giovedì 6 agosto 2015

Nodi (11)

Dal balconcino della Riu si vedeva mezza città e uno spicchio di mare. Il cielo era scuro e basso, in quella sera di agosto, l’aria immobile, tropicale, pregna di umidità. Sensi se ne stava seduto a petto nudo, con la schiena reclinata e i piedi appoggiati sulla ringhiera, un bicchiere di spremuta di arancia completamente biologica in mano e lo sguardo perso davanti a sé.
Accanto a lui, sull’altra sedia, l’ispettrice aveva appena finito di bere e aveva posato il bicchiere per terra, segno che era davvero rilassata o troppo accaldata persino per assecondare il suo bisogno di ordine. Aveva le gambe nude stese di fronte e incrociate alla caviglia, degli slip e una canottiera lunga, bianca, che a Sensi faceva venir voglia di succhiarle le tette.
«È stata una giornata pesante» disse lei, stiracchiandosi.
«Ma istruttiva. Di’, non vorrai andare a letto?».
«Non ancora. Secondo me piove».
Sensi sorrise appena. «Inizierà a piovere non appena andiamo a dormire. No, anzi, non appena ci addormentiamo. Senti, mi sono perso al centoquarantesimo ripensamento della Marrano: l’ha denunciato oppure no?».
«Sì. Be’, tecnicamente è un reato».
«Fingersi un agente dei servizi segreti e chiudersi per sedici ore in un appartamento rovente a fare le porcherie? Alcuni lo definirebbero gioco di ruolo».
«A quanto pare Marrano preferisce definirlo rapimento».
Sensi si decise a bere un sorso della spremuta, ovviamente senza zucchero, e fece una smorfia. «Sei un po’ sado-maso anche tu, eh? Nemmeno quello di canna?».
La Riu gli rivolse un sorriso dolce. «Così senti il sapore della frutta».
«Mi fa cagare, il sapore della frutta».
«Puoi sempre alzarti e andare a zuccherartelo».
Lui sospirò e scosse la testa. «Non c’è nemmeno fresco».
«Vai a San Benedetto, allora. Nessuno ti trattiene».
«Mi trattiene il mio ultimo brandello di autostima».
«E la pigrizia».
Sensi sorrise appena. «Ma no. Non è così faticoso, legare una donna. Pericoloso sì, ma faticoso non direi».
«Era una specie di metafora?».
«Mh? No, che ne so? È caldo, sono stanco, non ho la forza di scopare, figurati se ho la forza di declamare metafore. No, intendevo a livello pratico. Fai un nodo troppo stretto e magari le blocchi una vena. E poi non mi interessa legare nessuno».
«Questa era una metafora».
Lui sbuffò. «Okay, questa era una metafora. Rosa, non ho capito perché stasera hai deciso di darmi il tormento. Davvero, cercavo solo un posto in cui dormire. Se non mi vuoi lo dici e alzo le chiappe. Non l’ho sempre fatto?».
«Mi sembra il minimo».
«Bene. Qual è il problema, quindi? Non dirmi che sei irritata per la tizia di San Benedetto».
L’ispettrice rise. «Se mi irritassi ogni volta che vai a letto con qualcuno sarei irritata il novanta percento del tempo».
«Odio ricordarti che è esattamente così».
Lei gli diede una spinta, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
«Ma il dieci percento restante sei assolutamente adorabile» cercò di rimediare Sensi.
«Sono stanca. Ho caldo. Non capisco le persone. Tu pensi che lei ci abbia creduto davvero? Alla storia dell’agente segreto? Che dovevano nascondersi per una minaccia non meglio precisata? E come si concilia con il finire nuda e con una palla in bocca?».
«Dimentichi il bustino».
La Riu sospirò. «Credo che non lo dimenticherò mai più. Ma comunque...»
«Non importa se lei ci credeva, sai. L’importante è che ci creda lui» sorrise Sensi.
«Ma per favore. Tu ci crederesti?».
Sensi ci pensò per qualche secondo. «Cerco di credere a un sacco di cose».
«Oh, ti prego. Non cominciare con le pose da tormentato».
Lui ridacchiò. «Be’, ma a me non importerebbe. Non mi importa, anzi. La gelosia è un sentimento inutile».
«No, no. Non raccontarti palle. Non sei geloso perché non ti importa, non il contrario».
Sensi si strinse nelle spalle, leggermente irritato. «Bene, okay, anche. Da quale pulpito, eh? Mi dici che cosa vuoi da me?».
L’ispettrice ci pensò sul serio. Era irritata, questo era vero, ma non riusciva a mettere a fuoco il motivo.
Alla fine gli prese la spremuta dalle mani e ne bevve un sorso. Era buona, non capiva proprio come a Sensi potesse non piacere.
«Non voglio che vieni a dormire qua».
Lui gonfiò le guance, per poi lasciar uscire lentamente l’aria. «Okay... adesso me ne vado».
«No, non hai capito. Puoi fermarti a dormire, ma non voglio che tu venga qua per dormire. Hai un appartamento, usalo».
Sensi inarcò un sopracciglio, perplesso. «Cioè? Devo pagare il pernottamento in natura? È pure un po’ offensivo, sai».   
Lei rise. «Al massimo è lusinghiero».
Sensi cercò di restare serio, ma alla fine fu costretto a nascondere una risata dietro a un colpo di tosse.
«Voglio dire...» aggiunse l’ispettrice, in tono più morbido, «...lo sai come sei fatto. Leghi le persone a te con una specie di ragnatela invisibile. Non lo fai apposta, non dico che sia colpa tua. Suppongo che te l’abbiano già detto».
Lui la guardò per qualche istante, pensieroso. Una goccia d’acqua gli cadde sulla fronte.
Salvato in corner, pensò. E disse: «Piove».
Poi si alzò in piedi e sollevò la faccia verso il cielo. «Piove davvero».
Per un istante sembrò che la Riu non volesse far cadere l’argomento. Che volesse, in pratica, rimproverargli quello che gli aveva sempre rimproverato anche Carmel: di portare le persone nel suo mondo e poi lasciarle lì, da sole. Sensi poteva tranquillamente fare a meno di quella conversazione, tanto più che l’ispettrice non era Carmel e non si sarebbe lasciata portare da nessuna parte.   
«Già. Piove. È incredibile» disse lei, alla fine, alzandosi a sua volta.
La pioggia crebbe d’intensità, mentre tutto attorno si levava il rombo cupo degli scrosci notturni. Gocce pesanti e fresche, ognuna grossa come una biglia.
L’ispettrice sollevò il viso verso il cielo, lasciando che il diluvio improvviso la zuppasse. Sensi aprì la bocca e sentì l’acqua che gli rimbalzava sul palato. 
Rise e, dopo un istante, rise anche Rosanna.

