Aveva fatto finta di non notare che
Antoneta lasciava il suo numero all’ispettore, mentre se ne andavano. Anche
Rana aveva diritto alla sua dose di scelte infelici. Lo mollò in piazza Verdi,
davanti alla sede della polizia postale, e proseguì verso la questura.
Meno di mezz’ora più tardi la squadra
era riunita e pronta a entrare in azione, Rana aveva telefonato per dargli
l’ubicazione del cellulare di Mastrangelo Emiliano e Sensi iniziava a sperare
di non dover passare la domenica in un ufficio con l’aria condizionata spenta.
«Non ho capito come fai a essere sicuro
che sia lui» borbottò la Riu, quando Sensi raccontò come aveva trovato il
biglietto del rapitore.
«Io mi sarei limitato a incrociare le
dita, ma Marco ha pensato di cercare il suo profilo Facebook. La faccia è la
stessa».
Mainardi scosse la testa, disgustato.
«Cioè uno dell’AISI sarebbe su Facebook?».
«Il mondo è pieno di rapitori
improvvisati, sono d’accordo. Non c’è più la professionalità di una volta,
quando ti facevano trovare solo il cadavere del rapito, dopo uno o due mesi, e
spesso neanche quello» concordò il commissario, in tono sentenzioso. «Bene.
Andiamo? Hai pensato al mandato, Max? Avete tutti il giubbottino?».
Con il caldo che c’era il giubbotto
antiproiettile rischiava di diventare la causa della loro morte, invece che della
loro sopravvivenza, ma dopo un giro di consultazioni avevano deciso che
preferivano un colpo di calore al un colpo d’arma da fuoco.
Sensi salì in macchina con Tudini,
mentre la Riu e Mainardi chiudevano la piccola carovana di auto blu e bianche.
Secondo Rana Emiliano Mastrangelo, o
almeno il suo cellulare, era in una villetta monofamiliare al Limone, che poi
era anche il suo indirizzo di residenza.
«Continua a sembrarmi troppo facile»
disse Tudini, mentre guidava verso il quartiere periferico. «Nemmeno un idiota
porterebbe a casa sua la persona che ha rapito».
«Sono d’accordo» sospirò Sensi.
«Speriamo che sia un idiota colossale,
quindi, perché non considero un’opzione dover venire in ufficio domani.
Preferisco confessare di averla rapita e sgozzata io, Carlotta Marrano».
Tudini sospirò pesantemente. «Magari piove.
Dicono che domani piove».
«Lo dicono da due settimane. Non credo
più nella pioggia, credo solo nell’aria condizionata».
L’altro guardò il cielo grigiastro,
basso. «Prima o poi...» borbottò, fatalista. «Sei sicuro dell’indirizzo?»
chiese, per l’ennesima volta. Dato che avevano esaurito la conversazione sul
meteo tanto valeva tornare a preoccuparsi per l’operazione in corso.
Sensi capiva perfettamente lo
scetticismo del suo vice. Silenziosamente lo condivideva, perché per quel che
ne sapeva lui i colpi di fortuna, come la pioggia, non arrivavano mai, mentre i
colpi di sfiga capitavano sempre.
Ma quell’indirizzo, tanto per cambiare,
era tutto quello che avevano e se non fossero riusciti a ritrovare Carlotta
Marrano Salvemini si sarebbe incazzato in ogni caso.
«Dell’indirizzo sono sicuro. Non sono
sicuro che non ci sia solo il cellulare di Mastrangelo. Male che vada gli
sfasciamo la casa per ripicca. Dunque...» aggiunse, rifacendosi la crocchia,
«...tu resti fuori a coordinare le squadre. Io passo dal davanti con cinque
agenti, Mainardi e la Riu passano da dietro con la seconda squadra. Semplice
e...»
Si fermò prima di dire “semplice ed
elegante”, visto che l’ultima volta in cui l’aveva fatto si era trovato
semi-dissanguato e crivellato di pallottole.
«Potrebbe anche funzionare» concluse,
con un’inelegante palpata ai coglioni.
Tudini si diede una bella palpata a sua
volta e girò a destra nella via di Mastrangelo. Dietro di loro due delle
volanti li seguirono, mentre le altre proseguirono per andarsi a piazzare sul
retro.
Sensi distolse lo sguardo dallo
specchietto retrovisore per tornare a guardare davanti a sé. Poi chiuse gli
occhi e sospirò.
«La casa è quella, eh?» fece Tudini.
«Già. Quella con Giorgio Marrano
davanti».
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