venerdì 31 luglio 2015

Nodi (5)

Il figlio del senatore ci mise un’altra ora, prima di arrivare. Sensi bevve una Red Bull ghiacciata e scaricò un po’ di musica con il computer dell’ufficio.
Quando Marrano bussò alla sua porta ed entrò lo trovò tranquillamente seduto dietro alla scrivania invasa di carte, con in testa una specie di buffa crocchia e con l’aria mezzo addormentata. Si guardò attorno, stupito dall’aspetto di quell’antro scuro e caotico, poi guardò il commissario stesso con vaga speranza.
«Ci sono novità?» chiese.
Aveva delle borse violacee sotto agli occhi e le sue guance sembravano scivolate un po’ più in giù, rispetto alla sera precedente.
Sensi ruotò il monitor verso di lui e gli fece vedere il collage di filmati. «Stiamo cercando di capire da dove sia arrivato questo tizio. È sicuro di non conoscerlo?».  
Marrano scosse la testa. Era ancora in piedi, visto che tutte le poltroncine erano sommerse di fogli, buste e materiale vario. «Mai visto. Non sembra che la stia costringendo a seguirlo».
Nella sua voce si era infiltrata una sfumatura fredda ben percepibile.
Sensi si grattò il mento. «Lo so. E, mi creda, nessuno sarebbe più felice di me se lei fosse semplicemente cornuto. Ma dobbiamo tenere in considerazione l’altra ipotesi, ha presente... quella secondo cui è un po’ strano che uno si presenti in un parcheggio sotterraneo senza una macchina, sbucando fuori dall’ombra giusto quando passa sua moglie, senza che si siano telefonati prima».
«Forse si sono messi d’accordo su Whatsapp» ipotizzò il marito.
Sensi non ci aveva pensato, ovviamente. In realtà odiava qualsiasi cosa ti obbligasse a scrivere su una mini-tastiera e avesse un correttore automatico. «Può per caso accedere all’account di sua moglie?» chiese.
Di nuovo, Marrano scosse la testa.
«Ha motivo di pensare che potrebbe avere un altro? Le scoccerebbe?».
«Che razza di domanda è? Certo che mi scoccerebbe. Non pensi che solo perché abbiamo dei gusti un po’ particolari...»
«No, guardi. I gusti particolari li ho io, a quanto pare. Quindi... siete una coppia chiusa e se Carlotta avesse avuto un altro non glielo avrebbe detto. È possibile che abbia un altro?».
Marrano sbatté le palpebre e Sensi si rese conto che stava cercando di non piangere. Contro ogni antipatia personale, provò una fitta di pena.
«Si sieda» disse. «Sposti un po’ di roba e si sieda. E non si faccia prendere dal panico».
L’altro spostò davvero una pila di carte su un’altra sedia. Invece di sedersi sembrò accasciarsi. Si prese la faccia tra le mani, senza più trattenere i singhiozzi.
Sensi non era una persona sensibile, da quel punto di vista. Aveva incontrato troppe vittime piangenti per provare ancora pena e quel tizio a pelle gli stava antipatico, ma non riuscì ugualmente a irritarsi troppo, anzi, si scoprì vagamente dispiaciuto per lui.
«Se ha un altro... non so che cosa farei, se avesse un altro» ammise Marrano, con voce rotta.
«Non voglio infierire» disse Sensi «ma credo che in questo momento le sue preoccupazioni dovrebbero essere diverse».
«Cioè?» fece lui, alzando leggermente la testa.
«Cioè sua moglie se n’è andata con uno sconosciuto, okay, ma non si conoscentri sul versante sessuale, sentimentale o quel che è. Una non scompare così, pure con se va via con l’amante. Al massimo va con lui in una bella stanza d’albergo con l’aria condizionata, fa quello che deve e poi torna a casa, da suo figlio se non da suo marito. O se proprio decide di fuggire come in una soap argentina, lascia un messaggio, telefona, lo dice a qualcuno. Invece Carlotta se n’è andata con questo tizio, lasciandogli guidare la sua macchina, ed è scomparsa dagli schermi radar. Il suo telefono non è rintracciabile, non è semplicemente spento. Quindi...»
«Quindi secondo lei è stata rapita?» concluse Marrano, quasi speranzoso.
«Se è stata rapita non è stato per soldi. Non è una bella notizia, sa».
Di nuovo l’altro si coprì la faccia con le mani. «Oddio... io sto qua a pensare male di lei e Carlotta potrebbe essere nelle mani di un maniaco...»
«Un maniaco che probabilmente conosce, sì. Veda se le viene in mente qualcosa. Senta le sue amiche, i suoi genitori, provi ad hackerare il suo computer, usi un po’ dei suoi potenti mezzi, visto che ce li ha. Io adesso parlo con la sua colf».
«Eh? Pensa che c’entri qualcosa? Qualche suo connazionale o...»
Sensi fece un gesto scocciato con una mano, invitandolo così a scomparire.
«Non si preoccupi di questo. Ci penseremo noi a essere razzisti al suo posto. È praticamente la nostra specialità».