mercoledì 5 agosto 2015

Nodi (10)

«Mi prende per il culo?» furono le prime parole di Sensi, non appena Marrano ebbe abbassato il finestrino della BMW sedan in cui si era appostato. Il soffio dell’aria condizionata accarezzò la faccia del commissario, facendolo pentire una volta di più di non essere morto quella mattina. «Che cosa ci fa qua?».
Marrano sembrò imbarazzato. Iniziò a sudare, ma quello probabilmente dipendeva dall’afa.
«Antoneta ha letto il nome sul biglietto da visita. Ho pensato che fosse, sa... lui. L’amante. Così ho cercato il suo indirizzo in internet e...»
«No, guardi, faccia conto che fosse una domanda retorica. Non voglio saperlo davvero. Si limiti a scomparire mentre noi sfondiamo la porta, picchiamo un innocente e spariamo per errore al cane dei vicini».
Marrano sbatté lentamente le palpebre, segno che non aveva capito.
«Scompaia» riepilogò Sensi. I suoi occhi, per un istante, diventarono color sangue.
L’altro, spaventato, fece per girare la chiave, ma il commissario fece segno di no con la testa. «Scenda e si allontani a piedi».
«Ma è...»
«Caldo, lo so. Ho un fottuto giubbotto antiproiettile addosso, si figuri se non lo so. Adesso vada».
Marrano barcollò fuori dalla sua macchina e si allontanò con passo strascicato.
Tudini lanciò un’occhiata a Sensi, un’occhiata che significava che sapeva benissimo che non c’era nessun bisogno di far andare via a piedi il povero sfigato, ma che capiva le debolezze del suo capo e lo stimava anche se a volte era un brutto essere umano.
Davanti a loro c’era la villetta monofamiliare di Mastrangelo. Era una costruzione a un solo piano, senza giardino anteriore. Le finestre avevano le tapparelle abbassate.
«Okay, vediamo di procedere» borbottò Sensi, di cattivo umore. Il sudore aveva iniziato a gocciolargli giù dalla punta del naso. Plick, plick.
«Voi due, dietro di me. Tu, tu e tu: coprite le finestre».
Plick, plick.
«Riu, mi senti? Sto per fare irruzione dalla porta principale. Tenetevi pronti».
Plick, plick.
“Non si può lavorare in questo modo,” pensò, avvicinandosi all’ingresso e cercando di detergersi il sudore con il braccio. “Dovrebbero vietare i rapimenti in agosto”. Tirò fuori la pistola e controllò che ci fosse il colpo in canna. Si accostò al portoncino di legno bianco e fece segno ai due agenti con l’ariete di procedere.
Quelli presero la rincorsa e sfondarono il portoncino. Il rumore del legno fracassato e della serratura che cedeva fu forte come un colpo di fucile.
«Polizia!» gridò Sensi, solo a quel punto. Poi si buttò dentro il vano ormai vuoto della porta, pistola in pugno e naso gocciolante.
Plick, plick.
Un ingresso nemmeno brutto. Pareti color avorio, mattonelle verde scuro. Un caldo bestiale, disumano, prova provata che chiunque abitasse lì era un malato mentale. Sensi si rese conto che le finestre erano aperte, ma le tapparelle chiuse rendevano del tutto inutile questo accorgimento.
Un istante dopo vide comparire il proprietario. O, insomma, quello che probabilmente era lui; difficile a dirsi, in quel momento.  
Uscì dalla porta in fondo al corridoio e fece qualche passo nella sua direzione.
Sensi gli puntò l’arma contro per puro riflesso, ma per il resto era senza parole. L’uomo che aveva sotto tiro indossava una specie di passamontagna di vinile nero con una cerniera al posto della bocca. Oltre a questo delizioso accessorio, portava un perizoma di pelle nera molto succinto, aveva una serie di cinghie allacciate sul petto, dei gambali da cowboy di vinile nero e degli stivali texani. Aveva anche un fisico pazzesco, con una tartaruga che nemmeno i modelli di Dolce e Gabbana e bicipiti scultorei. D’altronde, rifletté Sensi, solo un übermensch sarebbe riuscito a tenersi addosso dei gambali di vinile in quell’appartamento surriscaldato.
«Amico, resta fermo» disse.
Rumore di passi di corsa dalla porta sul retro e, un istante dopo, fece la sua comparsa pistola in pugno anche la Riu.
Guardò l’incappucciato e poi guardò lui. «Non ci credo» borbottò.
«Sei Emiliano Mastrangelo?» chiese Sensi.
«S-sì... e voi?» fece il tizio, con la voce un po’ deformata dalla maschera.
Sensi si rilassò. «Polizia di stato. Dov’è Carlotta Marrano?».
L’uomo, muovendosi molto lentamente, indicò il corridoio dietro di sé. «I-in camera».
Sensi fece segno alla Riu di seguirlo, mentre il resto dell’esercito che aveva fatto irruzione in quella casa continuava a tenere sotto tiro Mastrangelo. Percorse tutto il corridoio e scostò con il gomito la porta semi-aperta della camera da letto.
Carlotta Marrano era lì, il fetish-cowboy non aveva mentito.
Era nuda, tranne per un bustino di latex con due buchi per le tette, ed era legata al letto in una posizione inequivocabile. In bocca aveva una bella pallina di gomma rossa, tenuta ferma da un laccio. Tutta roba da sexy shop, niente di improvvisato.
Sensi prese la radio e chiamò Tudini.
«Max, qua tutto a posto. L’ostaggio e vivo e in salute. Fammi solo un favore: non fare avvicinare Marrano, okay?».
«Sì, Ermanno» rispose Tudini.
«È viva? È viva? Amore, sei viva?» sentì gridare in sottofondo.
Sensi sospirò e rinfoderò la pistola.

