domenica 29 marzo 2015

L'architettura segreta del mondo - terzo estratto

La Giusti gli aveva portato la lattina di Red Bull che Sensi sostituiva abitualmente alla prima colazione e si era eclissata. Lui, stravaccato dietro alla scrivania, aveva sorseggiato la
bevanda a occhi chiusi.
Rosalba Wang era incazzata nera con lui. L’aveva praticamente consegnato alla tizia che l’aveva quasi ucciso, ma quella incazzata era lei.
Era tutto perfettamente coerente.
Sensi se lo aspettava, ma gli dispiaceva lo stesso. Le donne avevano sempre provato l’impulso di consolarlo – almeno da quando lui aveva avuto il costante bisogno di essere consolato – e se ne incontrava una che non si preoccupava di ferirlo ne rimaneva stranamente scosso. Non che lui non
fosse il primo ad approfittare in lungo e in largo di questo suo dono naturale.
Ci fu un doppio bussare alla porta e, prima che Sensi avesse la possibilità di chiedere chi fosse, l’ispettrice Riu scivolò nella stanza.
Era di corporatura tarchiata, questo era il meglio che si potesse dire di lei. Senza che il suo corpo atletico fosse inquinato da un solo grammo di grasso, l’impressione che faceva, da vestita, era di una donna robusta. I corti capelli biondi incorniciavano un viso abbronzato dalla mascella squadrata, sul quale gli occhi azzurri spiccavano come fari.
Ultima arrivata nella sua squadra, fino all’anno precedente la Riu non aveva fatto mistero della sua antipatia per il commissario. L’aveva ribattezzato ‘Batman’ e non aveva perso l’occasione per far notare ai suoi colleghi quanto fosse patetico il suo atteggiamento da eroe romantico adolescenziale,
quali fossero le sue pecche sul lavoro e quanto fossero insopportabili le sue maniere eccentriche.
Poi, improvvisamente, dopo aver saputo dei suoi trascorsi, l’ispettrice si era trasformata in una sua fan.
Sensi non aveva mai capito con precisione se a colpirla fosse stato il periodo sotto copertura di tre anni come membro di una setta satanica, il fatto di aver salvato una ragazza da un sacrificio umano e di sentire la responsabilità del suicidio di un’altra o se, semplicemente, l’avesse fatta ricredere
la medaglia al valore che gli era stata conferita in quell’occasione. In realtà, non si era mai consumato troppo il cervello per capirlo.
«Ciao» disse, senza muoversi, desiderando interiormente che non fosse entrata, «come va?»
Non aveva idea di come cominciare (o continuare) quella conversazione.
Non dopo che tre notti prima, di ritorno dal disastroso viaggio a Santo Domingo durante il quale non aveva convinto Carmel a rientrare con lui, aveva visto sorgere l’alba nel letto dell’altra.
«Come stai tu» ribatté la Riu, sedendosi senza esitazione sulla poltroncina appena lasciata libera da Salvemini.
Sensi sorrise della posizione che avevano assunto, forse per abitudine. Lui dietro la scrivania, lei davanti.
«Salvemini ha ricevuto una telefonata inviperita della Wang. Che è incazzata perché mi sono rifiutato di partecipare al suo libro sulle sette».
L’ispettrice inarcò un sopracciglio. «E il capo vuole convincerti a farlo?»
Era confortante sapere che lei era automaticamente dalla sua parte, anche se era tutto molto più complicato. «Apparentemente no. Stava calcolando i danni. Forse».
La Riu sorrise brevemente. «Tutto bene, quindi».
«Non va mai tutto bene, a Gotham. Il crimine è sempre in agguato» scherzò stancamente lui. «Hai deciso di porre fine alla mia fuga?» aggiunse, puntando i piccoli occhi grigi su di lei.
«Volevo solo informarti che non avevi bisogno di fare lo slalom per evitarmi».
Sensi si grattò una guancia. «A dire il vero, lo sapevo. Ma comportarmi da cialtrone era più in linea con il mio personaggio».
Lei rise, ancora un po’ sulle spine.
In quanto a Sensi, una volta stabilito che niente e nessuno potevano fargli prendere una posizione univoca su qualcosa, poteva riprendere a lanciare messaggi contrastanti, cosa che gli veniva naturale come pensare e respirare. Sgusciò fuori dalla sua poltrona e passò accanto alla Riu, sfiorandole una spalla. «Ti porto a pranzo fuori, vuoi? Solo cibo ricco di colesterolo, naturalmente».

