venerdì 30 novembre 2012

Hardcore - 3


Circa sei mesi dopo, l’aveva chiamato una certa Aurora. Sensi aveva un unico deposito mentale per le tizie con cui era andato o non era andato a letto e la cosa gli aveva già procurato problemi in passato.
Quando quella certa Aurora l’aveva chiamato, quindi, Sensi ci aveva messo ben più che qualche minuto a ricordarsi chi fosse, che faccia avesse e se ci aveva fatto sesso oppure no. Sembrava di no.
Aurora non l’aveva chiamato per quello, comunque.
«Tu sei un commissario, giusto?» aveva esordito.
«Già. Commissario straordinario per la tutela delle specie ittiche» aveva provato a disimpegnarsi lui.
«No, scusa... tu sei un commissario di polizia, me lo ricordo benissimo» aveva replicato l’altra, che probabilmente aveva dei depositi mentali che assomigliavano a uno schedario della CIA.
Sensi aveva ammesso di esserlo.
«Oh, bene. Ho uno stalker» aveva concluso Aurora, soddisfatta.
Sensi aveva imprecato mentalmente e le aveva detto di passare in questura, dove avrebbe potuto appioppare il suo caso a qualcun altro. Questo, però, non l’aveva detto.
«No, vedi... è sotto casa mia. Non posso uscire» aveva spiegato lei.
Sensi non le aveva chiesto perché non avesse chiamato il 113. Era passato direttamente al punto successivo: «Che cosa sta facendo?»
«Niente. Sta lì, accanto alla sua macchina». Il che spiegava anche perché non avesse chiamato il 113. Stare lì, accanto alla propria macchina, non era un reato.
«La macchina è in divieto?».
Un breve silenzio. «Che cosa c’entra? No, comunque non è in divieto».
Sensi aveva sospirato. «Non ho mai fortuna. Vabbe’, vengo».
Era arrivato alla Chiappa venti minuti più tardi, dopo aver provato l’ebbrezza di percorrere a passo d’uomo la Spallanzani, la galleria che collegava le due prime periferie della città. Lui sì che aveva lasciato la macchina in divieto.
Mentre passava, aveva osservato lo stalker. Un tizio piuttosto normale, sui trentacinque. Un tizio troppo normale, per l’Aurora che infine Sensi aveva ricordato.
Lei gli aveva aperto il portone e lui era salito.
La coinquilina, una tizia un po’ sovrappeso che sembrava agli antipodi rispetto ad Aurora, stava uscendo.
«Puoi aspettare un attimo?» aveva chiesto Sensi. L’altra si era dichiarata subito entusiasta, segno che non vedeva l’ora di farsi gli affari di qualcun altro.
Sensi era andato in cucina e si era appoggiato al tavolo. «Ok, chi è il tizio?» aveva chiesto.
«Ma tu sei un poliziotto?» era intervenuta la coinquilina, scettica.
Sensi aveva alzato gli occhi al cielo. «Saltiamo questa parte, che ne dite? Sì, sono un poliziotto. Ogni mese ricevo uno stipendio per non fare niente e opprimere gli innocenti, anche se non è chiaro come possa opprimere qualcuno senza fare niente. Chi è il tizio? E, già che ci siamo, come ti chiami tu? Che cosa fai nella vita?».
La coinquilina aveva sgranato gli occhi, stupita. «Io sono Giada e nella vita faccio la studentessa. Vengo da Rovigo. Sono iscritta a ingegneria navale».
Sensi aveva sventolato una mano, come a rimuovere quelle informazioni irrilevanti. «Chi è il tizio?» aveva chiesto, per la terza volta.
Aurora aveva incrociato le braccia. Quel giorno aveva una felpa dell’ALF, il che non deponeva proprio a suo favore, dal punto di vista di Sensi. Non che ce l’avesse con chi voleva liberare gli animali, solo, non gli sembrava una priorità in un mondo in cui c’erano da liberare ancora un certo numero di esseri umani.
«È uno» aveva spiegato Aurora. «Lo conosco da un tot di tempo e non me lo sono mai filato. Poi l’ho rincontrato al bar dove vado a prendere il caffè quando esco dal turno della mattina. Abbiamo un po’ chiacchierato, roba del genere».