martedì 4 agosto 2015

Nodi (9)

Aveva fatto finta di non notare che Antoneta lasciava il suo numero all’ispettore, mentre se ne andavano. Anche Rana aveva diritto alla sua dose di scelte infelici. Lo mollò in piazza Verdi, davanti alla sede della polizia postale, e proseguì verso la questura.
Meno di mezz’ora più tardi la squadra era riunita e pronta a entrare in azione, Rana aveva telefonato per dargli l’ubicazione del cellulare di Mastrangelo Emiliano e Sensi iniziava a sperare di non dover passare la domenica in un ufficio con l’aria condizionata spenta.
«Non ho capito come fai a essere sicuro che sia lui» borbottò la Riu, quando Sensi raccontò come aveva trovato il biglietto del rapitore.
«Io mi sarei limitato a incrociare le dita, ma Marco ha pensato di cercare il suo profilo Facebook. La faccia è la stessa».
Mainardi scosse la testa, disgustato. «Cioè uno dell’AISI sarebbe su Facebook?».
«Il mondo è pieno di rapitori improvvisati, sono d’accordo. Non c’è più la professionalità di una volta, quando ti facevano trovare solo il cadavere del rapito, dopo uno o due mesi, e spesso neanche quello» concordò il commissario, in tono sentenzioso. «Bene. Andiamo? Hai pensato al mandato, Max? Avete tutti il giubbottino?».
Con il caldo che c’era il giubbotto antiproiettile rischiava di diventare la causa della loro morte, invece che della loro sopravvivenza, ma dopo un giro di consultazioni avevano deciso che preferivano un colpo di calore al un colpo d’arma da fuoco.
Sensi salì in macchina con Tudini, mentre la Riu e Mainardi chiudevano la piccola carovana di auto blu e bianche.
Secondo Rana Emiliano Mastrangelo, o almeno il suo cellulare, era in una villetta monofamiliare al Limone, che poi era anche il suo indirizzo di residenza.
«Continua a sembrarmi troppo facile» disse Tudini, mentre guidava verso il quartiere periferico. «Nemmeno un idiota porterebbe a casa sua la persona che ha rapito».
«Sono d’accordo» sospirò Sensi. «Speriamo che sia un idiota colossale, quindi, perché non considero un’opzione dover venire in ufficio domani. Preferisco confessare di averla rapita e sgozzata io, Carlotta Marrano».
Tudini sospirò pesantemente. «Magari piove. Dicono che domani piove».
«Lo dicono da due settimane. Non credo più nella pioggia, credo solo nell’aria condizionata».
L’altro guardò il cielo grigiastro, basso. «Prima o poi...» borbottò, fatalista. «Sei sicuro dell’indirizzo?» chiese, per l’ennesima volta. Dato che avevano esaurito la conversazione sul meteo tanto valeva tornare a preoccuparsi per l’operazione in corso.
Sensi capiva perfettamente lo scetticismo del suo vice. Silenziosamente lo condivideva, perché per quel che ne sapeva lui i colpi di fortuna, come la pioggia, non arrivavano mai, mentre i colpi di sfiga capitavano sempre.
Ma quell’indirizzo, tanto per cambiare, era tutto quello che avevano e se non fossero riusciti a ritrovare Carlotta Marrano Salvemini si sarebbe incazzato in ogni caso.
«Dell’indirizzo sono sicuro. Non sono sicuro che non ci sia solo il cellulare di Mastrangelo. Male che vada gli sfasciamo la casa per ripicca. Dunque...» aggiunse, rifacendosi la crocchia, «...tu resti fuori a coordinare le squadre. Io passo dal davanti con cinque agenti, Mainardi e la Riu passano da dietro con la seconda squadra. Semplice e...»
Si fermò prima di dire “semplice ed elegante”, visto che l’ultima volta in cui l’aveva fatto si era trovato semi-dissanguato e crivellato di pallottole.
«Potrebbe anche funzionare» concluse, con un’inelegante palpata ai coglioni.
Tudini si diede una bella palpata a sua volta e girò a destra nella via di Mastrangelo. Dietro di loro due delle volanti li seguirono, mentre le altre proseguirono per andarsi a piazzare sul retro.
Sensi distolse lo sguardo dallo specchietto retrovisore per tornare a guardare davanti a sé. Poi chiuse gli occhi e sospirò.
«La casa è quella, eh?» fece Tudini.
«Già. Quella con Giorgio Marrano davanti».

