martedì 24 aprile 2012

Satanisti perbene


Satanisti perbene
Susanna Raule
pag. 350, € 14.90

In libreria!
I.
Il controllore era quasi stupito che il ragazzo goth tranquillamente addormentato in mezzo al frastuono di una scolaresca avesse il biglietto in regola.
Per dormire così, con la testa abbandonata contro la scomoda imbottitura del sedile e le gambe ripiegate da un lato, doveva essere come minimo un drogato.
Invece, quando l’aveva cautamente scrollato, il ragazzo l’aveva fissato con due occhietti grigi assonnati ma lucidi e gli aveva mostrato il biglietto. Il controllore a questo punto si era reso conto di due cose. Innanzitutto, il ragazzo non era così giovane come gli era sembrato in un primo momento e doveva essere all’incirca sui trentacinque. Inoltre, il portafogli da cui aveva tirato fuori il biglietto era uno di quelli col distintivo delle forze dell’ordine.
Il controllore non era certo (mal) pagato per meravigliarsi, ma non poté impedirsi di lanciare una seconda occhiata al giovanotto gotico. Era rannicchiato nel suo sedile come se avesse freddo. Questo almeno era normale, dato che, nonostante fossero i primi di giugno, nei vagoni l’aria condizionata era già accesa al massimo. Si stringeva nella maglietta nera a maniche lunghe di qualche improbabile gruppo musicale, il che era già più insolito. O, almeno, questa era l’impressione. Magari era il logo della nuova squadra di nuoto dei carabinieri, che cosa ne sapeva lui?
Il controllore scrollò le spalle, punzonò il biglietto e passò oltre, iniziando a cercare con lo sguardo le insegnanti che accompagnavano la scolaresca. I ragazzini, apparentemente sui tredici-quattordici anni, stavano gridando come gli indiani durante la carica di Little Bighorn. Che cosa ci facessero in gita all’inizio di giugno era un mistero. Le insegnanti, probabilmente, si erano rintanate in un altro vagone. C’erano ragazzini dappertutto e i normali viaggiatori erano scappati da un pezzo.
L’Intercity sferragliava nella campagna lombarda, attraversando risaie allagate e campi coltivati. L’orizzonte era piatto come il fondo di un tegame e velato da una sottile foschia. Era l’umidità di giugno, un clima perfino salutare rispetto a quello che sarebbe diventato ad agosto.
Il controllore si fece largo con espressione stoica tra i ragazzini urlanti. Era troppo vecchio per quel lavoro, pensò per la millesima volta.
Finalmente, proprio nell’ultimo scompartimento, individuò le due insegnanti sulla cinquantina che accompagnavano la scolaresca.
Come previsto, si erano chiuse dentro.
Il controllore sospirò. Per fortuna a Milano mancava solo mezz’ora.
*
Il ragazzo gotico si guardò attorno per qualche minuto, cercando di ricordarsi che cosa cavolo ci faceva nello stesso vagone di un esercito di ultrà minorenni. Quando, finalmente, se lo ricordò, fece una smorfia. L’esercito di ultrà minorenni iniziava a sembrargli quasi gradevole.
Quasi.
Si alzò, si stiracchiò e recuperò il borsone nero che aveva incastrato nel portapacchi.
Col borsone in spalla, caracollò verso il bagno.
Il primo era guasto, il secondo era chiuso. Il terzo aveva un suggestivo odore di fumo e urina stantia, ma sembrava utilizzabile.
Sulla parete di plastica, accanto al lavandino, qualcuno aveva scritto, con un pennarello nero: ‘Il clima cambia e l’umano si estingue. Arrestati, police man. Rubavamo salami’.
Mentre pisciava, il ragazzo gotico lo rilesse tre volte. Non aveva senso, tranne per quella parte dell’arrestati, police man. Quella un senso ce l’aveva eccome, solo che, se era un avvertimento cosmico, arrivava troppo tardi.
Ormai il treno era quasi a Milano.
Il commissario capo Ermanno Sensi si sciacquò la faccia con l’acqua puzzolente del rubinetto e si tirò indietro una ciocca di capelli.
Arrestarsi, pensò.
Ormai era un po’ troppo tardi.

lunedì 2 gennaio 2012

e-books

Buon anno a tutti!
Vi segnalo le modifiche alla sezione "files", qua accanto. Ho creato una nuova pagina, alla quale potete accedere semplicemente cliccando su "free e-books", qua sopra. In questa sezione sono disponibili. gratuitamente, tutti i racconti fin'ora pubblicati, sia in formato epub sia in formato pdf.
Ciao e a presto,

Susanna

venerdì 2 dicembre 2011

Pierrot - 22

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Corro come un dannato tirandomi dietro Liz, attraversando la navata di gente attonita. Sento l’urlo di rabbia del vecchio, che grida: “Ammazzatelo!”