«Abbiamo un po’ chiacchierato vuol dire che ci hai parlato o che ci hai scopato?» aveva chiesto Sensi, cercando di velocizzare la cosa. Non capiva la necessità degli eufemismi, non l’aveva mai capita.
«Be’, ci sono andata a letto, ma dopo. Voglio dire, dopo un po’. Ma non eravamo compatibili».
“Certo, quello sembra un tizio normale” aveva pensato Sensi, privatamente, ma non aveva detto niente.
«Comunque, lui, Riccardo Manna, ha iniziato a telefonarmi ecc. A proposito, tu non mi hai telefonato» aveva aggiunto lei, come se fosse perfettamente pertinente.
«Sono io ad aver lasciato il mio numero a te, non il contrario» aveva precisato Sensi. «Non sono portato per lo stalking, troppo sbattimento. Dunque, Riccardo inizia a telefonarti. Che genere di telefonate?».
L’altra si era mordicchiata un labbro. «Normali, all’inizio. Come stai, che fai stasera, usciamo insieme... poi un po’ meno normali. Come sei bella, non riesco a dimenticarti... e altre cose un po’ più spinte».
Sensi aveva sospirato. Eufemismi. Sempre in agguato. «Più spinte» aveva ripetuto.
«Tipo, cose che voleva fare con me, ok?».
Sensi si era stropicciato un occhio. «Violente?».
L’altra era sembrata in imbarazzo. «Be’, non proprio. Esplicite, diciamo».
«Esplicite». A Sensi erano venuti in mente i film di Bollywood, in cui qualsiasi riferimento sessuale veniva rappresentato con un’immagine simbolica. Si era rassegnato. «Potremmo definirle telefonate sconce?».
«Sì».
«Molestie sessuali?».
«Sì».
«E come mai è qua sotto?».
«Aspetta, non ti ha ancora raccontato dei kleenex!» aveva interrotto la coinquilina. Sensi l’aveva guardata. «Kleenex?».
«Le infila dei kleenex usati nella cassetta delle lettere. Cioè, ci infila, perché la cassetta è anche mia».
Sensi aveva represso coscienziosamente una risata. «Volete dirmi che si masturba e poi mette i fazzolettini sporchi nella cassetta?» aveva chiesto.
In risposta, le due avevano annuito contemporaneamente, serissime.
«Si piazza qua sotto in macchina, no? Per lo più sta fuori e guarda, anche tre-quattro ore al giorno. Ogni tanto entra dentro e poi riemerge con dei fazzolettini usati. Li mette nella cassetta delle lettere, se qualcuno gli apre, se no li lascia sul gradino. Ma io dico... se gli aprono, come faccio a sapere che un giorno non me lo ritroverò sul pianerottolo?».
Era una preoccupazione fondata e Sensi aveva annuito. «Avete tenuto qualche fazzoletto?» aveva chiesto, senza nutrire particolari speranze.
«No! Che schifo!» aveva risposto, infatti, immediatamente, Aurora.
«Hai registrato qualche telefonata?».
«No... voglio dire, ho cambiato numero».
«Quindi non ti telefona più».
«Be’, no. Non lo conosce, il numero nuovo».
«Fruga nella tua spazzatura?».
Aurora era sembrata perplessa. «Non so. Non credo. La butto nel bidone laggiù, insieme a tutti gli altri sacchetti».
«Ok, ti dico che cosa farai. Primo, i prossimi kleenex dovete tenerli. Infilatevi un paio di guanti e metteteli in una busta per conservare gli alimenti. Secondo, riprendetelo. Terzo, fossi in te, farei in modo di fargli riavere un numero di telefono, per poi registrarlo. Puoi denunciarlo per stalking in ogni caso, ma se porti qualche prova è meglio. Otterrai un provvedimento restrittivo da un giudice. Poi potremo farlo sloggiare con le cattive».
Aveva tirato fuori il cellulare e composto un numero. «Per il momento, proviamo a farlo sloggiare con le buone. Ma tornerà».
Aveva chiamato un’autopattuglia in modo che gli agenti provassero a parlare con Riccardo l’Uomo dei Kleenex, sapendo già che non sarebbe servito a niente.