Lei rise ancora e lo seguì: «Non ci contare» disse. Naturalmente si riferiva al cibo, non al pranzo.

venerdì 27 marzo 2015

L'architettura segreta del mondo - secondo estratto

Il questore Salvemini era un uomo imponente, perpetuamente abbronzato, totalmente privo di capelli ma dotato di due piccoli baffi neri che erano posati ai lati della sua bocca come mosche.
La porta dell’ufficio di Sensi non era chiusa a chiave, ma Salvemini, come i vampiri, non aveva l’abitudine di entrare se prima non era stato invitato. Sensi non si era mai preoccupato di ricambiare la cortesia e il megaufficio del capo, al piano superiore, per lui non aveva segreti.
Si sollevò gli occhiali da saldatore sulla testa e rivolse all’altro un sorriso sbilenco.
Salvemini gli lanciò un’occhiata valutativa, ma non le fece seguire alcun commento. Avvolto in un elegante completo grigio, con tanto di cravatta ben stretta, probabilmente non osava chiedere se Sensi avesse caldo, visto che conosceva già la risposta.
«Sono lieto che abbia anticipato il suo arrivo per me» disse, senza apparente ironia. «Vorrei scambiare due parole con lei, se è possibile».
Sensi lo precedette nel suo ufficio. La faccenda meritava la massima attenzione. Solitamente Salvemini comunicava con Tudini, forse perché era più in sintonia con la sua solida ottusità, forse perché Tudini gli rispondeva al telefono. Con Sensi, di norma, parlava quando non aveva alternative; non perché gli fosse antipatico – a modo suo, anzi, lo stimava persino – ma perché lo metteva sottilmente a disagio.
Niente in lui era come avrebbe dovuto essere.
A partire dal suo ufficio, che era buio come una grotta e disordinato come se ci fosse esplosa una bomba. L’ispettrice Riu l’aveva soprannominato ‘Bat-caverna’.
Sensi spostò una pila di libri misti a fogli da una poltroncina, l’appoggiò sopra la pila pericolante che occupava l’altra poltroncina e invitò Salvemini a sedersi. Poi si lasciò cadere dietro alla scrivania. In questo modo il questore poteva vederne appena la testa, tutto il resto era nascosto dalle
pile di libri, carte, manuali, circolari interne e oggetti vari che ingombravano il ripiano.
«Le posso offrire qualcosa?» chiese il commissario, con una gentilezza squisita che Salvemini  giudicò alquanto sospetta.
«Non è necessario» rispose, sulla difensiva.
Sensi gli rivolse un piccolo e disarmante sorriso di scuse, mentre estraeva un telefono dal magma della scrivania. «Una Red Bull» ordinò a un invisibile interlocutore e riagganciò. «Mi dica» aggiunse, poi, rivolto al questore.
Salvemini notò che, come per magia, ormai era lui a dover essere grato al commissario per l’attenzione. Decisamente, avrebbe dovuto tenere il colloquio nel suo ufficio invece che in quello di Sensi.
«Riguarda la sua recente collaborazione con la procura di Milano» entrò in argomento, comunque. Ormai non poteva farci niente. «Mi ha contattato una certa dottoressa Wang...»
«Professoressa» lo corresse Sensi. «Credo che ci tenga». Sembrava genuinamente interessato al riconoscimento dei titoli accademici della donna.
«Come preferisce. Forse immagina perché mi ha subissato di lamentele?»
Un breve sorriso di impotenza attraversò il viso pallido del commissario. «Suppongo che riguardi ancora il suo libro».
Rosalba Wang, professoressa di Antropologia alla Statale di Milano, come Sensi aveva appreso a sue spese, aveva un grande sogno: scrivere un libro sull’esoterismo che le fruttasse l’equivalente del Pulitzer in ambito accademico. Per coronare il suo sogno era disposta a fare qualsiasi cosa: sedurre,