Sento l’urlo di dolore di Romano, che geme: “Figlio di puttana.”

La folla vocia dietro di noi, alzandosi in piedi e facendo stridere le panche sul marmo della chiesa. “Ammazzatelo!” grida di nuovo Don Giuliano, ma è senza speranza.

Dei trecento assassini dietro di noi nemmeno uno ha la pistola. È un matrimonio, cazzo!

Ci sono, però, otto assassini davanti a noi, tutti in doppiopetto nero, tutti un po’ lenti di cervello. Prima devono realizzare. Poi infilarsi la mano nel doppiopetto. Poi togliere la sicura.

Poi sono morti.

Io non vado mai da nessuna cazzo di parte senza pistola, meno che sotto la doccia, e neanche sempre. E di certo non vado disarmato a un matrimonio mafioso, fosse anche uno destinato a spezzarmi il cuore.

Così mentre mi tiro dietro Liz, nel suo abito di tulle color crema che starebbe male anche a Sharon Stone, mi infilo la mano in tasca, estraggo la 9mm, sparo uno-due-tre-quattro-cinque-sei-sette-otto colpi (tutto con ordine, che siamo in America) sui gorilla in doppiopetto.

Otto centri perfetti, sotto tensione, in corsa, completamente fottuto, pazzo e innamorato, otto centri perfetti, non per vantarmi.

Sangue arterioso che schizza. Corpi stramazzati a terra. Urla dietro di me: “Ammazzatelo, ammazzatelo!”

Spalanco le porte della chiesa con un calcio e mi trascino Liz giù per i gradini.

“Sei matta come un cavallo, amore!” urlo, con le orecchie ancora assordate dai miei spari.

“L’ho fatto davvero, eh?” ansima lei, cercando di correre sui tacchi.

“Cazzo, sì!” salto dentro la mia decappottabile verde, che per fortuna ho lasciato fiducioso con la capote abbassata e metto in moto a gran velocità.

“È che forse sono incinta!” grida lei.

“Merda, amore, dovrò cercare di salvare la buccia a tutti e tre, allora!”

Liz si butta dentro la macchina, mi incastro la pistola tra le cosce e do gas. Entro nel casino del traffico strombazzando, quasi metto sotto un pedone, supero nella corsia opposta, in contromano, sdriblo uno-due-tre taxi, faccio un pezzo sul marciapiede, scendo e do ancora gas.

Guardo nello specchietto retrovisore. Ancora niente.

Butto la pistola in grembo a Liz. Lei urla.

“Se qualcuno ci spara da dietro spara anche tu. Non importa cosa prendi. Tira il grilletto e basta, ok?”

Tiro fuori il cellulare e lo apro, cerco il numero di Vargas intanto che guido come un pazzo. Il telefono squilla.

Tuut…

Tuut…

“Vargas.”

“Sono Pierrot. Ti ricordi quel passaporto per donna sui venticinque di dieci giorni fa? Me ne serve un altro, della stessa donna.”

“Ma…”

“E non dirmi che non ti sei tenuto le altre tre foto, perché non ci credo.”

“No, ce l’ho, ma…”

“E mi serve ora. Scendi sotto casa e buttamelo dentro la macchina, che non mi fermo nemmeno.”

“Ehy, Pierrot, ma che cazzo…”

“Lo fai o no, Vargas?”

“Sì, ma…”

“Allora fallo, cazzo, perché sto arrivando con tutta New York dietro!”

E attacco.

Vargas, aeroporto, primo volo disponibile, non importa per dove. Primo volo disponibile: New Orleans. Secondo volo disponibile a New Orlenas: Mexico City. Terzo volo disponibile, da Mexico City: Berlino. Quarto volo disponibile, da Berlino: non mi prendete più, stronzi.

*

Nuovo messaggio sulla mia segreteria telefonica: “Uno: siete tutti americani del cazzo. Due: prendete le vostre pistole e cacciatevele nel culo. Tre: premete il fottuto grilletto. Santé!”

*

E così ritorniamo al punto d’inizio.

Tra tutti sono io il più pericoloso. Santos è freddo ed efficiente, Clyde è spietato e creativo, Lester non ha paura di niente e Romano è puntiglioso, ma io sono imprevedibile.

È per questo che, nel giro, mi chiamavano Pierrot.

FINE

lunedì 28 novembre 2011

Pierrot - 21

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Il mio motto è sempre stato “uccidi e lascia morire”. Non ci provo gusto a dare sulle palle alle persone. Non uccido mai per motivi personali. Be’, quasi mai.