Continua...

giovedì 29 novembre 2012

Hardcore - 2


Quello era stato l’inizio della catena di avvenimenti che l’avrebbero portato a ritrovarsi seduto per terra nella camera di Aurora, con un nobile scopo in veloce via di dissolvimento, preoccupato per se stesso e per il resto della razza umana e con buona parte della mente occupata da un muto grido di dolore.
Dopo aver mandato l’inutile sms alla sua amica – Sensi si era chiesto se fosse quella che stava vomitando o quella che se ne stava fregando – Aurora aveva portato Sensi fino al suo scooter, che era parcheggiato poco distante dalla lattina di acciughe del May Day.
«Magari guido io» aveva proposto il commissario.
«Non sono sbronza» aveva replicato l’altra.
Sensi aveva inarcato le sopracciglia. «Hai appena mandato un sms di sicurezza alla tua amica con sopra un nome che potrebbe non essere il mio. Voglio dire, se avessi avuto intenzione di rapirti e seviziarti non ti avrei detto il mio vero nome. Ma sei sicurissima di non essere sbronza, giusto?».
Sulla fronte dell’altra era comparsa una ruga. Esattamente in quel momento il Nobile Scopo aveva iniziato a formarsi nella mente di Sensi. Il Nobile Scopo era poi portarsela a letto.
Lo accantonò, pensando pragmaticamente che non avrebbe comunque potuto portarsela a letto, se prima si fossero schiantati in scooter. Quella faccenda di Crash con lui non aveva mai funzionato.
«Mi scocciava chiederti un documento, tipo sbirro. Però ora voglio vedere un documento. Poi puoi guidare tu» aveva asserito l’altra.
Sensi aveva tirato fuori il portafogli e le aveva mostrato il suo tesserino di riconoscimento. «Sento che questo renderà ancora più lungo tutto il procedimento, ma non ho dietro la carta d’identità» spiegò.
«Qua c’è scritto “commissario”» aveva detto, infatti, l’altra, strizzando gli occhi per leggere, nella luce incerta fuori dal centro sociale. Sensi aveva pensato troppo tardi che aveva anche una patente. Non sapeva dove, in quale tasca, ma ce l’aveva di sicuro. Erano anni che non la tirava fuori. La cosa bella di essere un poliziotto era che, se ti fermavano alla guida, il tesserino di riconoscimento era molto più utile della patente.
«Già. C’è scritto anche il mio nome, vedi?» aveva provato a tagliare corto. «Ermanno Sensi, come ti ho detto».
«Dovreste avere un numero di riconoscimento sull’elmetto, sai?» aveva replicato l’altra, non molto coerentemente.
«Sono d’accordo» aveva risposto Sensi. «Quando indossiamo un elmetto, naturalmente. Ora non lo indosso e, per la verità, non ce l’ho nemmeno, ma in linea di principio sono d’accordo. Ora andiamo?».
«Non devi fare la pipì?».
Sensi aveva sospirato. «Me la tengo. Torniamo alla civiltà, ok?».
A quel punto Aurora gli aveva dato le chiavi dello scooter e Sensi era salito davanti. Aurora si era infilata un casco e gli si era aggrappata alla vita.
Gli aveva dato indicazioni verso via Sarzana, quella via che Sensi conosceva ma di cui non ricordava il nome. Di lì in poi, era stato facile.
«Se ci fermano...» gli aveva gridato Aurora in un orecchio «...la multa la paghi tu!».
Sensi aveva sorriso lievemente. «Ma certo» aveva confermato. Se li avessero fermati, nessuno avrebbe pagato nessuna multa, almeno quello. Ma dato che Aurora aveva dimenticato di essere in scooter con un suo nemico naturale, non c’era motivo di ricordarglielo.
Sensi li aveva portati fino in città senza incidenti.
Era arrivato fin quasi in piazza Beverini prima che gli venisse un pensiero. «Dove abiti?» aveva chiesto, fermandosi.
«No, non hai capito!» aveva ribattuto l’altra, con espressione offesa. «Non sono così sbronza».
Sensi aveva sospirato per l’ennesima volta. «Sì che lo sei. Troppo sbronza per guidare. Ti porto sotto casa, o da quelle parti, poi torno a piedi».
Quantomeno, lei era sembrata pentita. «Ah» aveva detto. «Alla Chiappa, allora».
«Fantastico» aveva borbottato Sensi, rimettendo in moto. Tralasciando il fatto che la Chiappa era il quartiere con il nome più imbarazzante di tutti i tempi, era anche a mezz’ora da casa sua.
L’aveva portata fin lì, l’aveva aiutata a mettere la catena allo scooter e si era preparato a una scarpinata. Si era anche preparato a trovare uno spiazzo erboso in cui pisciare, dato che ormai stava per mettersi a saltellare.
«Puoi venire a fare la pipì, comunque» lo aveva preceduto l’altra.
Sensi l’aveva interpretato come un segno cosmico.
 *
Dopo la pipì, si erano fatti un’altra birra a testa, giusto per essere sicuri di produrne altra al più presto. Di pipì, non di birra.
Sensi aveva così scoperto che Aurora aveva vent’otto anni, era contro quasi tutto – ma non contro gli alcolici – lavorava in un call center, aveva uno stipendio ridicolo, una coinquilina, due genitori con cui non andava d’accordo, un diploma dell’alberghiero preso per il rotto della cuffia e un tatuaggio a forma di saetta su una spalla.
La cosa del tatuaggio l’aveva scoperta quasi subito, dato che Aurora si era sfilata il giaccone pesante e due o tre strati di maglioni per restare in canottiera. Il Nobile Scopo si era rafforzato nel cervello di Sensi, ma lei stava diventando troppo sbronza per qualsiasi tipo di attività sessuale, a meno di considerare sexy qualcuno che vomita in un cesso.
Così Sensi si era limitato a scolarsi una birra e a lasciarle il suo numero di telefono.
Sensi credeva tantissimo nel sesso da alticci. Sensi aveva l’equivalente di una laurea nella somministrazione di drink alcolici nella Giusta Quantità. La Giusta Quantità, secondo il commissario, era quella necessaria al raggiungimento di quello stato aureo in cui l’idea di finire a letto con un gotico scorbutico e palesemente inaffidabile alle donne non sembrava più una completa stronzata, ma in cui erano ancora in grado di distinguerne la faccia dalle chiappe. Quello stato aureo in cui, dopo il sesso, le donne dormivano e non parlavano e in cui, durante il sesso, dimenticavano di essere moralmente avverse a un certo numero di pratiche che normalmente non avrebbero approvato.
Quello stato aureo, infine, in cui neanche a Sensi veniva voglia di fare troppo il difficile sul numero di cose, animali e piante cui le sue partner erano contrarie. Anche se bisognava ammettere che anche normalmente non se ne faceva turbare più di tanto.
In ogni caso, quella sera Sensi con la seconda birra era arrivato molto vicino a quello stato, mentre Aurora l’aveva già passato da almeno due drink.
Così aveva lasciato il suo numero e portato via il suo corpo, finendo per dimenticare il suo Nobile Scopo qualche giorno più tardi.

Continua...

