Circa sei mesi dopo, l’aveva
chiamato una certa Aurora. Sensi aveva un unico deposito mentale per le tizie
con cui era andato o non era andato a letto e la cosa gli aveva già procurato
problemi in passato.
Quando quella certa Aurora
l’aveva chiamato, quindi, Sensi ci aveva messo ben più che qualche minuto a
ricordarsi chi fosse, che faccia avesse e se ci aveva fatto sesso oppure no.
Sembrava di no.
Aurora non l’aveva chiamato per
quello, comunque.
«Tu sei un commissario, giusto?»
aveva esordito.
«Già. Commissario straordinario
per la tutela delle specie ittiche» aveva provato a disimpegnarsi lui.
«No, scusa... tu sei un
commissario di polizia, me lo ricordo benissimo» aveva replicato l’altra, che
probabilmente aveva dei depositi mentali che assomigliavano a uno schedario
della CIA.
Sensi aveva ammesso di esserlo.
«Oh, bene. Ho uno stalker» aveva
concluso Aurora, soddisfatta.
Sensi aveva imprecato mentalmente
e le aveva detto di passare in questura, dove avrebbe potuto appioppare il suo
caso a qualcun altro. Questo, però, non l’aveva detto.
«No, vedi... è sotto casa mia.
Non posso uscire» aveva spiegato lei.
Sensi non le aveva chiesto perché
non avesse chiamato il 113. Era passato direttamente al punto successivo: «Che
cosa sta facendo?»
«Niente. Sta lì, accanto alla sua
macchina». Il che spiegava anche perché non avesse chiamato il 113. Stare lì,
accanto alla propria macchina, non era un reato.
«La macchina è in divieto?».
Un breve silenzio. «Che cosa c’entra?
No, comunque non è in divieto».
Sensi aveva sospirato. «Non ho
mai fortuna. Vabbe’, vengo».
Era arrivato alla Chiappa venti
minuti più tardi, dopo aver provato l’ebbrezza di percorrere a passo d’uomo la
Spallanzani, la galleria che collegava le due prime periferie della città. Lui
sì che aveva lasciato la macchina in divieto.
Mentre passava, aveva osservato
lo stalker. Un tizio piuttosto normale, sui trentacinque. Un tizio troppo
normale, per l’Aurora che infine Sensi aveva ricordato.
Lei gli aveva aperto il portone e
lui era salito.
La coinquilina, una tizia un po’
sovrappeso che sembrava agli antipodi rispetto ad Aurora, stava uscendo.
«Puoi aspettare un attimo?» aveva
chiesto Sensi. L’altra si era dichiarata subito entusiasta, segno che non vedeva
l’ora di farsi gli affari di qualcun altro.
Sensi era andato in cucina e si
era appoggiato al tavolo. «Ok, chi è il tizio?» aveva chiesto.
«Ma tu sei un poliziotto?» era
intervenuta la coinquilina, scettica.
Sensi aveva alzato gli occhi al
cielo. «Saltiamo questa parte, che ne dite? Sì, sono un poliziotto. Ogni mese
ricevo uno stipendio per non fare niente e opprimere gli innocenti, anche se
non è chiaro come possa opprimere qualcuno senza fare niente. Chi è il tizio?
E, già che ci siamo, come ti chiami tu? Che cosa fai nella vita?».
La coinquilina aveva sgranato gli
occhi, stupita. «Io sono Giada e nella vita faccio la studentessa. Vengo da
Rovigo. Sono iscritta a ingegneria navale».
Sensi aveva sventolato una mano,
come a rimuovere quelle informazioni irrilevanti. «Chi è il tizio?» aveva
chiesto, per la terza volta.
Aurora aveva incrociato le
braccia. Quel giorno aveva una felpa dell’ALF, il che non deponeva proprio a
suo favore, dal punto di vista di Sensi. Non che ce l’avesse con chi voleva
liberare gli animali, solo, non gli sembrava una priorità in un mondo in cui
c’erano da liberare ancora un certo numero di esseri umani.
«È uno» aveva spiegato Aurora.
«Lo conosco da un tot di tempo e non me lo sono mai filato. Poi l’ho
rincontrato al bar dove vado a prendere il caffè quando esco dal turno della
mattina. Abbiamo un po’ chiacchierato, roba del genere».
«Abbiamo un po’ chiacchierato
vuol dire che ci hai parlato o che ci hai scopato?» aveva chiesto Sensi,
cercando di velocizzare la cosa. Non capiva la necessità degli eufemismi, non
l’aveva mai capita.