Mi piace farmi i cavolacci miei, girovagare dove mi pare, lavorare per chi voglio io.

Quel pomeriggio mi sbronzai di brutto, ma il giorno dopo stavo partendo per il Messico. Sono un frequent flyer, te l’ho già detto?

Arrivai a Canhcun nel primo pomeriggio, freddai un tizio alle quattro con un colpo di fucile di precisione, da un tetto, senza alcuna ispirazione. Che morisse, quel figlio di puttana!

Mi rimbarcai la sera alle sette, per Panama.

A Panama andai a sbronzarmi con un mio vecchio amico, che mi disse che sembravo disperato. Lasciai perdere il vecchio amico e me ne tornai a New York col primo volo.

Venni a sapere che le nozze sarebbero state celebrate a Saint Patrick, tre giorni dopo. Don Giuliano, forse, voleva togliersi il dente.

Clyde mi chiese di uccidere Romano e io gli dissi di no. Lester mi chiese di uccidere Romano e dissi di no anche a lui.

Cora mi chiese di uccidere Santos, ma non diceva sul serio. Le risposi che era già abbastanza punito dal doversi scopare lei. Cora mi disse che ero acido. Io le risposi che ero scazzato.

“E perché?” chiese Cora.

“Perché sono infelice, cazzo.”

“E perché sei infelice?”

“Perché mi sono dimenticato una cosa in un posto.”

“Ah. È grave?”

“Abbastanza.”

“Ah. Mi dispiace, Pierrot.”

“Non sai quanto dispiace a me.”

“Cos’era?”

“Il mio cervello, niente di serio. Nel mio culo.”

Cora rise e riattaccò, pensando che stessi facendo il misterioso.

Guardai per un po’ la sua foto sul suo passaporto, poi decisi che ero patetico e bruciai foto e passaporto. Dopo ero molto pentito. Costava cinquemila dollari, quel passaporto. E era l’unica foto. Merde.

Sabato mattina. Matrimonio.

Il tuo carissimo stronzo in piedi fuori dalla chiesa con una cicca in bocca (avevo ripreso a fumare) e un completo nuovo che sembrava già stazzonato. Barba di due giorni. Aria incazzata e infelice.

Cordone di sicurezza di uomini in doppio petto nero. Il tuo carissimo stronzo che fuma un’altra sigaretta.

Lester e Clyde che si affiancano al tuo carissimo stronzo. Battute taglienti.

Te la sei scopata anche tu, eh?

Yes, sir.

Cazzo, se la sono scopata tutti.

È una bottana, sir. Cosa normale.

Gli farà un cesto di corna.

Mica sono tanto sicuro, sir.

Meglio era se la accoppavi.

Per dieci pezzi non accoppo nemmeno uno scarafaggio, sir.

La pianti di chiamare me e quest’altro cornuto sir?

No, oggi mi girano le palle così.

Arriva la Madre dello Sposo. Sembra una fottuta bomboniera. Arrivano le Amiche della Madre dello Sposo. Sembrano vecchie battone. Arrivano gli Amici del Padre dello Sposo. Messicani, russi, cinesi, italiani.

Signori, arriva Lo Sposo.

Abbraccia tutti gli stronzi che gli capitano a tiro, gongola visibilmente, ha già il cazzo mezzo barzotto di prima mattina. Non importa se ha la giacca sopra. Io lo so. Lo vedo. Lo percepisco.

Mi abbraccia e io gli strizzo i coglioni per metterlo in imbarazzo. Gli altri ridono. Mi fermo appena un attimo prima di staccarglieli.

Ding-dong, le campane suonano.

Frush-frush, tutti ciabattano dentro alla chiesa. I Parenti dello Sposo da un lato. Gli Amici dello Sposo dall’altro. Niente Parenti e Amici della Sposa.

Tutti sono seduti e mormorano tra loro. Santos è al braccio di Cora. Anche se sono tutti e due già seduti lei non lo molla, non si sa mai.

Le Amiche della Madre dello Sposo parlottano.

Una bottana, povera Concettuzza.

Neanche di classe. Bottana di strada era.

Tempo un anno e diventa una cisterna.

Tempo due mesi e lo mette cornuto.

Nemmeno tanto bella è.

Silenzio imbarazzato. Be’, insomma, volgare. Volgare, volgare, annuiscono le altre.

Parte la marcia nuziale. Teste che si voltano all’indietro. Madre dello Sposo che inizia a piangere. Sposo impettito davanti all’altare, erezione ben evidente (per me). Prete falso-sorridente.

Entra la Sposa col Padre dello Sposo.