giovedì 30 luglio 2015

Nodi (4)

La sveglia suonò alle sette, ma per una volta Sensi non se la prese. Tanto era così caldo che non sarebbe riuscito a dormire ancora per molto. L’unica fascia oraria in cui la temperatura calava abbastanza era dalle tre di notte alle sette del mattino, le otto al massimo.
Per di più quelle maledette ventole lo avevano annodato sul serio. Cercò di sciogliersi facendo l’ennesima doccia, ma non aiutò in modo particolare.
Frugò dentro il micro-cassetto che la Riu era stata così buona da lasciargli usare. I patti tra loro erano molto chiari: non avevano una relazione, non avevano obblighi né doveri, non era previsto nessun coinvolgimento affettivo, ma Sensi poteva usare quel piccolissimo cassetto, invece di sparpagliare le sue cose dappertutto.
«Hai stirato la mia maglietta dei Cocteau Twins?» disse lui, quella mattina, tirandola fuori.
«Se è per questo l’ho anche lavata» brontolò la Riu.
Sensi rise e se la infilò senza aggiungere altro. A quel che pareva l’ispettrice gli aveva lavato anche le mutande e i calzini, ma non era assolutamente il caso che la ringraziasse. Si sarebbe solo arrabbiata e Sensi la conosceva abbastanza bene da saperlo. Si limitò a palparle il culo in segno di apprezzamento.
Tudini lo chiamò mentre andava verso la questura.
«Mainardi ha trovato un filmato del rapimento» gli disse, con voce stanca. Ieri notte ha tirato giù dal letto gli adetti alla security di metà dei supermercati della città». Fece una piccola pausa e aggiunse: «Non sembra un granché un rapimento».
Sensi chiuse gli occhi e sospirò. Poi, visto che stava guidando lungo una strada tutta curve, si affrettò a riaprirli.
Venti minuti più tardi erano tutti davanti al monitor del computer di Tudini.
L’aria condizionata era accesa e bastava questo a non volerti far lasciare mai più la questura. Forse era per quello che la spegnevano, alla sera. Il risparmio energetico non c’entrava niente. Spegnevano l’aria condizionata perché se no non se ne sarebbe andato nessuno – e dato che in fondo erano statali, sarebbero riusciti a far figurare quelle ore extra come straordinari.
Mainardi aveva un aspetto miserevole e gli occhi continuavano a chiuderglisi. Seguendo la pista dei filmati di sicurezza non aveva dormito nemmeno mezz’ora.
«Se ne vada a casa, Roberto» disse Sensi, magnanimo.
«Preferirei mettere la testa giù sulla scrivania, se non è un problema, capo» rispose l’altro.
Giusto. L’aria condizionata. Sensi annuì. «Non si faccia beccare da Salvemini. Max, fallo ripartire, vuoi?».
Tudini fece girare una seconda volta lo spezzone di filmato.
L’inquadratura era fissa e riprendeva uno spicchio di parcheggio sotterraneo debolmente illuminato.
«Avevi ragione. È andata all’Esselunga» disse alla Riu, mentre sullo schermo si vedeva la Classe A della moglie di Marrano infilarsi in uno spazio vuoto. I fari si spensero poco dopo e si aprì la portiera del guidatore. Carlotta indossava degli short bianchi e una canottiera dal colore indefinibile, forse verde, forse marrone, forse un altro ancora. Aveva i capelli legati in una coda e la borsetta sotto braccio. Fece scattare la chiusura elettronica e si allontanò.
Tudini fece partire il secondo spezzone, che era stato ripreso dalla telecamera di sicurezza successiva.
Carlotta veniva avvicinata da un uomo dalla corporatura normale e dai capelli scuri, tagliati corti. Data la risoluzione delle immagini il viso non si vedeva benissimo, ma dimostrava tra i trenta e i quarant’anni, senza nessun segno particolare. L’uomo portava dei pantaloni di tela beige o verde oliva e una maglietta a mezze maniche blu o nera.
«Ferma» disse Sensi e Tudini bloccò il filmato.
«Lui le dice qualcosa, lei fa questo piccolo gesto con la testa... come se ondeggiasse appena all’indietro. Non abbiamo una ripresa che ci mostri la sua faccia, presumo».
«No» rispose Tudini.
«Sembra come quando... vedi qualcuno che non ti aspetti di vedere, no? Come se stesse dicendo: “Che cosa ci fai qua?”. Ma potrebbe anche essere: “Ah, eccoti qua”. Merda. Fai ripartire».
I due parlavano per qualche secondo. Sembrava una conversazione posata e tranquilla. Non gesticolavano, l’espressione di lui sembrava tranquilla. Poi si voltavano e andavano verso la macchina di lei. Il tizio le sfiorava un braccio, come guidandola.