lunedì 3 agosto 2015

Nodi (8)

Sensi aveva conosciuto l’ispettore Rana, della polizia postale, meno di due mesi prima, ma aveva subito capito che era praticamente la sua anima gemella. Be’, quasi. Be’, in realtà al momento non sapeva bene come fossero i loro rapporti, dato che durante l’indagine a cui avevano collaborato Rana era quasi stato ucciso. Sensi non era del tutto sicuro che non se la fosse presa.
Compose il suo numero e aspettò che rispondesse.
«Ciao, Marco. Sono Sensi» disse, quando sentì che la linea era attiva. Rana non credeva nei convenevoli.
«Oh, ciao» rispose l’altro, inespressivo.
Se fosse stato un’altra persona Sensi avrebbe pensato che erano in fredda, ma l’ispettore della polizia postale era, secondo la sua definizione, “quasi Asperger”, quindi la sua inespressività era normale.
«Avrei un piccolo problema. Una persona scomparsa. Dovrei esaminare il suo computer» continuò Sensi. Aspettò un secondo. Chiunque altro a quel punto gli avrebbe risposto “sì” o “no”, ma ancora una volta... Rana non funzionava così. «Mi chiedevo se potessi darmi una mano. Sei al lavoro?».
«No» si limitò a rispondere Rana. Ci fu un altro attimo di silenzio. «Non dovremo strisciare tra i rovi, giusto?».
«E non dovrebbero nemmeno spararci» puntualizzò Sensi.
«Oh, quello è stato interessante, a modo suo, ma odio strisciare tra i rovi. Puoi passarmi a prendere?».
Sensi poteva.
Mezz’ora più tardi erano davanti al portone di casa Marrano. La temperatura toccava i trentadue gradi e l’umidità era all’ottantacinque percento, così aveva detto Rana dopo aver guardato sul cellulare. Il cielo era velato, ma questo non diminuiva in alcun modo il calore. Non sembrava che stesse per piovere. In quanto a Rana stesso, non era cambiato dall’ultima volta in cui Sensi l’aveva visto. Era pallido, con gli occhi glauchi dietro a un paio di occhiali senza montatura. Anche se era magro dava non dava l’impressione di essere in forma e indossava dei bermuda, delle ciabatte infradito e una maglietta con scritto “Save the Daleks”.
Sensi suonò al citofono e si annunciò. L’alto cancello di ferro battuto ronzò e si aprì.
«Sono dei nobili?» chiese Rana, osservando distrattamente la facciata Art Decò parzialmente coperta dall’edera.
«No, sono dei marrani» rispose Sensi.
Rana sembrò trovare la spiegazione soddisfacente. Subito dopo il portone di legno scuro venne aperto da una Antoneta in uniforme da cameriera, con tanto di crestina bianca. Sensi sbatté le palpebre un paio di volte. Per qualche motivo pensava che fosse ancora in questura. Rana le lanciò un’occhiata indifferente.
«Ciao» disse Sensi. «Siamo qua per controllare il computer di Carlotta. Questo è l’ispettore Rana, della polizia postale».
«Prego, i signori mi seguono» fece Antoneta, compitissima, e li precedette lungo un atrio delle dimensioni di una piccola piscina, fiancheggiato da colonne di stucco grigio in stile con il resto della casa.
Quel posto sembrava uscito da una rivista di moda. I pavimenti di mattonelle di marmo bianco e grigio, le piante in vaso che pendevano tra le colonne, i quadri sobri e astratti, i mobili di lucido legno rossastro... anche la stessa Antoneta faceva in qualche modo parte dell’arredamento, con la crestina bianca, l’uniforme nera dalla gonna sopra al ginocchio e le decolté dal tacco alto, sexy senza essere eccessivo. Se solo non fosse stato lì per un’indagine Sensi si sarebbe rotolato per terra dalla noia. Quanto meno c’era l’aria condizionata.
«Marrano dov’è?» chiese, mentre seguivano il posteriore sculettante di Antoneta su per una grande scala di marmo.
Rana emise una risatina un po’ fuori luogo e Sensi si accostò per sussurrargli che il padrone di casa si chiamava Marrano sul serio. A quel punto Rana ridacchiò di nuovo.
«Il signore è con il signorino Carlo. Vuole che lo chiami?».
Sensi ci pensò un attimo. «No. Portaci dal computer di Carlotta e basta».
Il computer era nello studio di lei, una stanza ampia e luminosa del primo piano. Ovviamente era un laptop della Apple, ultima generazione.
Rana si sedette dietro alla scrivania senza tante cerimonie e lo aprì.
Sensi si voltò verso Antoneta. «Nemmeno tu ci servi, a meno che non conosci la password per entrare nel computer».
Lei sollevò il naso. «Io resto qua e controllo».
«E che cosa controlli? Che non rubiamo l’argenteria?» rispose Sensi, irritato.