Il tuo carissimo stronzo deglutisce piuttosto forte. Tutti gli uomini presenti in sala deglutiscono piuttosto forte. Le donne no. Sibilano.

La Sposa indossa un vestito a bomboniera color crema, che farebbe sembrare un cesso anche Sharon Stone. A lei sta bene.

La marcia nuziale continua. La Sposa e il Padre dello Sposo raggiungono l’altare. Don Giuliano sembra che stia succhiando un limone. Con anche la buccia. La Sposa ha un’aria spersa, angosciata, impaurita, poverina.

Alla mia destra, Lester, alla mia sinistra, Clyde: entrambi con le loro due brave erezioni. Solo io non ne sono munito, mi sento in minoranza.

Mi sento.

Stronzo.

La Sposa e il Padre dello Sposo si fermano davanti all’altare. Lo Sposo è raggiante e si capisce benissimo che ha voglia di toccare sul culo la Sposa. La marcia nuziale sfuma.

Il prete attacca: siamo oggi qui riuniti e bla e bla e bla.

Il pubblico dormicchia. Il pubblico guarda fisso il culo della Sposa, sotto ai quintali di tulle color crema.

Il prete continua: se c’è qualcuno a conoscenza di un motivo per cui questo matrimonio non si debba celebrare parli ora o taccia per sempre.

Silenzio in aula. Risatine nervose. Lo Sposo che si volta a lanciare uno sguardo offeso complessivo: è il mio matrimonio, cazzo!

Il tuo carissimo stronzo guarda il soffitto. È molto alto. Certo, è una chiesa.

Il prete: Vuoi tu, Romano, prendere in sposa la qui presente Elisabeth-Mary, e amarla e rispettarla, in pace e in guerra, sui letti e sui divani, davanti e dietro, finché morte non vi separi, o almeno dopo che lei non sarà più calda?

Romano: Sì lo voglio. Eccome se lo voglio.

Il prete: E vuoi tu Elisabeth-Mary, prendere in matrimonio il qui presente Rotto-in-Culo, e amarlo e rispettarlo, prenderlo davanti dietro e in bocca, cinque volte al giorno come minimo, se no guai, finché finalmente lui non tirerà le cuoia?

Elisabeth-Mary: …

Il prete: Ehm.

Il pubblico: mormorio in veloce salita.

Il Padre dello Sposo: dai! (sottovoce).

La Madre dello Sposo: lacrime copiose.

Lo Sposo: improvvisa debacle.

Il tuo carissimo stronzo: profonda ruga in mezzo alla fronte. Inizio di extrasistole.

La Sposa: No.

No. No. No. No. No. No. Effetto sonoro nella platea. Attonita.

La Sposa si volta verso la platea, guarda il tuo carissimo stronzo. Il tuo carissimo stronzo scatta in piedi, scavalca un Lester che lo fissa con la bocca spalancata, schizza nel corridoio.

“Diamocela a gambe, piccola!” grida il tuo carissimo stronzo, acchiappando una Sposa che-ancora-non-si-rende-ben-conto per una manica di tulle color crema.

La ex-Sposa e il tuo grandissimo stronzo si scapicollano giù per la navata.

E ora.

Sono.

Fottuto.

Pierrot - 20

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Valigia trolley, sacchetto coi vestiti, jeans blu aderentissimi, maglietta bianca senza biancheria. Barca a motore, aereo, altro aereo, ultimo aereo.

Fottutissimo aeroporto JFK. Uomini del vecchio in doppio petto. Romano che corre come al rallenty verso la sua amata fica, le braccia aperte e lo sguardo voglioso. Grande abbraccio, lungo bacio.

Pacca sulla spalla a me. Ero sicuro che non mi potevi fare questo. Ringrazia il tuo vecchio, per me era già becchime per i pesci.

La coppia innamorata che esce dall’aeroporto.

Bye bye, Pierrot.

giovedì 17 novembre 2011

Pierrot - 19

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Occhei, ascolta Pierrot…”

“Sì, signore?”

“Mi arrendo, riporta la bottana indietro.”

“Sì, signore.”

“Sta ancora bene?”

“Mi sembra di sì.”

“Non te la sei scopata, vero?”

“Nove volte solo stanotte, Don.”

Breve risata. “Riportala, dannazione. E che mio figlio ci si strozzi.”

“Me lo auguro, signore.”

Pierrot - 18

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Dunque; devi capire che quando faccio una stronzata io la faccio con tutti i crismi. Non sono per le mezze misure. Sicché lasciammo perdere le pizze e rimanemmo nel letto a fare gli stupidi.