«Quel gesto» intervenne la Riu, sporgendosi per bloccare di nuovo. «Denota una certa intimità, non pensate?».
«Dipende. Comunque è chiaro che si conoscono, almeno superficialmente. Ci può stare. È appropriato. Non è violento, non è nemmeno invadente. Quasi non la tocca. Marrano che cosa dice?».
«Sta arrivando» rispose Tudini.
Il filmato ripartì. Un altro spezzone. I due salivano in macchina. Lui si metteva al volante, mentre lei saliva al suo fianco. L’auto andava in moto, i fari si accendevano e poi l’uomo faceva retromarcia e filava via.
«Guida lui» disse l’ispettrice, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Sensi sbuffò. «Sì, è sessista da pazzi».
La Riu lo fulminò con lo sguardo. «Intendevo...»
«Lo so che cosa intendevi. Devi conoscere bene una persona per farle guidare la tua macchina. E lei sembra pienamente consenziente, quando sale. Tranquilla. Ma, vedi, la qualità delle immagini è schifosa e per quel che ne sappiamo potrebbe essere bianca di paura o stare persino piangendo, mentre sale docilmente a bordo».
«A me sembra sospetto» intervenne Tudini. «Lui è entrato nel parcheggio a piedi».
Partì l’ultimo spezzone. L’uomo con i capelli scuri usciva dall’ascensore nel sotterraneo, come se venisse dal supermercato.
«Ricapitoliamo» disse Sensi, stropicciandosi gli occhi. «Carlotta Marrano esce di casa alle sette e mezza circa. Guida fino all’Esselunga, parcheggia, scende dalla macchina e incontra il bell’Antonio, lì. Lui è senza macchina e sembra arrivato proprio al momento giusto. Si sono dati appuntamento?».
«Abbiamo controllato i tabulati di Carlotta?» aggiunse la Riu.
«Sì. Non ci sono telefonate immediatamente precedenti alla sua scomparsa» spiegò Tudini. «Ovviamente ce ne sono diverse nel corso della giornata, ma Marrano deve ancora guardarle e dirci se gli sembrano normali. Spero che si sbrighi ad arrivare, ma ha detto che doveva aspettare la babysitter. Per il momento non ha riconosciuto l’uomo del parcheggio, ma gli ho mandato solo una schermata, può darsi che vedendolo in movimento gli venga in mente chi è».
Sensi si arrotolò i capelli attorno a una mano e cercò di annodarli in qualche modo. Dove diavolo era finito il suo elastico? L’ispettrice lo fece scorrere verso di lui dal punto in cui era, sul ripiano della scrivania, e Sensi le rivolse un veloce sorriso di ringraziamento. Poi si fece una specie di chignon, dato che anche con l’aria condizionata era troppo caldo per lasciare i capelli sciolti.
«Abbiamo i filmati delle cct anche all’interno del super? Davanti all’ascensore, agli altri piani del parcheggio? Vorrei seguire i movimenti del nostro amico, qua, per quanto possibile. Voglio dire... sicuramente non era entrato a comprare qualcosa, ma...»
«Secondo me avevano un appuntamento» disse Tudini. «Non capisco perché lui sia senza macchina, però. Cioè, non capisco perché darsi appuntamento in un parcheggio sotterraneo se sei senza macchina».
Sensi si alzò e sbadigliò. Aveva dormito pochissimo anche lui e l’idea di Mainardi di mettersi per un po’ con la testa sulla scrivania non gli dispiaceva. Ma non aveva speranza, ne era ben consapevole.
«Va be’. Rosanna, tu occupati di ampliare il raggio nelle ricerche sulle cct. Cerca di capire da dove venisse il nostro amico e da che parte siano andati quei due. Max, convoca la colf, Antoneta Horia. Manda qualcuno a prenderla a casa se necessario».
«Quindi continuiamo a considerarlo un sospetto rapimento?» chiese il suo vice.
Sensi sospirò. «Magari verrà fuori che quei due sono solo andati a scopare, hanno avuto entrambi un malore per il caldo e tra un po’ rispunteranno, pentiti o stecchiti. Ma siamo onesti: chi avrebbe voglia di scopare, con questo caldo?».
Sia Tudini che la Riu misero su un’espressione vaga.
Sensi fece un gesto scocciato. «Solo persone dal baricentro erotico alto, è ovvio. E, okay, magari lo sono anche i due desaparecidos, non dico di no. Ma più probabilmente lui l’ha avvicinata e le ha detto qualcosa che l’ha convinta a seguirlo – qualcosa tipo: non gridare, non agitarti, ho rapito tuo figlio, torniamo alla macchina, dammi le chiavi, sali a bordo e preparati a un week end un po’ particolare».
«Magari è un bondagista pure lui» propose la Riu.
Tudini inarcò le folte sopracciglia.
«Rosanna, aggiornalo. So che ti piace discutere delle perversioni altrui. Poi mettetevi in moto. Quando arriva Marrano mandatelo nel mio ufficio».