«Che non fate confusione. Che non sporcate. Che non guardate altre foto».
Sensi sospirò e si girò dalla parte dell’ispettore. «Spiegale che nemmeno a te interessa il bondage». Poi sbatté le palpebre e guardò il monitor. Non solo Rana era già entrato senza bisogno di password, ma stava anche sfogliando con calma la gallery delle foto osé della padrona di casa.
«Veramente sono un nawashi. Ma qua siamo ben lontani dal kimbaku» commentò lui, continuando a far scorrere le immagini. «Che cosa ti serve?».
«Oh, davvero? Posso chiederle dove ha imparato, maestro?» cinguettò Antoneta, facendo un passo verso la scrivania.
«No, non puoi chiederlo» rispose Sensi, brusco. Che Rana fosse un maestro di nodi dell’arte della legatura giapponese non era così strano. Era un nerd e i nerd si interessano alle cose, a tutte le cose, in modo ossessivo e un po’ morboso. Era piuttosto sicuro che per lui fosse un interesse astratto o quasi, anche perché se c’era una cosa in cui l’ispettore non era versato erano i rapporti umani. «Dobbiamo scoprire se Carlotta era in contatto con il finto agente segreto. Inizierei dai forum che frequentava o...»
«Iniziamo da FetLife» decise l’ispettore, aprendo una nuova finestra. «Tutte le password sono memorizzate nel portachiavi, come vedi. Ecco».
Sensi si sporse su di lui per guardare lo schermo. Vide la pagina iniziale del social network fetish, nera con le scritte rosse.
Rana si mosse velocemente tra le impostazioni del profilo e i messaggi personali.
«Mh, qualcuno ha dato una ripulita. Lei stessa, probabilmente. Il profilo è vecchio di due anni, ma ci sono pochissime interazioni. Nessuna foto. Nessun messaggio. Ma ha un sacco di amici, quindi non è possibile che la situazione sia stata sempre questa. Non chiedi l’amicizia a un profilo vuoto».
«Credo che ha tolto tutto lei» intervenne Antoneta. «Gliel’ha detto quell’uomo».
Rana aprì un’altra finestra. «Molto bene. Controlliamo le caselle email».
Sensi si vide scorrere davanti al naso una nuova schermata, questa volta bianca. Si allontanò, consapevole che non sarebbe riuscito a stare dietro a Rana. Inoltre, visto che era lì, non c’era motivo di non dare un’occhiata anche allo studio di Carlotta, oltre che al suo computer.
Come il resto della casa sembrava studiato da un interior designer. La scrivania di noce, dalle linee solide e moderne, la libreria piena di saggi mai letti sulle tematiche umanitarie più in voga, le tende di impalpabile mussola bianca, il pavimento di parquet chiaro. Sensi girellò qua e là lasciandosi attrarre dalle coste dei libri dalla grafica più accattivante, dallo scaffale con le targhe e le medaglie che varie associazioni benefiche avevano conferito a Carlotta, fino a guardare le foto allineate su un ripiano: lei, il marito, un bambino piccolo che doveva essere Carlo. Carlo e Carlotta, pensò, esaminando le cornici alla ricerca di qualcosa di insolito, quale fantasia. Senza parlare delle fotografie stesse, che erano la quintessenza della banalità.
Quindi, rifletté, tornando verso la scrivania: banale. Carlotta era banale e lui doveva cercare in un posto altrettanto banale.
Nei cassetti della scrivania, per dire.
Aprì il primo, mentre sullo sfondo il chiacchiericcio di Antoneta e le laconiche risposte di Rana sfumavano sempre di più.
Cancelleria, carta da lettere (qualcuno la usava ancora?), l’astuccio di una stilografica di lusso... niente di interessante. Poi un cassetto pieno di corrispondenza. Lettere ufficiali, inviti, piccoli badge che Carlotta doveva aver tenuto come ricordo degli eventi a cui aveva partecipato. Uno specchietto, un piccolo necessaire per il trucco, una pinza per i capelli, dei pastelli colorati...
Una scatolina simile a un portagioie, con una piccola serratura chiusa.
Sensi prese la scatolina, tirò fuori il proprio coltello serramanico e forzò la minuscola serratura.
All’interno un singolo biglietto da visita. Fronte colorato, azzurro e verde, e retro bianco. Carta spessa ma da poco. Scritte in un brutto carattere squadrato. Sì, nel complesso poteva assomigliare al biglietto di un funzionario pubblico.
Sopra, solo un nome e un numero di cellulare.
Sensi lasciò il biglietto dentro alla scatola e posò quest’ultima davanti a Rana.
«Lascia perdere il computer. Rintracciami il cellulare di Mastrangelo Emiliano, qua».