Oh, ma che carina questa cosa…

Oh, ma che tenerezza quest’altra…

Oh, mi piacciono i tuoi occhi…

Oh, mi piacciono le tue mani…

Insomma: hai capito. Verso le due ci ricordammo delle pizze, le finimmo di cuocere (cosa altamente sconsigliabile, credo) e ce le mangiammo a letto. Poi pensammo bene di smaltirle.

Mi addormentai con la sua testa sul petto e, ne sono sicuro, una faccia ebete.

Bene.

Benissimo.

mercoledì 16 novembre 2011

Pierrot - 17

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Riemersi dalla biblioteca solo tre ore più tardi, quando il sole era vicino al tramonto. La trovai in cucina, vestita grazie al cielo, che guardava la zuppiera con dentro la pasta. Non sono una persona sensibile, ma giuro che mi si strinse il cuore.

“È lievitata, vero?” chiesi.

Lei mi fissò con aria raggiante. “È diventata tre volte più grande. Non avevo mai visto una cosa del genere.”

Ridacchiai, perplesso. Immaginavo che ne avesse viste a iosa, invece, ma era carino che non ci avesse pensato.

“Vieni qua, annusala.”

Lei obbedì con entusiasmo. “Ha un odore buonissimo! Che cosa ci facciamo?”

Le presi una mano e gliela misi sopra alla pasta. Ne sembrò deliziata. “Come è liscia… e morbida…”

Più o meno come la tua pelle, avrei voluto dirle, ma mi morsi la lingua.

“Tirala fuori, ora. Stendila sul tagliere.”

Liz la afferrò delicatamente da sotto e la trasportò sul tavolo come se fosse un bambino piccolo. La adagiò e la accarezzò un po’.

Le passai il matterello.

“Adesso la spianiamo. Devi staccarne un pezzo grosso più o meno così,” le indicai la misura. “E poi la spiani finché non diventa alta circa mezzo centimetro.”

“Okay,” disse lei, e provò a eseguire. Non fu un’operazione impeccabile, devo dire, ma avrebbe potuto andare peggio. Alla fine aggiustai un po’ il prodotto dei suoi sforzi e iniziai a far roteare la pasta in cerchio, in modo da renderla della forma giusta.

A quel punto Liz capì:

“La pizza! Stai facendo la pizza!”

“Brava Sherlock,” la presi bonariamente in giro, io.

Lei batté le mani. “Io adoro la pizza!”

E io adoro te, cazzo.

Oliai una teglia e ci sbattei sopra la pasta. “Accendi il forno,” dissi, e Liz eseguì, solerte.

Sparsi un po’ di pomarola sopra alla pizza con un mestolo. L’odore a crudo era buono il che mi sembrava positivo.

Infornai la teglia e mi dedicai di nuovo alla pasta. Iniziai a spianarla con le mani. Ero quasi sicuro che fosse più professionale. I pizzaioli, nei posti dove ti facevano vedere come si faceva, non usavano mai il matterello. O forse sì?

Liz mi accarezzò una mano, mentre affondava nella pasta.

“Mi piacciono le tue mani,” disse. “Non tremano mai. Sono forti e hanno quelle vene, là, sul dorso… non mi piacciono le mani pingui.”

La fissai per un attimo, serio. Poi le feci un minuscolo sorrisetto. “Grazie,” risposi, asciutto.

Ripresi a modellare la pasta e iniziai a farla roteare. Stava funzionando, mi sembrava. La appoggiai su un’altra teglia oliata, misi la pomarola e infornai anche quella.

“Penso che tu sia un bell’uomo,” ricominciò a parlare Liz, assorta. Sentivo il suo sguardo sulla mia nuca.

“Oh, si’… Tom Cruise mi telefona sempre per sapere come faccio!”

“Non assomigli affatto a Tom Cruise. A me piaci di più, ad esempio.”

Sospirai. Mi voltai.

“Liz? Che cosa vuoi da me?”

Lei si strinse nelle spalle. “Non potrei rimanere con te, giusto?”

Chiusi gli occhi. “No.”

“Sì, ok. Questo lo so. A Don Giuliano non piacerebbe. Se mi riporti a New York sposerò Romano. Questo è chiaro. Non sono idiota, Pierre. Solo, volevo sapere… se non dovessi sposarmi con Romano, no? E se tu non dovessi uccidermi… in questa ipotetica ipotesi… allora mi lasceresti rimanere con te?”

La guardai. Sospirai.

“Amore, non ti piacerebbe neanche un po’.”

Lei si strinse nelle spalle: “Ma tu mi lasceresti restare?”

“Non lo so. A me piace stare da solo, sai?”

“Io non darei fastidio.”

Le sorrisi. “Che cosa importa? Tanto non succederà, perché farsi queste domande?”