corrompere, minacciare, piangere, pestare forte i piedini e passare informazioni riservate a una pericolosa psicopatica. Anche questo Sensi l’aveva imparato a sue spese, ovviamente. Tutto questo, per la precisione.
Durante l’indagine in cui sia lei che Sensi erano stati consulenti della procura di Milano, la professoressa era riuscita a meritarsi un’accusa di complicità con la pericolosa psicopatica di cui sopra, ma, apparentemente, neanche questo era riuscito a scalfire il suo sogno.
«Già» stava dicendo Salvemini, in quel momento. «Mi è sembrata molto irritata. Sostiene che le aveva promesso di collaborare alla parte documentaria del suo testo».
L’espressione di Sensi si fece vaga. «Potrebbe anche essere. Ma mentivo» concluse, piuttosto soddisfatto. «E d’altronde è stato grazie a lei che mi sono trovato un kriss piantato nello stomaco. Speravo che le fosse passata».
Il commissario non era stupito del fatto che una persona in attesa di giudizio telefonasse ai suoi superiori per pretendere qualcosa, né era stupito del fatto che i suoi superiori la ascoltassero. Non si faceva illusioni su una possibile condanna della Wang. Semplicemente, le cose non funzionavano
così. Si preparò mentalmente a sentirsi ordinare di collaborare allo stramaledetto libro. Non era sicuro di riuscire a svicolare, questa volta.
«Vuole che la convinca a cambiare idea» continuò Salvemini. Sembrava che avesse deciso di ignorare i retroscena del caso, retroscena che conosceva perfettamente. Sensi non si lasciò ingannare: Salvemini aveva una memoria di primissima scelta. Se fingeva di non sapere qualcosa, c’era sempre un motivo. La sua frase successiva contribuì a far luce in merito: «Ha ventilato ritorsioni. Sostiene che lei non si sia comportato secondo... ehm, gli alti standard d’onore della polizia, durante l’indagine. Le risulta?»
«Mi conosce, capo» disse Sensi. Non era chiaro se con questa risposta intendesse suggerire che mai chi lo conosceva avrebbe immaginato che potesse tenere una condotta disonorevole o esattamente il contrario.
Salvemini sospirò. «È incazzata nera, con lei. Non sono sicuro di voler sapere il perché, ma ho una domanda: qual è la cosa peggiore che possa pubblicare sul suo conto?»
Ed ecco la ragione dell’amnesia selettiva del capo.
Sensi rimase assorto per un numero preoccupante di minuti, segno che aveva un ampio campionario di cattive azioni tra cui scegliere.
«Forse di aver un tantino mentito ai miei colleghi di Milano?» azzardò, alla fine. «Ma loro non se la sono presa, lo giuro».
La prima volta in cui il questore aveva visto Sensi era rimasto spiazzato, sensazione che non era ancora riuscito a superare del tutto. Non era solo per via dell’abbigliamento da goth o delle priorità morali sballate, ma anche per la costante sensazione di vulnerabilità che lo accompagnava.
Avere a che fare con le ferite che Sensi non si curava di nascondere per Salvemini era imbarazzante. Non sapeva come reagire. Per cui, solitamente, fingeva di non vedere né quelle né buona parte del resto.
Ovviamente perché la sua strategia funzionasse doveva fare pochissime domande. Praticamente nessuna.
«Speriamo bene» concluse, quindi, alzandosi.
Sensi lo osservò chiudersi la porta alle spalle con una vaga sensazione di inquietudine. Visto che vincere, con Salvemini, era impossibile, ora gli restava solo da comprendere in che modo avesse appena perso.

