ha migliorato il mio umore. Ma hai ragione
tu e ho torto io. Solo che non so proprio che cosa farci. Non posso scendere e
riempire quel tizio di botte, lo capisci?».
Il che era solo parzialmente
vero. Una parte di sé si sarebbe divertita da matti, a riempirlo di botte.
Sensi, piuttosto, non voleva.
L’altra tirò su con il naso, ora
più calma. «Sì, lo capisco. Ma che cosa dovrei fare, allora?».
«Non lo...» iniziò Sensi, ma si
interruppe.
Guardò la finestra, poi guardò il
lampadario.
«Potremmo giocare alle ombre
cinesi» disse.
E, in risposta allo sguardo
perplesso dell’altra, aggiunse: «Certo, dovrai affrontare le spese per una
porta nuova».
Continua...
1 commento:
Ombre cinesi. Eheheheh...
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