“Perché vorrei sapere se potrei interessare a qualcuno anche come persona,” rispose lei, come se fosse ovvio. E, merda, mi colpì e affondò.

Fu una roba tipo Waterloo: l’annientamento del nemico. Che stronzone.

Be’, sai com’è, la abbracciai e le sussurrai nell’orecchio: “Ma certo che c’è qualcuno a cui interessi come persona. Siamo maschi, piccola, ma ogni tanto il nostro cervello prende il controllo anche lui.”

Lei mi si era stretta contro e io mentalmente immaginavo tante istantanee venti per venti sulla scrivania di Don Giuliano, il che non era proprio rilassante.

Rimanemmo lì per un po’, lei con la testa appoggiata contro alla mia spalla, io con le braccia attorno alla sua vita.

Poi Liz sollevò la testa e mi baciò dolcemente sulla bocca.

E cosa credi che abbia fatto lo stronzone qui presente? Si è forse messo a gridare: “Brucia la pizza?”, ha forse fatto un salto all’indietro?

No, certo che no. Ovvio.

Invece spensi il forno con un movimento quasi subliminale, strinsi più forte Liz, e la baciai con passione.

Circa quattro millisecondi più tardi eravamo sul letto, mezzi nudi, che facevamo esattamente quello che Don Giuliano mi aveva pregato di non fare. E questa volta lo stavamo facendo per bene, ti assicuro.

Nessuno smacco, questa volta.

martedì 15 novembre 2011

Pierrot - 16

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Siccome iniziavo a rompermi le scatole di brutto, quel pomeriggio mi dedicai all’alta cucina. Cioè, si fa per dire. In quanto scapolo a tempo indeterminato avevo imparato a cucinarmi tutta una serie di cose, ma in quanto uomo benestante mangiavo fuori spesso e volentieri.

Comunque: stesi della farina sul tagliere e aggiunsi sale e acqua. Impastai il tutto finché non diventò una massa morbida e compatta, aggiungendo il lievito.

Liz mi guardava con faccia stranita.

“Ehy, che cosa stai preparando?”

“Aspetta e vedrai.”

“Posso aiutare?”

“Ma certo. Prendi i pelati e buttali nel tritatutto.”

La vidi osservare la dispensa smarrita. “Quei pomodori senza buccia nella scatoletta,” spiegai. E che cazzo! Pelati: mica bisogna essere nati a Napoli per conoscerli.

Misi la mia pagnottella dentro una zuppiera e ci stesi sopra uno strofinaccio pulito.

Quando Liz riuscì ad aprire le scatolette e a versarne il contenuto nel tritatutto iniziai a preparare la pomarola.

Era semplice: bastava aggiungere uno spicchio di cipolla e del basilico. Sulla cipolla non ero tanto sicuro, ma il basilico non ce l’avevo. Diedi una bella shakerata col tritatutto, lasciando dei pezzi di pelato interi, qua e là.

Dopo di che annunciai che se ne sarebbe riparlato dopo varie ore e ordinai a Liz di non scoprire assolutamente la pasta.

Lei mi seguì come un cagnolino in spiaggia, dove si spogliò e si buttò in acqua. Sentii un rimescolio nelle mie parti basse, ma non mossi un muscolo per raggiungerla. Mi limitai a fissarla dalla riva con la bava alla bocca.

I suoi lunghi capelli neri rilucevano d’acqua e di sole, la curva perfetta dei suoi seni si stagliava contro l’azzurro del mare, la rotonda meraviglia delle sue natiche ondeggiava al filo dell’acqua.

Dannazione, potevo almeno asserire di essermi scopato la donna più bella del mondo. Come altri quattro milioni di tizi, d’altronde.

Quando riemerse gocciolante dall’acqua guardai altrove. Vedi, il mio ragionamento era semplice: me la scopo ancora e lei non dirà niente. Domani Romano le chiede se l’ho fatto e lei risponde di sì. Semplice. Quella tizia non era capace di mentire in modo convincente.

Lei venne a gocciolarmi vicino e io mi alzai e rientrai in casa. Senza dire una parola.

“Ti ho fatto arrabbiare Pierre?” la sentii chiedere, mentre mi seguiva come un cagnolino.

“No, Liz. È tutto ok. Volevo controllare la pasta.”

“Ma hai detto che non si può sollevare lo straccio…”

“Sì, ma si può capire se si è gonfiata come deve.”

“Ah. Si gonfia?”

Sì, maledizione, se continui a gocciolarmi davanti!

“Lievita, no? Quando ha finito di lievitare si può usare.”

“E quanto deve lievitare?”

Ancora un po’ e esplode, cocca!