domenica 2 agosto 2015

Nodi (7)

Quando uscì nel corridoio quasi finì addosso alla Riu, che stava uscendo dalla stanza attigua, da cui evidentemente aveva seguito il colloquio.
«Non è possibile» fu la prima cosa che gli disse.
Mentre tornavano verso gli uffici, Sensi prese il cellulare. «Be’, magari non proprio gay, ma ai giorni nostri che cosa importa?» sorrise, mentre cercava il numero che gli serviva. La Riu si limitò a sbuffare. «Marrano? Sono Sensi. Lei o sua moglie avete dei contatti con qualcuno dell’AISI o dell’AISE?».
«Eh? Ma è impazzito?» rispose il figlio del senatore, dopo un mezzo secondo di silenzio.
Sensi sospirò. «Magari. Lo prendo per un “no”, quindi. Neppure tramite suo padre, in modo puramente formale, o...»
«No, guardi, mio padre non è in nessuna commissione sensibile, non è proprio il tipo. Si figuri se mi venivano a cercare i servizi segreti. Dove l’ha sentita questa?».
A Sensi continuare la conversazione non serviva, così borbottò un “non fa niente” e attaccò.
Visto che ormai avevano raggiunto l’open space si buttò dentro all’ufficio di Tudini. «Qualcuno svegli Mainardi. Ha dormito abbastanza» ordinò, in tono vagamente disgustato. Come i suoi uomini sapevano benissimo, credeva fermamente nella condivisione dell’infelicità.
Circa cinque minuti più tardi erano tutti nella bat-caverna, l’antro oscuro in cui il commissario aveva trasformato il suo ufficio.
«È tutto sempre più demenziale» esordì Sensi, andandosi ad appollaiare su un angolo della propria scrivania, «il che lo rende molto realistico, perché non c’è fine agli scompensi mentali degli esseri umani. A quanto pare un paio di mesi fa Carlotta è stata contatta da un tizio che le ha detto di essere dei servizi segreti. Non mi chiedete quali servizi segreti, perché al novantanove per cento è una balla».
«Ma non al cento?» chiese Mainardi, speranzoso. L’ispettore era il tipo di persona che sogna di finire in un intrigo internazionale, ovviamente. Ossia che si vede nel ruolo di James Bond e non vede l’ora di conoscere la sua prima Bond Girl.
«Il mondo è uno strano posto. Non do al cento per cento nemmeno l’alba di domani. In ogni caso, per comodità diciamo che è stata contattata da uno spostato che si è fatto passare per un agente segreto. È possibile che l’abbia adocchiata su un sito per feticisti, che ovviamente è il tipico posto in cui quelli dell’AISI vanno a cercare le minacce alla sicurezza nazionale».
«Quindi quando l’ha avvicinata nel parcheggio del supermercato...» disse la Riu.
«È possibile, sì. È possibile che le abbia detto qualcosa come: signora, c’è un’emergenza, deve venire con me. Carlotta gli lascia le chiavi della macchina e gli permette di disattivare il cellulare. Dunque... da quando questo è successo sono passate circa quattordici ore».
Tudini si passò una mano sulla faccia senza dire niente, ma Sensi conosceva quell’espressione.
«Non essere pessimista, Max. Se avesse voluto ucciderla e basta, o anche stuprarla frettolosamente, avrebbe trovato un modo più semplice. Diamo per scontato che abbia un suo piano almeno a medio termine. Ora però dobbiamo trovarlo». Lanciò un’occhiata circolare e seria verso le facce stanche dei suoi sottoposti. «Dobbiamo trovarlo sul serio, okay?».
Tudini annuì. «Vale la pena controllare se davvero qualcuno dell’AISI ha contattato la signora Marrano?».
«Sì, fai controllare a qualcuno. A Salvemini, magari. Potrà fare qualcosa anche lui, ogni tanto. Mainardi, lei tornerà all’Esselunga e cercherà di scoprire qualcosa di più sul nostro amico. Si porti la foto migliore che riusciranno a estrarre dai video e controlli anche nei negozi attorno al supermercato. Deve essere arrivato lì in qualche modo. Se è arrivato in macchina è probabile che l’abbia lasciata all’esterno, nei parcheggi pubblici attorno al parco. Praticamente sotto al nostro naso». Rispetto alla questura l’Esselunga era al lato opposto del Parco XXV Aprile, a meno di dieci minuti a piedi. «Se è arrivato a piedi può darsi che abiti in zona. Sarebbe ancora meglio, quindi sicuramente non sarà così. Rosanna, tu ti occuperai di tutte le telecamere della zona. Telecamere del traffico, dei negozi, dei bancomat se ce ne sono... cerca il nostro uomo o la macchina della Marrano. Se trovi la macchina, seguila tramite cct meglio che puoi. Max, tu prendi una squadra di tecnici e, basandoti sui video che abbiamo, cerchi di trovare almeno un’impronta di questo tizio. Lo so che è difficile. Su quegli ascensori salgono migliaia di persone ogni giorno. Ma è possibile che abbia toccato un punto che nessun altro ha toccato e che dai filmati si riesca a individuare. Io andrò a casa di Marrano con qualcuno della polizia postale e esaminerò il computer della moglie».
Un Sensi così decisionista e dirigenziale si vedeva di rado, quindi tutti e tre, chi più chi meno, gli lanciarono delle occhiate stupite.
Il commissario sbuffò. «Muovetevi. Domani è domenica e l’aria condizionata resterà spenta tutto il giorno. Non vorrete essere ancora qua, vero?».