mercoledì 29 luglio 2015

Nodi (3)

La Riu lo guardò con le sopracciglia inarcate finché non sentì il rumore della porta dell’ascensore che si richiudeva.
«Pensiamo a tutto noi?» ripeté, quando fu sicura che Marrano non potesse sentire.
«Ma certo» ripeté anche Sensi, con un sorriso storto. «Domattina, dopo essercene andati a casa e aver provato a dormire. C’è un caldo fottuto, qua. E c’è un caldo fottuto anche a casa mia. A San Benedetto si stava quasi bene. In cima a via dei Colli?».
La Riu spense il computer e prese la cartellina del caso, che era ancora praticamente vuota, per riporla.
«È un peccato che Mainardi non sia qua per cogliere i tuoi velatissimi accenni, Ermanno. Non sono sicura di voler essere la sostituta per il resto della nottata, in ogni caso».
Sensi le lanciò un veloce sorriso. «No, guarda. La sostituta era Ginny. Sai che non mento su questa roba. E potrei tornare a San Benedetto, ponendo di non perdermi nelle gallerie, ma solo per il fresco. D’altro canto... il fresco mi attira anche a casa tua. Potresti dimostrare un po’ di buon cuore e lasciarmi almeno dormire lì, se proprio non vuoi mescolarti con me in nessun altro modo».
L’ispettrice sbuffò, prese le chiavi della macchina e spense la luce dell’ufficio, facendo cenno a Sensi di uscire.
Sensi la premette contro il muro, chinandosi a baciarla.
«Fa così caldo che non ho nemmeno voglia di usare impropriamente il ripiano immacolato della tua scrivania» le mormorò nell’orecchio, divertito.
«È cheap» gli fece notare lei.
«Almeno non voglio legarti».

*

Intorno a mezzanotte erano entrambi nel letto di lei. Si erano anche fatti una doccia, sebbene non fosse servito a molto. Il sudore ricompariva quasi subito. Sul soffitto della camera della Riu c’erano delle pale bianche che giravano lentamente, producendo un gentile spostamento d’aria. Aria calda, comunque, come quella che entrava dalla finestra aperta.
«Quand’è che dovrebbe piovere?» mormorò lui, ripetendo la domanda che tutti si facevano in continuazione.
«Domani» rispose lei, senza convinzione e senza distogliere gli occhi dal soffitto. «Fanno giochetti sado-maso, quei due?».
«A quanto pare li fa tutto il mondo. Ci hanno scritto pure quel libro, Quarantanove gradi di febbre» rispose lui, un po’ assonnato. Ma era troppo caldo per riuscire ad addormentarsi di colpo dopo il sesso. E comunque era troppo caldo anche per il sesso. La sveltina in questura l’aveva quasi ammazzato.
«Se la febbre ti sale a quarantanove muori» specificò la Riu, precisa come suo solito. «Sopra i quarantacinque, massimo quarantasette, le cellule non resistono».
Sensi rise sottovoce. «Ti sei informata. Hai anche letto il libro?».
Lei fece una smorfia. «Ci ho provato. Non mi avvince. Ai Marrano invece piace, mh? La foto che hai lasciato sul display... ah, Cristo. Sono una moralista».
«Non direi» disse Sensi. «Non credo che in questo caso c’entri qualcosa, comunque. Anzi, penso che significhi che hanno un legame solido o boh. Mi stanno sul cazzo i ricchi bastardi come loro. Tirano in mezzo la colf nei loro giochi e non le pagano nemmeno i contributi. Non si fa. Quindi, vedi, sono un po’ moralista anch’io».
La Riu si voltò a metà e gli diede un bacino sull’angolo della bocca. Quel maledetto, pensò, ma disse: «Sei un sacco moralista, a conoscerti. Ma hai ragione. Non riesco a sentirmi coinvolta. L’avranno rapita per soldi?».
Sensi sbadigliò. «Non è detto. È una bambolina di porcellana, anche lei. Hanno il loro pubblico».
«Anche lei? Ah, Ermanno».
Lui sorrise. «Di solito le donne esteticamente perfette a letto sono noiose, ma, sai, uno ci prova lo stesso, sperando di beccare l’eccezione. Si stendono e aprono le braccia. O vogliono essere legate. Perché vogliono tutte essere legate, Rosanna? Che cosa c’è di divertente? Sembro un tipo a cui piace legare le donne?».
«Tu? Sì».
Sensi sbuffò. «Cristo. Non possiamo alzare la velocità di quelle ventole?».
«Possiamo, ma domattina saremo tutti annodati».
Lui rise. «Mi prendi in giro? Annodati?».
«Volevo dire...»
«Lo so. Sono ipersensibile. Ma qual è l’alternativa? Restare svegli con le ventole al minimo? Quanti gradi ci sono? No, non voglio saperlo. Come si fa a rapire una con questo caldo? Non può essere per il sesso, Rosa. A chi verrebbe mai voglia di scopare con trentadue gradi di sera? Rapire una tizia, lottare, sopraffarla, legarla e poi violentarla mentre quella scalcia? Ah, lascia stare, domanda del cazzo. Lo so che qualcuno che ha voglia di darsi lo sbattimento si trova sempre».
«Considerando il tuo exploit in questura? Non ho il minimo dubbio».
Sensi le rivolse un sorriso lento. «Tu non scalciavi».
«In effetti. E comunque è stato cheap, continuo a pensarlo».
«Hai spruzzato dell’amuchina sul ripiano della tua scrivania, dopo. Lo capisci che proverò a convincerti a rifarlo ogni volta in cui sarà possibile solo per questo?».
«Per rompermi le palle?».
«Mh».
«Io penso che sia andata all’Esselunga».
Sensi si voltò completamente verso di lei. «Sei un balsamo per il mio ego».
«La maggior parte dei supermercati chiude alle otto. Se è partita di casa alle sette e mezza le sarebbe mancato il tempo per fare la spesa e pagare, in uno di quelli. O forse ce l’avrebbe fatta, ma per un pelo. La Coop del centro commerciale chiude alle nove, ma il parcheggio è gigantesco, se devi comprare solo un paio di cose è scomodo. L’Esselunga chiude alle nove e il parcheggio è relativamente piccolo. Io sarei andata lì».
«Domani andiamo a vedere» sbadigliò lui. «Guardiamo i filmati delle telecamere. Ma non puoi escludere che sia andata al super più vicino, il Basko. Scommetto che andava sempre lì. I sacchetti sono verdi. Se conosceva la disposizione della merce, entrare, prendere quello che le serviva e pagare sarebbe stato un attimo. Domani andiamo anche lì. Sarà romantico».
Lei rise. «Che cosa ti fa credere che voglia fare cose romantiche, con te?».
«Allora sarà sexy. Solo se c’è l’aria condizionata, però».