“Bho? Cinque, sei ore, mi pare.”

“Ne sono passate solo due.”

“Ok, Liz. Adesso ascoltami: è bello che tu voglia aiutare, ma il cuoco sono io, va bene? Se voglio controllare la cazzo di pasta saranno fatti miei?”

Lei mi sembrò rattristarsi.

“Mi dispiace.”

Ecco, adesso era triste e quasi piangente, e continuava a gocciolare.

“Non sono arrabbiato!” esclamai. E poi, poco dignitosamente, me la diedi a gambe.

lunedì 14 novembre 2011

Pierrot - 15

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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“Romano è ancora a pezzi, Pierrot,” mi disse Giuliano, il giorno dopo.

“Mica gli passa, se continua così,” commentai, svagato.

“Lei come sta?”

“Bene. L’ho fatta pescare ieri.”

“Pescare?”

“Sissignore. Non ha preso un cazzo. Io un pesce che non sapevo se era commestibile, così l’ho ributtato in acqua.”

“Senti un po’, Pierrot… mi stai prendendo per il culo?”

“Che cosa vuole che le succeda, Don? A parte che l’ammazzi io, è chiaro.”

“Non te la sei scopata ancora, vero?”

“Nossignore. Mi era già passata la voglia, comunque.”

“Be’, a mio figlio no, Maddonnuzza santa.”

“Devo riportarla?”

“Aspettiamo ancora un po’.”

Pierrot - 14

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Era calato il buio quando lei mi raggiunse sul divano su cui mi ero accampato. E che Don Giuliano potesse morire male e morire tardi!

“Ho paura, da sola,” mi disse, mentre si sedeva accanto a me. “Non dormo mai da sola. Ti prego, vieni di là, non lo dirò a nessuno.”

Mi scostai il lenzuolo di dosso e la seguii senza una parola. Ero stanco di tutta quella storia. Possibile che nessuno di quegli inetti avesse saputo tenersi una donna che aveva paura di dormire da sola? Che non era in grado di dire di no a niente?

Mi stesi al suo fianco e chiusi gli occhi.

“Ci ho pensato, sai?” mi disse.

Riaprii un occhio a metà. Un quarto della mia attenzione in tutto.

“A cosa?”

“A quello che vorrei fare. Se potessi, intendo.”

“Ah. E che cosa vorresti fare?”

“Rimanere con te, quando sei buono. Lavare le tue cose, prepararti da mangiare e dormire insieme a te. Magari anche pescare. Non è difficile.”

Richiusi anche il mezzo occhio che avevo aperto e feci finta di dormire.

sabato 12 novembre 2011

Pierrot - 13

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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“Mi piace questa casa,” mi disse lei, quella sera, a cena.

“Già,” risposi. “Piace anche a me. Un vero peccato doverla vendere, se ti riporto a New York.”

“Perché? Che cosa c’entra, scusa?”

Mi infilai in bocca una forchettata di insalata e mi strinsi nelle spalle. “Nessuno sapeva dov’era, prima, e nessuno saprà dov’è la prossima. Non voglio che qualcuno mi insegua fin qua per provare a farmi la pelle, o semplicemente per assillarmi.”

“Tu non dici mai niente di te. Da dove vieni?”

“Marsiglia,” risposi, atono e laconico.

“In Francia?”

“Ma certo. Non senti il mio accento?”

Lei scosse la testa. “Non si sente tanto. Ma mi piace quando parli francese.”

Ridacchiai: “Come Morticia Addams, eh?”

“Ma no… mi piace il suono che hanno le erre, e mi piaci quando bestemmi in francese. È molto espressivo: sembra che tu stia dicendo qualcosa di orribile, di blasfemo.”

“Bah, di solito è cosi, ma cherie.”

“E perché sei diventato un assassino?”

Le sorrisi. “Chissà? Magari per indole.”

“Sei proprio uno strano personaggio. Non si capisce mai cosa ti frulla in testa.”

“Un sacco di cose semplici. Un sacco di cose complicate.”

“Non credo che capirei.”

“Non ha importanza, tanto non te le racconterò.”

“Come vivono i mafiosi?” mi chiese, saltando di palo in frasca.

Io risi. “Non lo sai?”

Lei si strinse nelle spalle. “Sono stata quasi sempre a letto, mentre ero con Romano. È come se qualcuno mi chiedesse come vivono gli assassini. Scopano anche loro, risponderei. O credi che qualcuno mi abbia mai spiegato qualcosa?”

“Gli italiani hanno un sacco di regole. Poi se ne fregano come tutti gli altri, però ne hanno un mucchio. Si aspettano che le loro donne siano fedeli e crescano i figli,” ridacchiai. “Questi sono gli italo-americani, ovviamente. Sono rimasti fermi a cinquant’anni fa.”