sabato 1 agosto 2015

Nodi (6)

Antoneta Horia era una bambolina di porcellana anche lei. Sensi iniziava a chiedersi dove avesse vissuto fino a quel momento, dato che la città sembrava invasa di bamboline che lui non aveva mai notato. Antoneta aveva grandi occhi azzurri, pelle rosea e chiara, capelli ondulati di un colore tra il rosso e il biondo, un visino delicato e un fisico un po’ acerbo eppure soffice.
Rispetto a Carlotta era una versione leggermente più giovane e ruspante. Il top che indossava si fermava giusto qualche centimetro prima della pornografia e gli short erano più aderenti, le strizzavano il culo come se volessero spremerlo, mentre sul lato A era inevitabile un effetto camel toe difficile da ignorare.
«Tu saresti uno sbirro?» furono le prime parole che disse Antoneta, quando Sensi la raggiunse in corridoio.
«Già» rispose lui, senza prendersela. Era una domanda che gli era stata rivolta innumerevoli volte. Guidò Antoneta in una stanza per i colloqui, un ambiente spoglio e bianco, leggermente intimidatorio. Per qualche losco motivo non appena lei si sedette quel luogo asettico sembrò trasformarsi nel set di un film hard, uno di quelli in cui lo sbirro muscoloso dà una bella ripassata alla testimone reticente contro il vetro monodirezionale. La sensazione fu accentuata dal fatto che Antoneta si sedette sul tavolo, non al tavolo, e accavallò subito le gambe con studiata e sensuale strafottenza.
«Che cosa volete da me?» attaccò, subito dopo. «Non ho fatto niente. Sto qua da tanti anni. Perché mandare quello sbirro in divisa a casa mia, come se sono una criminale?».
Il suo italiano era buono, ma non perfetto. Sensi rimase in piedi e iniziò a girellarle attorno.
«O un personaggio importante. In questo caso ci serviva sentirti subito sulla scomparsa di Carlotta Marrano».
«Eh?» fece l’altra, un po’ confusa.
«Si è volatilizzata ieri sera. Non lo sapevi?».
Antoneta scosse la testa. Poi spinse le labbra verso l’esterno, in una smorfia pensosa che il suo lucidalabbra super-lucido rese una specie di apologia del sesso orale. «Scomparsa come?».
Sensi sospirò. «Facciamo che le domande le pongo io. A che ora te ne sei andata da casa loro, ieri sera?».
L’altra si strinse nelle spalle, rendendo evidente che non portava il reggiseno. Sensi quasi si intenerì. Non sapeva da quanto tempo Antoneta lavorasse dai Marrano, nella cosiddetta alta società, ma la sua prima reazione, prelevata dalla polizia, doveva essere stata di sfoderare l’arsenale pesante, quello di strada. Era il genere di cosa che faceva innervosire certi poliziotti e ne convinceva altri di avere diritto a un pompino gratis. Per fortuna quella seconda categoria di sbirri andava assottigliandosi, sostituita da una generazione più ottusamente moralista che politically correct.
Sensi sospirò di nuovo, decidendo di ammorbidire ulteriormente il proprio tono. «Senti, Antoneta, non ce l’abbiamo con te. Sul serio. Ieri sera Carlotta Marrano è uscita per andare al super e non è più rientrata. Temiamo che l’abbiano rapita. Ci serve tutto l’aiuto possibile e ci serve in fretta. Fa così schifo, come datrice di lavoro?».
L’espressione di Antoneta cambiò all’istante. «Chi? Carlotta? No. Carlotta è okay. Non avevo... capito. Oddio... chi l’ha rapita?».
Sensi tirò il tablet fuori dalla custodia e lo posò sul tavolo. «Non lo sappiamo. Forse lui. Lo conosci?». Fece partire la sequenza di filmati delle telecamere di sicurezza.
«Non credo» rispose Antoneta, chinandosi sul monitor. «No, non lo conosco. Ma Carlotta sì, è vero?».