martedì 28 luglio 2015

Nodi (2)

Naturalmente poteva sbagliare, e sbagliò un paio di volte. Le Gallerie, secondo Sensi, erano la dimostrazione che Dio si divertiva crudelmente con gli uomini. O meglio, era l’assessore all’urbanistica a farlo. Le Gallerie formavano un complesso intricato e dai contorni indefinibili il cui portale d’accesso era alla Foce, nella periferia nord-est della città. Nessuno sapeva dove conducessero con esattezza, tranne un ristretto gruppi di eletti che definivano “semplicissimo” tutto quello che riguardava quei maledetti tunnel. Per quanto ne sapeva Sensi, teoricamente le Gallerie avrebbero dovuto aggirare la città a nord, consentendo agli automobilisti di raggiungere la periferia opposta senza passare per il centro o per la galleria Spallanzani, che era sempre intasata di macchine, il gigantesco nuovo centro commerciale, l’ospedale del Felettino, l’ospedale Sant’Andrea e tutta una serie di misteriosi paesi più o meno grandi arrampicati sulle basse montagne che circondavano la città. Teoricamente.
In pratica, quando imboccavi la prima galleria il tuo destino era segnato. La strada saliva, curvava, c’erano bretelle e indicazioni sibilline, messe proprio all’ultimissimo istante prima dello svincolo che dovevi – o non dovevi – prendere, e alla fine ti ritrovavi come per magia al centro commerciale, qualunque fosse la destinazione che avevi in mente.
Quella sera Sensi si scusò nel suo miglior tono dispiaciuto con Ginny, che tutta seria disse che capiva benissimo che i “motivi di servizio” avevano la precedenza, saltò dentro un paio di pantaloni aderenti neri, si rinfilò la sua maglietta dei New Order, nera pure quella, e si riallacciò i doc Martens “estivi”, che poi di estivo avevano ben poco.
Ginny gli disse di ripassare da lei più tardi, se voleva, e Sensi cercò vigliaccamente di non sbilanciarsi. Una parte di lui, nonostante tutte le prove a sfavore, continuava a credere che una donna non potesse essere così bella e così insulsa nello stesso momento. Ulteriori indagini avrebbero potuto provare che... okay, probabilmente che voleva essere di nuovo legata al letto in una triste imitazione di trasgressività, ma non si poteva mai sapere.
Seguì le indicazioni della Riu e si assicurò solo di essere sempre in discesa. Nell’arco di dieci minuti le potenti Gallerie l’avevano portato al centro commerciale, che lo volesse o meno, e di lì era riuscito ad arrivare in questura dopo aver sbagliato strada solo un altro paio di volte.
Dato l’orario, le stanze della squadra mobile erano l’inferno in terra. Gli uffici erano chiusi per la notte e con essi il sistema di condizionamento. L’open space centrale, di solito affollato di agenti, era deserto, con solo un paio di plafoniere al neon accese, e l’aria era ferma, umida, caldissima, soffocante.
Erano due settimane che il meteo prometteva pioggia, ma per il momento si erano visti solo caldo e umidità.
Un uomo sui quarantacinque, in camicia bianca e cravatta allentata, si stava lentamente sciogliendo su una sedia del corridoio subito fuori dall’ufficio che la Riu condivideva con Mainardi.
Sensi fendette l’aria stagnante dell’open space, rivolse un secco cenno di saluto all’uomo afflosciato in corridoio e si infilò dentro l’ufficio della Riu.
«Non si può riaccendere? È disumano» furono le sue prime parole.
L’ispettrice era in piedi accanto alla finestra aperta, con in mano una bottiglietta d’acqua fredda. Al contrario di Ginny, non sembrava per niente una bambola di porcellana. Era atletica, abbronzata, dall’ossatura grossa e dalla corta zazzera bionda resa quasi bianca dal sole e dal sale. Aveva due grandi occhi azzurri, questo sì, seri, da gendarme, ma anche luminosi come fari se volevano esserlo.
Indossava dei pantaloni di lino, delle scarpe da barca senza calze e una canottiera di cotone blu, giustificata solo dall’immenso calore di quei giorni. L’ispettrice Riu era l’appropriatezza fatta persona. Come ogni volta in cui pensava questo, a Sensi venne voglia di toccarle le tette.
«Ho già chiesto. No» rispose lei, bevendo un piccolo sorso dalla bottiglietta.
Sensi sospirò. «E questo qua fuori? Marrano?».