Liz fissò cupamente le proprie mani sul tavolo.

“Allora non funzionerà,” predisse. “In ogni caso non funzionerà.”

La guardai. “Tu non sei capace di sottrarti a niente, non è vero?”

Lei scosse la testa, silenziosa.

“Ma tu…” domandai “… che cosa vorresti fare?”

Aveva lo sguardo smarrito quando mi rispose: “Non lo so.”

giovedì 10 novembre 2011

Pierrot - 12

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Passai il resto del pomeriggio sul pontile, pescando. Era piacevole starsene là con la canna da pesca appoggiata sulle ginocchia, aspettando solo che il tempo passasse.

Posso essere molto paziente, è sempre stata una mia caratteristica. Non fare niente non mi pesa. Aha-ah!

A un certo punto presi anche un pesce di razza a me sconosciuta. Non sapendo bene cosa farmene lo sganciai e lo ributtai in acqua. Lui se la filò veloce come una scheggia, sollevato di essere stato graziato. Be’, dovevo fare allenamento anch’io. Con quella faccenda del graziare, intendo.

A un certo punto scorsi con la coda dell’occhio Liz che risaliva il pontile. Si sedette accanto a me, le gambe raccolte sotto di lei.

“Posso stare qua?”

“Certo,” risposi. “Vuoi una canna anche tu?”

Lei sorrise. “No, quella roba non so usarla.”

“Scemenze. Non la so usare neanch’io e prima ho preso un pesce. È che quelle bestie sono tremendamente stupide. Vai a prendertene una.”

Liz si alzò, silenziosa ed obbediente. Tornò con una canna da pesca smontata e io gliela preparai.

“E ora?” chiese lei.

“Ora niente. Aspetti che abbocchi qualcosa.”

“E come faccio a sapere che abbocca?”

“Si muove il filo. Te ne accorgi, tranquilla.”

“E poi?”

“E poi tieni la dannata bocca chiusa, se no non abboccherà mai niente!”

Lei chiuse la bocca, anche se mi guardò con occhi vagamente mortificati. Le accarezzai una guancia e la baciai, tanto per ammorbidire i toni.

Le sue gambe snelle penzolavano giù dal pontile e i suoi alluci sfioravano il pelo dell’acqua. Lei guardò l’orizzonte e sorrise.

Io mi sdraiai sul pontile, con la canna incastrata sotto alle gambe, e dormicchiai.

Non prendemmo più nemmeno un pesce.

Pierrot - 11

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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“Non è mica tanto sicuro che ti devo ancora uccidere,” comunicai a Liz, sedendomi al tavolo della cucina.

Lei mi fissò senza parole.

“Mi ha telefonato il vecchio,” spiegai, con calma. “Ha detto che Romano non dorme e non mangia, sicché gli dirà che sei morta e vedrà cosa succede. Anche se non sembra gli vuole bene, al debosciato.”

“E se non gli passa?” chiese lei, con un filo di voce.

“In quel caso ti riporto indietro e lui ti sposa.”

Lei rimase in silenzio ancora per un minuto buono, prima di mormorare, incredula: “Mi sposa?”

“A quanto pare,” risposi io, divertito.

“Una puttana?”

“Una bottana, come dice il vecchio. Sissignora. Pensa che non posso nemmeno più scoparti,” dissi, stringendomi nelle spalle.

Liz tornò a fissarmi. “Davvero?”

Sogghignai. “Non è che il vecchio sia su quest’isola, no?”

Rise anche lei, un po’ stancamente.

“A ogni modo mi è passata la voglia,” le comunicai. “Mi dispiace di aver fatto l’animale,” mi grattai il mento. “No, anzi. Non mi dispiace, devo dire. Non ho mai goduto così tanto in vita mia. Mi dispiace un pochino di averti fatto male, forse.”

“Ti sei fatto male anche da solo.”

“Puoi scommetterci.”

Lei scosse la testa. “E se gli passa?” chiese, a quel punto.

“Allora ti ammazzo,” risposi, tranquillo, quasi gioioso.

“Mi stavo abituando all’idea di essere un morto che cammina. Ora mi si scombina tutto. Non è corretto.”

“Già. Non piace neanche a me.”

“E allora… non potresti…”

“Farti scappare? Come no. Sento proprio il bisogno di rischiare il collo per colpa tua.”

Lei si mordicchiò le labbra.

“Ehy, su con la vita,” le dissi. “Quanto scommettiamo che non gli passa?”

Liz si alzò, arrabbiata. “La mia vita, magari?”