mercoledì 18 agosto 2010

Quello che non sai - 17

Forse a causa di un dosaggio imperfetto o del fatto che aveva dimenticato qualche termine mistico, la mistura funzionò solo a metà. Ne aveva bevute due sorsate abbondanti all’angolo di via Torino, dopo essersi assicurato che in giro non ci fosse nessuno.

Aveva poi recitato sottovoce un altro po’ di formule mistiche, anche queste esatte più nel senso che nella forma.

Poi era scomparso.

Be’, quasi.

La sua ombra era ancora lì, perfettamente delineata dall’illuminazione stradale. Non solo era ancora lì, ma si stava stiracchiando in modo preoccupante.

A Sensi venne in mente all’improvviso un possibile effetto collaterale della sua momentanea perdita di immagine corporea. Gli venne anche in mente che ormai era un po’ troppo tardi per porre rimedio e si affrettò a salire sul tetto della sua jeep. Si sentiva un po’ strano, come se si fosse fumato una canna, ma non sapeva se imputare la sensazione alla mistura che aveva ingerito o al fatto che la sua cena era stata solo una lattina di Red Bull. Dal suo punto d’appoggio, dalla sua testa al balconcino di Bonanni c’era circa un metro. L’altezza era un’altra cosa a cui non aveva pensato.

Raccolse tutte le sue forze (la sua ombra stava diventando pericolosamente grossa) e spiccò un salto. Mancò le sbarre della ringhiera del balcone di qualche centimetro e ricadde sul tetto della jeep con un tonfo.

Aggiunse mentalmente alla lista di effetti collaterali della sua impresa un’altra voce: carrozziere.

Saltò di nuovo e questa volta riuscì ad afferrare una sbarra. Rimase a penzoloni per qualche secondo, poi cercò di far forza sugli addominali per issarsi.

Gli addominali protestarono debolmente.

La sua ombra, che evidentemente aveva un istinto di autoconservazione più spiccato del suo, si era già avviticchiata alla ringhiera.

Sensi fece di nuovo forza sui propri addominali e, a quel punto, anche sulla propria ombra e riuscì ad arrampicarsi sul balcone. Rimase fermo ad ansimare per qualche minuto.

Tirò fuori il coltello a serramanico e forzò la persiana. Sperava che la finestra fosse aperta – in fondo faceva un caldo bestiale – ma non la era. Era chiaro che Bonanni amava il piacere piccolo borghese dell’aria condizionata.

Si ingegnò per qualche minuto attorno alla chiusura della finestra.

Vedendo che non riusciva a venirne a capo, sospirò e si piantò il coltello a serramanico nel palmo della mano sinistra. Tanto, rifletté, sapeva che si sarebbe di nuovo arrivati a quello. Quando iniziavi una carriera nel paranormale non ti dicevano mai che saresti diventato una banca del sangue. E del seme, per quel che contava. Almeno per aprire la finestra non aveva dovuto farsi una sega.

Appoggiò la mano sulla serratura, lasciò che il sangue ci gocciolasse dentro e udì lo scatto della maniglia che girava.

Entrò nella casa. La prima stanza era pericolosamente buia. La sua ombra si disperse immediatamente, correndo chissà dove, a fare chissà cosa. Sensi tentò di richiamarla, ma scoprì di avere su di lei una presa piuttosto fiacca. La lasciò zampettare in giro; tanto, alla fine, sarebbe tornata.

Si spostò cautamente verso la camera da letto, rabbrividendo per l’aria condizionata. La porta era socchiusa, così Sensi le diede una spintarella ed entrò. Nella camera da letto, fortunatamente, filtrava un po’ della luce dei lampioni stradali. Sensi ritrovò la sua ombra, che copriva la faccia di Bonanni come una maschera assassina. Ogni tanto, pensò, riusciva persino a rendersi utile. In quanto a Bonanni, dormiva nel suo letto, da solo, del tutto ignaro.

Sensi si spostò lungo i muri. Sollevò un quadro, aprì l’armadio, guardò sotto il letto. Alla fine individuò la cassaforte sotto un altro quadro.

Si riaprì la ferita sulla mano e la appoggiò sulla serratura.

Non era una serratura semplice come quella della finestra. Sensi ne sentì ogni ingranaggio, cercando di capire come funzionava. Obbiettivamente, avrebbe finito per dissanguarsi.

Lanciò un’occhiata veloce alla sua ombra, che continuava a divertirsi a fare il face-hugger, e provò a concentrarsi. La cassaforte si aprì.

Non riusciva a vedere all’interno, così andò a tastoni. Poi si pose il problema delle impronte digitali. Un corpo invisibile lasciava impronte digitali invisibili? Considerando che il suo sangue era già gocciolato ovunque, non gli sembrò un interrogativo così degno di nota.

Prese un pacco di dvd e li portò vicino alla finestra. Vedere dei dvd che fluttuavano nell’aria faceva una certa impressione. Su ognuno c’era una scritta a pennarello, i nomi della lista di Lia. Ne prese uno e se l’infilò in tasca, poi rimise gli altri nella cassaforte e la richiuse.

Andò ad aprire il cassetto del comodino, ma dentro c’era solo una pistola. La scaricò e si infilò i proiettili in tasca, soltanto per dispetto.

Aprì l’altro comodino. Qua c’erano dei dvd, ognuno con un’etichetta. Quello che cercava era proprio in cima. Lo prese.

A quel punto la sua missione notturna poteva dirsi finita.

Osservò la sua ombra che cercava di soffocare Bonanni nel sonno e meditò brevemente di lasciarle terminare il lavoro. Decise che non era il suo tipo di cosa.

Si sentiva debole, intontito e vagamente nauseato.

Aveva sanguinato parecchio. Stava per perdere il controllo della sua ombra. Era il momento di andarsene.

Con la mano ferita prese la propria ombra per le gambe e tirò. Non sembrava intenzionata a staccarsi dal suo pasto. Tirò più forte e sentì una specie di strappo.

Si era strappata l’ombra o il suo corpo? Non era sicuro.

Barcollò fino alla porta d’ingresso e uscì nelle scale. Aveva delle difficoltà a stare in piedi, forse per la schifezza che aveva bevuto, forse per la perdita di sangue o forse perché era stato diviso dalla sua ombra troppo a lungo. Quasi rotolò giù dai gradini un paio di volte.

Di nuovo in strada, provò a ricordarsi l’ultima formula arcana della giornata.

La recitò sottovoce.

Scomparire era stato pressappoco indolore, ma ricomparire non lo fu.

Per prima cosa vide che ai suoi piedi si era formata una pozzanghera di sangue. Poi sentì un forte dolore alla gamba destra, come se qualcuno gli avesse slogato una caviglia. Infine gli sembrò che il suo corpo fosse insopportabilmente pesante.

Guardò verso l’alto, preoccupato, ma la finestra semi-aperta dell’appartamento di Bonanni era pulita.

Prese una bottiglia d’acqua dal bagagliaio e la versò sopra alla pozza di sangue ai suoi piedi, facendola scorrere via nella cunetta.

Si appoggiò alla sua jeep per non cadere.

Le orecchie gli ronzavano, la testa gli girava forte.

Riuscì ad arrivare al posto di guida, strinse il volante più forte che poteva e partì.

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