L’altra annuì. «Ha smesso di telefonare. Forse ha smesso anche di respirare».
Sensi sospirò di nuovo. Forse avrebbe smesso di respirare anche lui. Persino Astarotte, al suo interno, sembrava trovare il clima un po’ troppo torrido e Astarotte, fino a prova contraria, veniva dall’inferno.
Andò a recuperare il loro sgradito ospite. «Sono il commissario Sensi» si presentò. «Non che cambi qualcosa, ma può entrare».
Marrano ci mise quasi un intero secondo a reagire. Quaranta minuti o un’ora a mollo in quel brodo rovente avrebbero distrutto la volontà anche di un uomo senza una preoccupazione al mondo.
Non era il caso di Marrano, di questo Sensi si rese subito conto. Marrano era al secondo stadio della disperazione, quello in cui, dopo un’inutile frenesia, si sprofonda in una specie di abulia rassegnata.
A prima vista il figlio del senatore sembrava il classico uomo d’affari. Capelli grigi dal taglio classico, cravatta elegante, camicia bianca, gemelli discreti... ma la camicia era fradicia di sudore, la cravatta gli pendeva dal collo come un cappio, la pelle, che si intuiva rossastra, era pallida, lucida, e tutto il suo corpo pareva come svuotato.
Lanciò a Sensi un’occhiata spenta. «Sì, buona sera, commissario» borbottò, alzandosi piano. «È stato gentile a venire a quest’ora». Poi, per un istante, l’abitudine prese il sopravvento e squadrò Sensi dall’alto in basso. La maglietta non dovette dirgli niente, ma fu chiaro che non gli piacevano né i capelli lunghi e ingarbugliati, legati in una coda, né gli anfibi. Nonostante questo sembrò accettare che l’altro fosse la sua migliore speranza di ritrovare la moglie, segno che era davvero disperato.
«Prego, si accomodi» disse Sensi, scostandogli una sedia alla scrivania della Riu. «Mi racconti che cosa è successo. Rosanna, mi vai a prendere una Red Bull?».
La Riu gli lanciò un’occhiataccia, ma finì per accontentarlo, visto che aveva già sentito la storia di Marrano due volte.
«È scomparsa mia moglie» disse lui, in tono stanco. «Intorno alle sette e mezza è uscita con la macchina per andare a prendere qualcosa al super. Non mi ricordo. Qualcosa per la cena che la colf si era dimenticata. Alle otto e mezza l’ho chiamata al cellulare, ma era spento. Ho pensato che avesse incontrato qualcuno...»
«Il cellulare» lo interruppe Sensi. «L’ha fatto rintracciare?».
Marrano sembrò imbarazzato.
Sensi sospirò. «Non si preoccupi, la legalità non è il primo pensiero della squadra mobile. Non voglio nemmeno sapere a chi si è rivolto. A che ora l’ha fatto rintracciare?».
«Verso le nove e mezza. A quel punto avevo provato a telefonarle diverse volte. Mi hanno detto che il suo cellulare non era più attivo. Così sono venuto qua».
L’ispettrice Riu rientrò nella stanza e posò sulla scrivania una lattina di Red Bull ghiacciata e un’altra bottiglietta d’acqua, che spinse verso Marrano prima di sedersi accanto a Sensi.
Il commissario stappò la lattina e bevve un sorso. «È arrivato poco prima delle dieci... immagino che non ci fosse nessuno».
Di nuovo l’altro sembrò imbarazzato. «Avevo telefonato al questore. Mi aspettava il vice-commissario... mmh...»
«Tudini» gli venne in aiuto Sensi. «Mi è stato detto. E Tudini ha convocato gli ispettori Riu e Mainardi. Mi dia qualche dato. Dove abita, per cominciare?».
«Via dei Colli».
Sensi si voltò verso la Riu. Anche lei abitava lì. Era una strada che serpeggiava su per le colline che circondavano la città, come il nome stesso diceva.
«Nella parte bassa» specificò l’ispettrice. «Subito sopra alla cattedrale».
Era la parte più patrizia di via dei Colli. Grandi residenze in stile liberty, spesso protette da muri coperti di rampicanti e alti cancelli. L’ispettrice, invece, abitava molto in alto, in una casetta bi-familiare con una bellissima vista, terribilmente faticosa da raggiungere a piedi.
«Ha preso la macchina per andare al supermercato. Quale?».
Marrano scosse la testa. «Non lo so. Forse l’ha detto, ma non ci ho fatto caso». Sembrava molto angosciato.
«Di solito dove andava?».
Lui fece un gesto sconfitto. «Sacchetti di plastica verde. Oppure alla Coop, penso».