«Be’, ci sono andata a
letto, ma dopo. Voglio dire, dopo un po’. Ma non eravamo compatibili».
“Certo, quello sembra un tizio
normale” aveva pensato Sensi, privatamente, ma non aveva detto niente.
«Comunque, lui, Riccardo Manna,
ha iniziato a telefonarmi ecc. A proposito, tu non mi hai telefonato»
aveva aggiunto lei, come se fosse perfettamente pertinente.
«Sono io ad aver lasciato il mio
numero a te, non il contrario» aveva precisato Sensi. «Non sono portato per lo
stalking, troppo sbattimento. Dunque, Riccardo inizia a telefonarti. Che genere
di telefonate?».
L’altra si era mordicchiata un
labbro. «Normali, all’inizio. Come stai, che fai stasera, usciamo insieme...
poi un po’ meno normali. Come sei bella, non riesco a dimenticarti... e altre
cose un po’ più spinte».
Sensi aveva sospirato. Eufemismi.
Sempre in agguato. «Più spinte» aveva ripetuto.
«Tipo, cose che voleva fare con
me, ok?».
Sensi si era stropicciato un
occhio. «Violente?».
L’altra era sembrata in
imbarazzo. «Be’, non proprio. Esplicite, diciamo».
«Esplicite». A Sensi erano venuti
in mente i film di Bollywood, in cui qualsiasi riferimento sessuale veniva
rappresentato con un’immagine simbolica. Si era rassegnato. «Potremmo definirle
telefonate sconce?».
«Sì».
«Molestie sessuali?».
«Sì».
«E come mai è qua sotto?».
«Aspetta, non ti ha ancora
raccontato dei kleenex!» aveva interrotto la coinquilina. Sensi l’aveva
guardata. «Kleenex?».
«Le infila dei kleenex usati
nella cassetta delle lettere. Cioè, ci infila, perché la cassetta è
anche mia».
Sensi aveva represso
coscienziosamente una risata. «Volete dirmi che si masturba e poi mette i
fazzolettini sporchi nella cassetta?» aveva chiesto.
In risposta, le due avevano
annuito contemporaneamente, serissime.
«Si piazza qua sotto in macchina,
no? Per lo più sta fuori e guarda, anche tre-quattro ore al giorno. Ogni tanto
entra dentro e poi riemerge con dei fazzolettini usati. Li mette nella cassetta
delle lettere, se qualcuno gli apre, se no li lascia sul gradino. Ma io dico...
se gli aprono, come faccio a sapere che un giorno non me lo ritroverò sul
pianerottolo?».
Era una preoccupazione fondata e
Sensi aveva annuito. «Avete tenuto qualche fazzoletto?» aveva chiesto, senza
nutrire particolari speranze.
«No! Che schifo!» aveva risposto,
infatti, immediatamente, Aurora.
«Hai registrato qualche
telefonata?».
«No... voglio dire, ho cambiato
numero».
«Quindi non ti telefona più».
«Be’, no. Non lo conosce, il
numero nuovo».
«Fruga nella tua spazzatura?».
Aurora era sembrata perplessa.
«Non so. Non credo. La butto nel bidone laggiù, insieme a tutti gli altri
sacchetti».
«Ok, ti dico che cosa farai.
Primo, i prossimi kleenex dovete tenerli. Infilatevi un paio di guanti e
metteteli in una busta per conservare gli alimenti. Secondo, riprendetelo.
Terzo, fossi in te, farei in modo di fargli riavere un numero di telefono, per
poi registrarlo. Puoi denunciarlo per stalking in ogni caso, ma se porti
qualche prova è meglio. Otterrai un provvedimento restrittivo da un giudice. Poi
potremo farlo sloggiare con le cattive».
Aveva tirato fuori il cellulare e
composto un numero. «Per il momento, proviamo a farlo sloggiare con le buone.
Ma tornerà».
Aveva chiamato un’autopattuglia
in modo che gli agenti provassero a parlare con Riccardo l’Uomo dei Kleenex,
sapendo già che non sarebbe servito a niente.
Continua...
2 commenti:
Stavo per scrivere No, va be', ma questi Sensi dove li trova?.
Poi ho pensato che facevo pirma a chiederti No, v a be'?, ma questi come ti vengono?
Te li inventi tu o esistono sul serio?
[Era un modo per dire che -anche- questa puntata ha un solo difetto: Terribilmente troppo breve.]
il parere della psicologa: "la gente è strana".
felice che per il momento ti piaccia! :)
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