mercoledì 28 novembre 2012

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Hardcore -- 1


Ermanno Sensi se ne stava seduto sul pavimento della stanza di Aurora e si chiedeva se il nobile scopo che si era prefisso giustificasse tutto quel dolore. Se fosse, in una parola, giusto per se stesso, prima che per tutto il resto del genere umano.
Se lo chiedeva confusamente, frammentariamente, perché, se il suo cervello fosse stato un grafico a torta, la fetta più grande di quel grafico avrebbe avuto l’etichetta “muto grido di dolore”. Un’altra fetta, di minuto in minuto più sottile, avrebbe avuto il titolo “nobile scopo”, appunto, mentre la terza fetta, quasi invisibile, avrebbe potuto chiamarsi “dubbi etici”.
Era iniziato tutto all’RDA May Day, l’unico centro sociale occupato e autogestito della Spezia. Un posto che, di solito, Sensi non frequentava.
Non lo frequentava non perché sentisse che in un centro sociale occupato, formalmente illegale, antimilitarista, anti-stato, anti-potere e anti-tutto, un poliziotto sarebbe stato fuori luogo. Sensi non si considerava un poliziotto, si considerava una zecca attaccata su un capillare periferico della Nazione, per cui passare la serata insieme a dei tizi con tatuato ACAB sulle chiappe non gli dava nessun fastidio. L’acronimo ACAB in quanto tale, poi, gli era sempre sembrato irragionevolmente ottimista. La maggior parte degli sbirri era idiota, non bastarda. Detto questo, la questione, per lui, non aveva grande importanza.
Il motivo vero per cui non frequentava il May Day era che quel posto assomigliava a una lattina di acciughe formato gigante, l’amplificazione faceva schifo, Sensi riusciva sempre a perdersi nell’area industriale labirintica in cui sorgeva e ci passavano musica di merda. O, comunque, musica di merda per uno a cui tutto quello che era più allegro di un requiem sembrava vagamente fuori luogo.
In ogni caso, giovedì sera era andato al May Day per accompagnare un suo amico metallaro a un concerto brutal-death. Brutale lo era stato di sicuro. Il suo amico, che poi era più un conoscente, l’aveva piantato con dei tizi anti-tutto, che non mangiavano carne, pesce, molluschi, latticini, roba di marca, non prendevano farmaci e, specialmente, ci tenevano un casino a dirtelo. Per fortuna la musica brutal-death, almeno in quello, si era rivelata utile. Sensi aveva annuito civilmente, sorseggiando una birra da discount, senza sentire quasi niente di quel che gli gridavano nelle orecchie.
Si era poi reso conto che i tizi non bevevano neanche alcolici, forse per paura che il luppolo della birra avesse sofferto. Quello era stato troppo.
Era uscito nell’aria uggiosa dell’esterno della lattina e si era distratto guardando una lunga ciminiera, a modo suo bella, e altri tipici elementi del paesaggio industriale: recinzioni di filo di ferro, zone brulle sparse a casaccio tra nastri di cemento, lucine fredde e lontane. Se solo avesse fumato, si sarebbe fatto una sigaretta e sarebbe tornato a casa a piedi. Stupidamente, era andato in macchina con il metallaro, che probabilmente stava ormai vomitando da qualche parte nei dintorni.
Non aveva fumato nessuna sigaretta, ma aveva iniziato a incamminarsi lentamente verso un punto. Non sapeva se quel punto fosse in direzione della città, perché non aveva idea di quale fosse la direzione della città, ma da quella parte c’era della gente.
La gente che aveva individuato stava bevendo birra, che era già un buon segno.
Sensi, lo ricordava perfettamente, a quel punto non era sbronzo. Non ci era neanche vicino. Era drammaticamente lucido.
Con grande lucidità, aveva osservato i nuovi tizi appena entrati nel suo campo visivo.
Una era una ragazza con la testa rapata a casaccio, dei pantaloni aderenti e cenciosi, un giaccone militare pieno di spillette e dei grossi anfibi. Stava vomitando sugli unici ciuffi d’erba del posto, probabilmente uccidendoli.
C’era poi un ragazzo alto, con una cresta sbilenca, magro come un chiodo, che beveva e rideva a voce altissima con un suo amico, un tizio simile a lui ma più tracagnotto.
Un’altra ragazza stava assistendo la prima ragazza, ma non sembrava molto convinta. In realtà, si voltava ogni tre secondi per ridere con gli altri due.
Infine, c’era una tizia che sembrava il ritratto dello scazzo.
Sensi si era diretto verso di lei a colpo sicuro.
«Ciao» aveva detto. «Sai mica in che direzione devo andare, per tornare a Spezia?».
La ragazza gli aveva lanciato uno sguardo vacuo. «Ci sei, a Spezia» aveva detto.
Sensi aveva sospirato. «Per quel che ne so, potrei essere anche a Vibo Valentia. Intendevo: devo andare verso il centro, odio camminare, ho freddo e devo pisciare. Farei a meno di perdermi ancora di più. Da che parte devo andare per arrivare, diciamo, in un punto noto?».
La ragazza l’aveva guardato con una certa pietà.
«Sì, ok. Un punto noto, come, che ne so, il cimitero?» aveva aggiunto Sensi, consapevole di non migliorare la propria immagine agli occhi dell’altra. In realtà, c’erano degli altri punti a lui noti, nelle vicinanze, solo che non ne ricordava il nome.
La ragazza si era accesa una sigaretta, con tutta calma.
«Non ti conosco» aveva detto.
Sensi aveva chiuso gli occhi, aveva imprecato mentalmente e se n’era andato. Probabilmente era una tizia anti-sconosciuti. Inutile perdere tempo con lei. Poteva sbagliare strada anche da solo.
«Bastava dirmi come ti chiami, no?» gli era arrivata una voce, dopo qualche minuto. La tizia anti-sconosciuti trotterellava un paio di passi dietro di lui, continuando a fumare. Dalla sua bocca uscivano grandi nuvole di fumo misto a vapore.
«Ermanno, Ermanno Sensi. Ora mi dirai da che cazzo di parte devo andare?».
«Io Aurora. Mando un sms con il tuo nome alla mia amica, poi, se vuoi, ti do uno strappo in scooter».
Sensi aveva guardato l’angolo di brughiera industriale in cui era finito, la tizia palesemente alticcia che gli stava offrendo uno strappo e il cielo blu-grigio sopra le loro teste.
«Ok» aveva detto.

Continua...

martedì 27 novembre 2012

Da domani un nuovo racconto

Ogni promessa è debito. Da domani avrete un nuovo racconto con Sensi. Se l'idea vi piace e volete restituire il favore, postatene l'inizio sui vostri blog (possibilmente, linkando questo sito), parlatene con i vostri amici, twittate o fare tutte quelle altre cose di internet 2.0 che sapete fare così bene.
Il titolo è "Hardcore". Vi siete espressi chiaramente, in merito. E io faccio sempre quello che volete... no?

mercoledì 21 novembre 2012

Playlist

[Dal sondaggio che si è tenuto qua e sulla pagina facebook è emerso che le vostre preferenze vanno a un nuovo racconto e a una tracklist commentata. Per la precisione, su facebook preferite il racconto, qua la tracklist. Avrete entrambi.
Iniziamo dalla musica. Ho creato una playlist su YouTube, qua, ma a causa delle mie note deficienze tecniche non riesco a commentare estesamente come vorrei. Per cui, la riporto qua sotto, con i commenti che avrei voluto inserire. Se l'idea vi piace, potete iscrivervi al canale YouTube. Può darsi che in futuro posterò altri brani. Le cose che sono rimaste fuori sono innumerevoli.
Adesso mi dissocio e lascio la parola a Ermanno. Se questo elemento vi piace, condividetelo, va da sé.]