Sensi gli fece segno che non aveva importanza. «Ha una foto di sua moglie?».
«Sul cellulare. L’ho spedita al suo collega... gliene ho spedite un po’».
Mentre lo diceva tirava fuori un iPhone ultimo modello, smanacciava sullo schermo sottile e pieno di ditate e poi voltava l’apparecchio verso il commissario.
Un’altra bambola di porcellana.
Grandi occhi chiari, pelle lattea, capelli biondi e ondulati, tratti delicati, trucco leggero.
«Quanti anni ha?» chiese. La donna nella foto non ne dimostrava più di trenta, ma forse con un filo di botox sulla fronte...
«Trentasette. Ha otto anni meno di me».
«Professione?».
«Era un avvocato, ma quando è nato Carlo...»
«Quando è nato?».
«Quattro anni fa».
«Casalinga, dunque. Qualcos’altro? Associazioni, volontariato?».
«Sì, sì, tutta quella roba» assentì Marrano, che evidentemente non era molto interessato a “quella roba”. «Non mi ricordo tutti i nomi. Sono sicuro del Rotary, ma ce ne sono altre. Penso che l’abbiano rapita» aggiunse, succhiando aria come se si preparasse a immergersi. «So che bisogna aspettare ventiquattro ore prima di fare la denuncia, ma... con mio padre e tutto, no? Credo che l’abbiano rapita».
Sensi si grattò il mento. «Sì, lo penso anch’io. E, no, non bisogna aspettare ventiquattr’ore. Ma non parli più di suo padre, per favore. Non credo che l’abbia rapita lui».
Marrano aprì la bocca, oltraggiato, ma poi capì che era uno scherzo e fece un gesto vago, come a prenderne atto.
«Inoltre» continuò Sensi, facendo scorrere distrattamente la collezione di foto dell’altro, «non credo che sia prudente concentrarsi solo su una pista economica o politica». Marrano cercò di riprendersi il cellulare, ma Sensi si alzò, portandolo con sé, e andò a mettersi vicino alla finestra. L’altro sembrò, una volta di più, sgonfiarsi.
«È solo... un gioco» borbottò, debolmente.
Sensi continuò a sfogliare. «Il bondage? Be’, dipende. Se fossi in lei ripasserei i nodi, perché alcuni di questi sono pericolosi. Ma non credo che sua moglie sia andata al super legata come un salame, quindi per l’indagine in corso non ha nessuna importanza. Neanche questo, presumo. La colf?».
Marrano non ebbe bisogno di guardare la foto. Annuì, con lo sguardo basso.
«Lasci anche i suoi dati, non si sa mai. Nome, età, a che ora se n’è andata oggi?».
L’altro fece un gesto vago. «Le sei e mezza, le sette. Non ci ho fatto caso».
Sensi continuò a scorrere la galleria delle immagini, senza che il suo viso rivelasse nulla di quel che ne pensava. «Non ha fatto caso a un sacco di cose. Comunque... il nome?».
«Antoneta Horia. È... comunitaria».
«Cioè rumena» disse Sensi. La sua non era una domanda, ma Marrano annuì lo stesso.
«In regola?».
«Eh, sa...»
«Ma certo» tagliò corto Sensi. Non aveva nessuna simpatia per la gente ricca che non paga i contributi alla gente povera, ma si rendeva conto che probabilmente non aveva niente a che vedere con la scomparsa di Carlotta Marrano. «Be’» aggiunse, allungandogli il cellulare con l’ultima foto ancora aperta, «domattina qualcuno scambierà due chiacchiere con Antoneta, se nel frattempo sua moglie non è saltata fuori. I miei colleghi le hanno spiegato come procederemo? O meglio, come stiamo già procedendo?».
Marrano annuì, affrettandosi a spegnere lo schermo del cellulare, che mostrava quella che probabilmente era la vagina di sua moglie – e non nella migliore delle circostanze.
«Il suo vice ha detto di aver diramato un’allerta per la macchina e per Carlotta. A tutte le pattuglie, si dice così?».
Sensi non gli rispose.
«Ed è andato a fare...»
«Mainardi sta ripercorrendo il possibile percorso della signora» intervenne la Riu, visto che Marrano si era bloccato, «Tudini sta mettendo sotto controllo i vari telefoni di casa. E anche il suo cellulare, probabilmente» aggiunse, un po’ meno sicura.
«Amo mia moglie» buttò fuori il figlio del senatore, lì, come se non riuscisse proprio a tenerselo dentro. «Per favore, potete ritrovarla?».
Sensi gli lanciò una lunga occhiata. Non aveva simpatia per quell’individuo e non aveva simpatia neppure per l’amore, ma che cavolo avrebbe dovuto dirgli?
«Ma certo. Ora se ne vada a casa e provi a dormire. Pensiamo a tutto noi».