«Che tu sappia si vedeva con qualcuno?».
L’altra inarcò le sopracciglia. «In che senso? Quella è innamorata di Giorgio. Proprio cotta».
«Giorgio Marrano?» disse Sensi, tanto per essere sicuro.
«Eh. Suo marito. Sono tutti appassionati» ridacchiò Antoneta.
Sensi sospirò per l’ennesima volta. «Sì, ho visto le foto. Quindi non c’era nessun altro».
«Che cosa vuol dire che hai visto le foto? Perché?» fece lei, di nuovo sulla difensiva.
«Non mi interessano le foto. O forse sì, aspetta. Sono mai finite su internet? Qualche sito fetish, qualche community?».
Lei scosse la testa. «Non penso». Si mordicchiò il labbro inferiore, con il solito effetto da film hard. «Non lo so. Ti sono piaciute?».
«Non è successo niente di strano, ultimamente? Qualcosa di diverso dal solito? Magari Carlotta era di cattivo umore, o ci sono state delle telefonate insolite, o...»
«Non hai risposto!» lo interruppe Antoneta, ridendo.
Sensi sbuffò. «No, non mi sono piaciute. Ti dispiace lasciar perdere le stronzate per cinque minuti? Ho già notato tutto quello che dovevo notare... non mi interessa. Non ora, comunque. Non ti offendere, okay? Pensa a Carlotta. Ho l’impressione che suo marito non sia molto attento a quello che succede in casa, ma tu sei lì, forse le parli più di lui. Se ci fosse stato qualcosa di diverso...»
«No, niente» lo interruppe di nuovo lei. «Sei finocchio?».
Sensi annuì, tutto serio. Perché le spostate capitavano sempre a lui? «Si dice “omosessuale”. O al massimo “gay”. Comunque... ora puoi rispondere?».
«Non lo so. Può darsi che le hanno messe su qualche sito. Roba privata, per gente appassionata di quel tipo di cose lì, no? Ma Carlotta non pensava che era una grande idea, mi sa. Il tizio dei servizi le ha detto che era pericoloso e lei si è preoccupata. Lo sai che il papà di Giorgio è un politico grosso, vero?».
Il commissario si grattò la testa, si rese conto di avere ancora una specie di chignon e si vergognò leggermente. Poi si focalizzò di nuovo su quello che aveva appena sentito. «Quali “servizi”?».
«N-non lo so» ammise la colf. «La CIA?».
Per una volta Sensi rimase senza parole.
«Cioè, come la CIA italiana» corresse Antoneta, che doveva essersi resa conto che la sua rivelazione era un po’ bizzarra.
«L’AISE?».
«Eh?».
Sensi sospirò. «O l’AISI. Anche se in realtà non mi sembra probabile nessuno dei due, né l’intelligence esterna né quella interna. Sei sicura? Te ne ha parlato Carlotta?».
«L-lei ha detto solo “servizi”. Io ho pensato ai servizi segreti. Come nei film. Il papà di Giorgio...»
«Sì, sì» la interruppe lui. «Che cosa ti ha raccontato Carlotta?».
«No, niente» fece Antoneta, ora spaventata dal suo tono.
Sensi ebbe la tentazione di prenderla per il collo e stringere, ma si dominò e le rivolse un sorriso rilassato. «Non devi preoccuparti. Vorrei solo che mi riferissi quello che ti ha detto Carlotta. Non hai fatto niente di male».
La colf sembrò un po’ indecisa, ma alla fine diede una specie di scrollata di tette, cioè di spalle, e sputò il rospo. «Niente, per le foto. Ha detto che quel tizio dei servizi le aveva detto che non era una bella idea. Perché magari qualcuno le vendeva ai giornali. Era logico. Il papà di Giorgio...»
«Ti giuro che lo so chi è il papà di Giorgio. In che modo l’ha contattata questo tizio dei “servizi”?».
Antoneta scosse la testa.
«Quando?» ritentò Sensi.
«Me ne ha parlato la prima volta un paio di mesi fa».
«Va be’. Tieniti a disposizione» concluse Sensi, mollandola lì.