Ok, gente, questa è la mia playlist ufficiale. Strozzatevici.
Ermanno.


01. The Cure - Lullaby. Banale, ma necessaria. Non è la mia preferita, dei Cure, ma amo la sua falsa allegria. Non so perché, ma la associo al carillon di Profondo Rosso.
È la suoneria del mio cellulare da moltissimo tempo. Dato che dal mio cellulare arrivano per lo più cattive notizie, ho sempre paura di iniziare a detestarla, ma non è ancora successo.
Per la cronaca, il mio album preferito dei Cure è Pornography e la traccia che preferisco ascoltare nei momenti di scoramento (ossia, quasi tutti) è "The Hanging Garden".


02. Joy Division - She's Lost Control. Il gruppo preferito di Nadia. Un tempo, quando sentivo di essere adolescente, anche il mio. Sono poi passato ai New Order. Chiamatele simmetrie.
In fondo, i New Order e io siamo entrambi sopravvissuti a un suicidio.
Non credo di avere nient'altro da dire, in merito. Davvero.


03. New Order - Blue Monday. Come dicevo, New Order. E sai dove sei.
Mi piace il loro modo sottile di dire ciò che i Joy Division ti obbligavano ad ascoltare. Li trovo più ricchi di sfumature, più - Dio mi perdoni - adulti. E anche un po' più autoironici, che non guasta mai. Il loro fato, d'altronde, è quello di venir paragonati a ciò che erano "prima che".


04. Trom - Balmor. Iniziamo a scaldarci un po', ok? Adoro questi matti macabri.
Praticamente sconosciuti ai più, hanno fatto roba che mi fa rotolare sulla schiena dalla goduria. Mi piacciono meno le loro ultime cose. Pescano a piene mani negli stereotipi gotici e lo fanno con eleganza implacabile. Da metà brano in poi, scuotete la testa. È necessario.


05. Alien Sex Fiend - Ignore the Machine. Continuiamo con la musica allegrotta, per il momento.
Allegrotta relativamente, è chiaro. Qualcuno la definirebbe angosciante, ma non io. Per i pomeriggi a letto. Inoltre, gli Alien Sex Fiend hanno un dei nomi più fichi in circolazione.


06. Bauhaus - She's in Parties. Inevitabile.
I Bauhaus sono uno di quei gruppi la cui influenza è equiparabile a un grosso masso lanciato in un campo di gelatina. Gli schizzi sono arrivati dappertutto. Quando ho dovuto costruire il mio look per infiltrarmi nei Figli dell'Anticristo, mi sono pesantemente ispirato a Peter Murphy. Ma chi non si è mai ispirato a lui? Io sono più bello, bisogna dire.


07. Christian Death - Lament (Over The Shadows). E però adesso non eccitiamoci troppo.
Per i momenti di seria tristezza, ci sono sempre i Christian Death. Che sono così soffici che quasi non te ne accorgi. Per un po' ho provato a proporli come sottofondo romantico per altrettanto romantiche cenette casalinghe a base di pizza da asporto, ma per qualche motivo non ha funzionato.


08. Sol Invictus - Raven Chorus. Anzi, ricordiamoci sempre che la monotonia è bella.
Solo, senza sminuire i pur molti pregi di questo gruppo, ricordate anche che non sono l'ideale per i lunghi viaggi in macchina. Non se volete effettivamente arrivare a destinazione senza colpi di sonno. D'altro canto, sono troppo angoscianti per costituire un buon sonnifero quando non riuscite a dormire.


09. Red House Painters - Medicine Bottle. A questo punto della playlist vi ricordo che gli antidepressivi esistono. Usateli.
Per i momenti di angoscia più nera. I Red House Painters non ti deludono mai. Risucchiano la felicità come gli aspiratori Folletto risucchiano la polvere. O, insomma, sugli aspiratori non saprei, ma sui Red House Painters fidatevi.


10. Swans - Children of God. Usateli. Non scherzavo.
Se una minuscola particella di gioia di vivere fosse sopravvissuta ai Red House Painters, ecco la cura. Gli Swans - e anche Michael Gira come solista - vi faranno sprofondare definitivamente nell'abisso. Che poi è un po' quello che voglio io la maggior parte dei giorni.


Bonus Track. Johnny Cash - Folson Prison Blues. Ahaha, non datemi per scontato. Questa era l'ultima.
Un grande maestro. Un grande uomo in nero. Secondo Susanna la sua Ring of Fire è la più grande canzone d'amore di tutti i tempi. Io preferisco la sua cupa visione del mondo in tutti gli altri ambiti. E riesco ad ascoltare canzoni impensabili, se sono cantate da lui.

martedì 13 novembre 2012

Promozioni natalizie

Un veloce sondaggio, giusto per tastare il polso della situazione.

Che cosa preferiresti, come promozione natalizia? (Alcune delle opzioni potrebbero essere fuorvianti)
  
pollcode.com free polls 

Vi segnalo anche la nuova pagina Facebook.

domenica 26 agosto 2012

Un nuovo design e qualche novità

Oltre al cambio di design del sito, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, sono stati migliorati (spero) i contenuti supplementari del sito. In particolare, nella nuova sezione Books è possibile leggere un'anteprima delle prime pagine dei romanzi. È un'anteprima piuttosto ampia e ben fatta, per chi volesse farsi un'idea.
Anche la sezione Free e-Books è stata aggiornata e contiene un racconto apocrifo di Sherlock Holmes in più.