lunedì 23 marzo 2015

L'architettura segreta del mondo - primo estratto

Quando, nell’XI secolo, i mongoli di Gengis Khan erano calati dalle steppe l’effetto doveva essere stato simile.
Certo, i mongoli non avevano zainetti multicolori, sandali Birkenstock e pantaloni kaki, ma il concetto, secondo Sensi, era lo stesso. Alla faccia della crisi, scendevano lungo via Prione in gruppi, parlando a un volume decisamente educato, in lingue decisamente forestiere e con espressioni giulive che al commissario mettevano i brividi.
Naturalmente il fatto era che Sensi detestava l’estate.
La brezza fresca e salina che soffiava dal mare, mitigando la calura, lo metteva a disagio. Le facciate dei palazzi, brillanti di luce, gli ferivano gli occhi. Il sole, a picco nel cielo, batteva impietoso sui suoi abiti neri facendoli diventare caldi e umidi come la salvietta di un bagno turco. Dietro alla sua nuca si creava una nicchia ecologica la cui biosfera Sensi non osava esplorare.
Il problema era che Sensi aveva i capelli troppo lunghi. Troppo lunghi e insolitamente scuri. O meglio, insolitamente scuri per un trentasettenne, come gli avevano gentilmente fatto notare di recente.
La città era invasa di turisti inglesi, tedeschi e americani, tutti tesi verso il prossimo paesaggio così pittoresco e ansiosi di comprare souvenir tipicamente locali, fabbricati in Cina su disegno giapponese.
Gli spezzini li tolleravano.
Non erano molti gli aspetti della sua città di residenza che piacessero al commissario Sensi. Il mar Tirreno non l’aveva mai convinto (e comunque anche l’Adriatico vicino a Gorizia non era preferibile), la carenza di servizi lo avviliva, l’aria di provincia lo nevrotizzava e da quelle parti, secondo lui, si moriva di noia.
Tuttavia non poteva fare a meno di provare una certa ammirazione per il carattere scostante degli spezzini. Pessimisti, chiusi, ruvidi, dotati di slanci emotivi scarsi o nulli, avevano ricevuto l’implicita approvazione del commissario fin dalla prima occhiata. Alla quale, naturalmente, avevano risposto con uno sguardo torvo.
Se le altre città italiane durante la stagione turistica diventavano stranamente attraenti e vitali, se tutti i commercianti di quelle città sorridevano in modo sospetto a chiunque indossasse bermuda e sandali tedeschi e se branchi di americani ubriachi venivano incoraggiati dalla popolazione autoctona a scorrazzare per i centri storici con espressione obnubilata; gli spezzini si limitavano a fingere che i turisti non esistessero.
Alle loro maniere cordiali opponevano un’indifferenza cosmica, ignorandoli come ospiti fuori luogo a un ricevimento.
Sensi approvava.
E, anche se quel giugno era più caldo della media, non aveva ancora adottato il suo abbigliamento estivo per una questione di puntiglio.
Motivo per cui, nel breve tragitto dalla sua mansarda rovente alla sua rovente jeep, si era quasi sciolto. Per “breve tragitto”, naturalmente si intendeva “breve tragitto per uno che ha parcheggiato in città”, ovvero circa quattrocento metri prevalentemente al sole.
Ben protetto dal suo abbigliamento invernale, quindi, si era infilato nel wrangler e aveva acceso in un gesto unico motore e aria condizionata.
Partendo dal basso, il suo corpo considerevolmente magro era coperto da: anfibi di cuoio nero dalla punta rinforzata alti fino a metà polpaccio, jeans aderenti neri un po’ sdruciti del tipo spesso, t-shirt a maniche lunghe nera con il logo dei Joy Division e, legata in vita, una felpa nera con sopra una fila di ufo stilizzati bianchi. Gli occhi erano coperti da un paio di occhiali tondi da saldatore.
Se qualcuno gli avesse chiesto perché portasse occhiali da sole così coprenti, Sensi avrebbe probabilmente risposto “per vedere il meno possibile”. In realtà i suoi piccoli occhi grigi erano innaturalmente sensibili alla luce e senza gli occhiali, d’estate, non avrebbe visto quasi niente sul serio.
Quella mattina (se mezzogiorno meno un quarto poteva considerarsi “mattina”) il suo vice, Massimiliano Tudini, gli aveva fatto presente che farsi vedere in questura un po’ prima delle tre del pomeriggio sarebbe stato gradito.
Il commissario era quasi sicuro che ci fosse un messaggio ben preciso nascosto nelle parole di Tudini, anche se non aveva idea di quale fosse.
Purtroppo Massimiliano, nonostante gli anni di formazione con Sensi, non era ancora in grado di spifferare, senza giri di parole, “il questore è fuori dal tuo ufficio.” Appoggiare senza riserve il nullafacentismo di Sensi non gli sembrava professionale.
Sensi accettava la cosa con filosofia.
Non appena l’interno della jeep raggiunse una temperatura accettabile si staccò dal marciapiede e si immise nel flusso irregolare del traffico di via Gramsci. Passò davanti al museo di arte moderna, dall’architettura inquietantemente simile a quella della questura, e proseguì verso viale Italia e il lungomare. Visto che uno dei vezzi degli automobilisti spezzini era di far trascorrere almeno cinque secondi dal momento in cui scattava il verde a quello in cui partivano, il tragitto non fu particolarmente veloce.
D’estate, tuttavia, le strade erano più libere e gli animi più rilassati. Per arrivare in questura gli ci vollero solo una ventina di minuti, più o meno lo stesso tempo che ci avrebbe messo a piedi. Era un ottimo risultato.
Lasciò la jeep nel parcheggio sotterraneo e salì nelle stanze della squadra mobile.
Come sospettava, Salvemini stava incrociando davanti al suo ufficio.

giovedì 19 marzo 2015

L'architettura segreta del mondo

Se una turista inglese muore affogata in un metro scarso d’acqua, davanti a qualche centinaio di bagnanti, senza alzare nemmeno uno spruzzo, si tratta di omicidio? Stranamente è quello che sostiene il commissario Sensi, che per una volta sembra ansioso di seguire un’indagine, forse solo per dimenticare tutte le sue sfortune. Così, quando dopo la turista muore misteriosamente anche suo marito, i colleghi non si stupiscono davvero. Il commissario e i suoi uomini si trovano a inseguire la verità tra la Liguria, l’Inghilterra e la Sicilia, in un crescendo di colpi di scena tutt’altro che gradevoli. E mentre la sua vita assomiglia ogni giorno di più a quella di un poliziotto da film d’azione americano, Sensi di vita ne sogna un’altra, in cui il male, molto semplicemente, è lui.

Un romanzo nerissimo e spiazzante, ma anche un viaggio dantesco nelle voragini della psiche umana, il tutto condito da raffinata ironia e da un irresistibile humor graffiante.

(Salani Editore)