lunedì 27 luglio 2015

Nodi (1)

Quando l’ispettrice Rosanna Riu lo chiamò, Sensi era a letto con un’altra. Dato che la ginnastica era già finita, e dato che nella stanza di lei stava iniziando a notare indizi sempre più inquietanti, Sensi rivolse alla sua compagna di letto un sottile sorriso di scuse e accettò la chiamata.
«Sì?».
«Abbiamo un problema» furono le prime parole dell’altra. Sensi non ne aveva dubitato per un istante, anche perché erano le dieci di un venerdì sera di agosto e la Riu giusto quel pomeriggio aveva asserito che avrebbe sfruttato la frescura della notte per dare una bella pulita a casa propria. Sensi era consapevole che il suo fascino stropicciato non poteva competere con la prospettiva di un’eccitante nottata di lavori domestici, quindi si era, diciamo, organizzato diversamente.
Se l’ispettrice lo chiamava a quell’ora, interrompendo il proprio rituale di pulizia, dovevano avere un problema, sì, e pure un problema bello grosso.
«Hai finito l’amuchina spray?» provò a disimpegnarsi, comunque. Nonostante gli indizi preoccupanti che continuava a notare nella camera da letto di quella tizia non era ancora sicuro che una nottata di lavoro sarebbe stata preferibile a una seconda sessione con “Ginny”, così si era presentata.
«Non finisco mai l’amuchina spray» rispose stancamente allo scherzo la Riu. «No, sono in questura. Abbiamo una persona scomparsa. Vuoi sapere chi è il marito?».
«Voglio saperlo?».
«Te lo dirà comunque lui non appena lo vedi. È il figlio di Marrano, il senatore».
«Nomen omen, mh? Ovviamente non ho idea di chi sia. Ma, sai, quando si presentano con la lettera di raccomandazioni mi fanno venire voglia di abbassare i miei standard notoriamente alti di responsività alle richieste di aiuto dei cittadini e...»
«Dove sei, Ermanno?».
Lui sbuffò. «Da qualche parte in campagna. Su per quelle maledette gallerie, hai presente».
«San Benedetto?».
«È possibile. C’è fresco, qua».
«Mi dispiace, ma dovresti venire. Max è già andato a fare un sopralluogo con Mainardi. Marrano junior è in sala d’attesa che continua a telefonare a questo e a quello, raccomandando “la massima discrezione”. Da domattina sarà sui giornali, è inevitabile. Salvemini...»
«Immagino» la interruppe Sensi. Salvemini era il questore e supponeva che fosse la prima persona che Marrano, lì, avesse chiamato.
La Riu emise una risatina, un fenomeno piuttosto insolito in lei. «No, Salvemini è invelenito. Non gli piace essere disturbato al ristorante dal figlio di un senatore alla prima legislatura. Per lui il cibo è una cosa seria. Ma comunque... ormai sa della cosa e vorrà poter dire alla stampa che la squadra mobile si è attivata prontamente».
Sensi lasciò vagare lo sguardo sulle pareti della camera da letto un po’ frivola in cui era atterrato quella sera. Erano rosa chiaro. Il copriletto era rosa chiaro. Sul comodino di lei c’era il noto best-seller Quarantanove gradi di febbre, che aveva sdoganato il BDSM, o quanto meno una sua imitazione, presso la popolazione generale. E poi c’era Ginny stessa, visino da bambola di porcellana, capelli ondulati e biondi, pelle lattea e carne soda, che lo guardava con espressione ammirata. Scioccamente ammirata, per essere del tutto onesti. E a letto non era un granché. Anzi, le pulizie domestiche della Riu avevano assunto un fascino nuovo, per Sensi, dopo aver provato un po’ dell’idea di divertimento di Ginny.
«Va be’, arrivo» concluse, in tono stoico.
«Assicurati di andare sempre in discesa. Non puoi sbagliare» rispose la Riu.