martedì 24 aprile 2012

Satanisti perbene


Satanisti perbene
Susanna Raule
pag. 350, € 14.90

In libreria!
I.
Il controllore era quasi stupito che il ragazzo goth tranquillamente addormentato in mezzo al frastuono di una scolaresca avesse il biglietto in regola.
Per dormire così, con la testa abbandonata contro la scomoda imbottitura del sedile e le gambe ripiegate da un lato, doveva essere come minimo un drogato.
Invece, quando l’aveva cautamente scrollato, il ragazzo l’aveva fissato con due occhietti grigi assonnati ma lucidi e gli aveva mostrato il biglietto. Il controllore a questo punto si era reso conto di due cose. Innanzitutto, il ragazzo non era così giovane come gli era sembrato in un primo momento e doveva essere all’incirca sui trentacinque. Inoltre, il portafogli da cui aveva tirato fuori il biglietto era uno di quelli col distintivo delle forze dell’ordine.
Il controllore non era certo (mal) pagato per meravigliarsi, ma non poté impedirsi di lanciare una seconda occhiata al giovanotto gotico. Era rannicchiato nel suo sedile come se avesse freddo. Questo almeno era normale, dato che, nonostante fossero i primi di giugno, nei vagoni l’aria condizionata era già accesa al massimo. Si stringeva nella maglietta nera a maniche lunghe di qualche improbabile gruppo musicale, il che era già più insolito. O, almeno, questa era l’impressione. Magari era il logo della nuova squadra di nuoto dei carabinieri, che cosa ne sapeva lui?
Il controllore scrollò le spalle, punzonò il biglietto e passò oltre, iniziando a cercare con lo sguardo le insegnanti che accompagnavano la scolaresca. I ragazzini, apparentemente sui tredici-quattordici anni, stavano gridando come gli indiani durante la carica di Little Bighorn. Che cosa ci facessero in gita all’inizio di giugno era un mistero. Le insegnanti, probabilmente, si erano rintanate in un altro vagone. C’erano ragazzini dappertutto e i normali viaggiatori erano scappati da un pezzo.
L’Intercity sferragliava nella campagna lombarda, attraversando risaie allagate e campi coltivati. L’orizzonte era piatto come il fondo di un tegame e velato da una sottile foschia. Era l’umidità di giugno, un clima perfino salutare rispetto a quello che sarebbe diventato ad agosto.
Il controllore si fece largo con espressione stoica tra i ragazzini urlanti. Era troppo vecchio per quel lavoro, pensò per la millesima volta.
Finalmente, proprio nell’ultimo scompartimento, individuò le due insegnanti sulla cinquantina che accompagnavano la scolaresca.
Come previsto, si erano chiuse dentro.
Il controllore sospirò. Per fortuna a Milano mancava solo mezz’ora.
*
Il ragazzo gotico si guardò attorno per qualche minuto, cercando di ricordarsi che cosa cavolo ci faceva nello stesso vagone di un esercito di ultrà minorenni. Quando, finalmente, se lo ricordò, fece una smorfia. L’esercito di ultrà minorenni iniziava a sembrargli quasi gradevole.
Quasi.
Si alzò, si stiracchiò e recuperò il borsone nero che aveva incastrato nel portapacchi.
Col borsone in spalla, caracollò verso il bagno.
Il primo era guasto, il secondo era chiuso. Il terzo aveva un suggestivo odore di fumo e urina stantia, ma sembrava utilizzabile.
Sulla parete di plastica, accanto al lavandino, qualcuno aveva scritto, con un pennarello nero: ‘Il clima cambia e l’umano si estingue. Arrestati, police man. Rubavamo salami’.
Mentre pisciava, il ragazzo gotico lo rilesse tre volte. Non aveva senso, tranne per quella parte dell’arrestati, police man. Quella un senso ce l’aveva eccome, solo che, se era un avvertimento cosmico, arrivava troppo tardi.
Ormai il treno era quasi a Milano.
Il commissario capo Ermanno Sensi si sciacquò la faccia con l’acqua puzzolente del rubinetto e si tirò indietro una ciocca di capelli.
Arrestarsi, pensò.
Ormai era un po’ troppo tardi.

lunedì 2 gennaio 2012

e-books

Buon anno a tutti!
Vi segnalo le modifiche alla sezione "files", qua accanto. Ho creato una nuova pagina, alla quale potete accedere semplicemente cliccando su "free e-books", qua sopra. In questa sezione sono disponibili. gratuitamente, tutti i racconti fin'ora pubblicati, sia in formato epub sia in formato pdf.
Ciao e a presto,

Susanna

venerdì 2 dicembre 2011

Pierrot - 22

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Corro come un dannato tirandomi dietro Liz, attraversando la navata di gente attonita. Sento l’urlo di rabbia del vecchio, che grida: “Ammazzatelo!”

Sento l’urlo di dolore di Romano, che geme: “Figlio di puttana.”

La folla vocia dietro di noi, alzandosi in piedi e facendo stridere le panche sul marmo della chiesa. “Ammazzatelo!” grida di nuovo Don Giuliano, ma è senza speranza.

Dei trecento assassini dietro di noi nemmeno uno ha la pistola. È un matrimonio, cazzo!

Ci sono, però, otto assassini davanti a noi, tutti in doppiopetto nero, tutti un po’ lenti di cervello. Prima devono realizzare. Poi infilarsi la mano nel doppiopetto. Poi togliere la sicura.

Poi sono morti.

Io non vado mai da nessuna cazzo di parte senza pistola, meno che sotto la doccia, e neanche sempre. E di certo non vado disarmato a un matrimonio mafioso, fosse anche uno destinato a spezzarmi il cuore.

Così mentre mi tiro dietro Liz, nel suo abito di tulle color crema che starebbe male anche a Sharon Stone, mi infilo la mano in tasca, estraggo la 9mm, sparo uno-due-tre-quattro-cinque-sei-sette-otto colpi (tutto con ordine, che siamo in America) sui gorilla in doppiopetto.

Otto centri perfetti, sotto tensione, in corsa, completamente fottuto, pazzo e innamorato, otto centri perfetti, non per vantarmi.

Sangue arterioso che schizza. Corpi stramazzati a terra. Urla dietro di me: “Ammazzatelo, ammazzatelo!”

Spalanco le porte della chiesa con un calcio e mi trascino Liz giù per i gradini.

“Sei matta come un cavallo, amore!” urlo, con le orecchie ancora assordate dai miei spari.

“L’ho fatto davvero, eh?” ansima lei, cercando di correre sui tacchi.

“Cazzo, sì!” salto dentro la mia decappottabile verde, che per fortuna ho lasciato fiducioso con la capote abbassata e metto in moto a gran velocità.

“È che forse sono incinta!” grida lei.

“Merda, amore, dovrò cercare di salvare la buccia a tutti e tre, allora!”

Liz si butta dentro la macchina, mi incastro la pistola tra le cosce e do gas. Entro nel casino del traffico strombazzando, quasi metto sotto un pedone, supero nella corsia opposta, in contromano, sdriblo uno-due-tre taxi, faccio un pezzo sul marciapiede, scendo e do ancora gas.

Guardo nello specchietto retrovisore. Ancora niente.

Butto la pistola in grembo a Liz. Lei urla.

“Se qualcuno ci spara da dietro spara anche tu. Non importa cosa prendi. Tira il grilletto e basta, ok?”

Tiro fuori il cellulare e lo apro, cerco il numero di Vargas intanto che guido come un pazzo. Il telefono squilla.

Tuut…

Tuut…

“Vargas.”

“Sono Pierrot. Ti ricordi quel passaporto per donna sui venticinque di dieci giorni fa? Me ne serve un altro, della stessa donna.”

“Ma…”

“E non dirmi che non ti sei tenuto le altre tre foto, perché non ci credo.”

“No, ce l’ho, ma…”

“E mi serve ora. Scendi sotto casa e buttamelo dentro la macchina, che non mi fermo nemmeno.”

“Ehy, Pierrot, ma che cazzo…”

“Lo fai o no, Vargas?”

“Sì, ma…”

“Allora fallo, cazzo, perché sto arrivando con tutta New York dietro!”

E attacco.

Vargas, aeroporto, primo volo disponibile, non importa per dove. Primo volo disponibile: New Orleans. Secondo volo disponibile a New Orlenas: Mexico City. Terzo volo disponibile, da Mexico City: Berlino. Quarto volo disponibile, da Berlino: non mi prendete più, stronzi.

*

Nuovo messaggio sulla mia segreteria telefonica: “Uno: siete tutti americani del cazzo. Due: prendete le vostre pistole e cacciatevele nel culo. Tre: premete il fottuto grilletto. Santé!”

*

E così ritorniamo al punto d’inizio.

Tra tutti sono io il più pericoloso. Santos è freddo ed efficiente, Clyde è spietato e creativo, Lester non ha paura di niente e Romano è puntiglioso, ma io sono imprevedibile.

È per questo che, nel giro, mi chiamavano Pierrot.

FINE

lunedì 28 novembre 2011

Pierrot - 21

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Il mio motto è sempre stato “uccidi e lascia morire”. Non ci provo gusto a dare sulle palle alle persone. Non uccido mai per motivi personali. Be’, quasi mai.

Mi piace farmi i cavolacci miei, girovagare dove mi pare, lavorare per chi voglio io.

Quel pomeriggio mi sbronzai di brutto, ma il giorno dopo stavo partendo per il Messico. Sono un frequent flyer, te l’ho già detto?

Arrivai a Canhcun nel primo pomeriggio, freddai un tizio alle quattro con un colpo di fucile di precisione, da un tetto, senza alcuna ispirazione. Che morisse, quel figlio di puttana!

Mi rimbarcai la sera alle sette, per Panama.

A Panama andai a sbronzarmi con un mio vecchio amico, che mi disse che sembravo disperato. Lasciai perdere il vecchio amico e me ne tornai a New York col primo volo.

Venni a sapere che le nozze sarebbero state celebrate a Saint Patrick, tre giorni dopo. Don Giuliano, forse, voleva togliersi il dente.

Clyde mi chiese di uccidere Romano e io gli dissi di no. Lester mi chiese di uccidere Romano e dissi di no anche a lui.

Cora mi chiese di uccidere Santos, ma non diceva sul serio. Le risposi che era già abbastanza punito dal doversi scopare lei. Cora mi disse che ero acido. Io le risposi che ero scazzato.

“E perché?” chiese Cora.

“Perché sono infelice, cazzo.”

“E perché sei infelice?”

“Perché mi sono dimenticato una cosa in un posto.”

“Ah. È grave?”

“Abbastanza.”

“Ah. Mi dispiace, Pierrot.”

“Non sai quanto dispiace a me.”

“Cos’era?”

“Il mio cervello, niente di serio. Nel mio culo.”

Cora rise e riattaccò, pensando che stessi facendo il misterioso.

Guardai per un po’ la sua foto sul suo passaporto, poi decisi che ero patetico e bruciai foto e passaporto. Dopo ero molto pentito. Costava cinquemila dollari, quel passaporto. E era l’unica foto. Merde.

Sabato mattina. Matrimonio.

Il tuo carissimo stronzo in piedi fuori dalla chiesa con una cicca in bocca (avevo ripreso a fumare) e un completo nuovo che sembrava già stazzonato. Barba di due giorni. Aria incazzata e infelice.

Cordone di sicurezza di uomini in doppio petto nero. Il tuo carissimo stronzo che fuma un’altra sigaretta.

Lester e Clyde che si affiancano al tuo carissimo stronzo. Battute taglienti.

Te la sei scopata anche tu, eh?

Yes, sir.

Cazzo, se la sono scopata tutti.

È una bottana, sir. Cosa normale.

Gli farà un cesto di corna.

Mica sono tanto sicuro, sir.

Meglio era se la accoppavi.

Per dieci pezzi non accoppo nemmeno uno scarafaggio, sir.

La pianti di chiamare me e quest’altro cornuto sir?

No, oggi mi girano le palle così.

Arriva la Madre dello Sposo. Sembra una fottuta bomboniera. Arrivano le Amiche della Madre dello Sposo. Sembrano vecchie battone. Arrivano gli Amici del Padre dello Sposo. Messicani, russi, cinesi, italiani.

Signori, arriva Lo Sposo.

Abbraccia tutti gli stronzi che gli capitano a tiro, gongola visibilmente, ha già il cazzo mezzo barzotto di prima mattina. Non importa se ha la giacca sopra. Io lo so. Lo vedo. Lo percepisco.

Mi abbraccia e io gli strizzo i coglioni per metterlo in imbarazzo. Gli altri ridono. Mi fermo appena un attimo prima di staccarglieli.

Ding-dong, le campane suonano.

Frush-frush, tutti ciabattano dentro alla chiesa. I Parenti dello Sposo da un lato. Gli Amici dello Sposo dall’altro. Niente Parenti e Amici della Sposa.

Tutti sono seduti e mormorano tra loro. Santos è al braccio di Cora. Anche se sono tutti e due già seduti lei non lo molla, non si sa mai.

Le Amiche della Madre dello Sposo parlottano.

Una bottana, povera Concettuzza.

Neanche di classe. Bottana di strada era.

Tempo un anno e diventa una cisterna.

Tempo due mesi e lo mette cornuto.

Nemmeno tanto bella è.

Silenzio imbarazzato. Be’, insomma, volgare. Volgare, volgare, annuiscono le altre.

Parte la marcia nuziale. Teste che si voltano all’indietro. Madre dello Sposo che inizia a piangere. Sposo impettito davanti all’altare, erezione ben evidente (per me). Prete falso-sorridente.

Entra la Sposa col Padre dello Sposo.

Il tuo carissimo stronzo deglutisce piuttosto forte. Tutti gli uomini presenti in sala deglutiscono piuttosto forte. Le donne no. Sibilano.

La Sposa indossa un vestito a bomboniera color crema, che farebbe sembrare un cesso anche Sharon Stone. A lei sta bene.

La marcia nuziale continua. La Sposa e il Padre dello Sposo raggiungono l’altare. Don Giuliano sembra che stia succhiando un limone. Con anche la buccia. La Sposa ha un’aria spersa, angosciata, impaurita, poverina.

Alla mia destra, Lester, alla mia sinistra, Clyde: entrambi con le loro due brave erezioni. Solo io non ne sono munito, mi sento in minoranza.

Mi sento.

Stronzo.

La Sposa e il Padre dello Sposo si fermano davanti all’altare. Lo Sposo è raggiante e si capisce benissimo che ha voglia di toccare sul culo la Sposa. La marcia nuziale sfuma.

Il prete attacca: siamo oggi qui riuniti e bla e bla e bla.

Il pubblico dormicchia. Il pubblico guarda fisso il culo della Sposa, sotto ai quintali di tulle color crema.

Il prete continua: se c’è qualcuno a conoscenza di un motivo per cui questo matrimonio non si debba celebrare parli ora o taccia per sempre.

Silenzio in aula. Risatine nervose. Lo Sposo che si volta a lanciare uno sguardo offeso complessivo: è il mio matrimonio, cazzo!

Il tuo carissimo stronzo guarda il soffitto. È molto alto. Certo, è una chiesa.

Il prete: Vuoi tu, Romano, prendere in sposa la qui presente Elisabeth-Mary, e amarla e rispettarla, in pace e in guerra, sui letti e sui divani, davanti e dietro, finché morte non vi separi, o almeno dopo che lei non sarà più calda?

Romano: Sì lo voglio. Eccome se lo voglio.

Il prete: E vuoi tu Elisabeth-Mary, prendere in matrimonio il qui presente Rotto-in-Culo, e amarlo e rispettarlo, prenderlo davanti dietro e in bocca, cinque volte al giorno come minimo, se no guai, finché finalmente lui non tirerà le cuoia?

Elisabeth-Mary: …

Il prete: Ehm.

Il pubblico: mormorio in veloce salita.

Il Padre dello Sposo: dai! (sottovoce).

La Madre dello Sposo: lacrime copiose.

Lo Sposo: improvvisa debacle.

Il tuo carissimo stronzo: profonda ruga in mezzo alla fronte. Inizio di extrasistole.

La Sposa: No.

No. No. No. No. No. No. Effetto sonoro nella platea. Attonita.

La Sposa si volta verso la platea, guarda il tuo carissimo stronzo. Il tuo carissimo stronzo scatta in piedi, scavalca un Lester che lo fissa con la bocca spalancata, schizza nel corridoio.

“Diamocela a gambe, piccola!” grida il tuo carissimo stronzo, acchiappando una Sposa che-ancora-non-si-rende-ben-conto per una manica di tulle color crema.

La ex-Sposa e il tuo grandissimo stronzo si scapicollano giù per la navata.

E ora.

Sono.

Fottuto.

Pierrot - 20

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Valigia trolley, sacchetto coi vestiti, jeans blu aderentissimi, maglietta bianca senza biancheria. Barca a motore, aereo, altro aereo, ultimo aereo.

Fottutissimo aeroporto JFK. Uomini del vecchio in doppio petto. Romano che corre come al rallenty verso la sua amata fica, le braccia aperte e lo sguardo voglioso. Grande abbraccio, lungo bacio.

Pacca sulla spalla a me. Ero sicuro che non mi potevi fare questo. Ringrazia il tuo vecchio, per me era già becchime per i pesci.

La coppia innamorata che esce dall’aeroporto.

Bye bye, Pierrot.