venerdì 2 dicembre 2011

Pierrot - 22

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Corro come un dannato tirandomi dietro Liz, attraversando la navata di gente attonita. Sento l’urlo di rabbia del vecchio, che grida: “Ammazzatelo!”

Sento l’urlo di dolore di Romano, che geme: “Figlio di puttana.”

La folla vocia dietro di noi, alzandosi in piedi e facendo stridere le panche sul marmo della chiesa. “Ammazzatelo!” grida di nuovo Don Giuliano, ma è senza speranza.

Dei trecento assassini dietro di noi nemmeno uno ha la pistola. È un matrimonio, cazzo!

Ci sono, però, otto assassini davanti a noi, tutti in doppiopetto nero, tutti un po’ lenti di cervello. Prima devono realizzare. Poi infilarsi la mano nel doppiopetto. Poi togliere la sicura.

Poi sono morti.

Io non vado mai da nessuna cazzo di parte senza pistola, meno che sotto la doccia, e neanche sempre. E di certo non vado disarmato a un matrimonio mafioso, fosse anche uno destinato a spezzarmi il cuore.

Così mentre mi tiro dietro Liz, nel suo abito di tulle color crema che starebbe male anche a Sharon Stone, mi infilo la mano in tasca, estraggo la 9mm, sparo uno-due-tre-quattro-cinque-sei-sette-otto colpi (tutto con ordine, che siamo in America) sui gorilla in doppiopetto.

Otto centri perfetti, sotto tensione, in corsa, completamente fottuto, pazzo e innamorato, otto centri perfetti, non per vantarmi.

Sangue arterioso che schizza. Corpi stramazzati a terra. Urla dietro di me: “Ammazzatelo, ammazzatelo!”

Spalanco le porte della chiesa con un calcio e mi trascino Liz giù per i gradini.

“Sei matta come un cavallo, amore!” urlo, con le orecchie ancora assordate dai miei spari.

“L’ho fatto davvero, eh?” ansima lei, cercando di correre sui tacchi.

“Cazzo, sì!” salto dentro la mia decappottabile verde, che per fortuna ho lasciato fiducioso con la capote abbassata e metto in moto a gran velocità.

“È che forse sono incinta!” grida lei.

“Merda, amore, dovrò cercare di salvare la buccia a tutti e tre, allora!”

Liz si butta dentro la macchina, mi incastro la pistola tra le cosce e do gas. Entro nel casino del traffico strombazzando, quasi metto sotto un pedone, supero nella corsia opposta, in contromano, sdriblo uno-due-tre taxi, faccio un pezzo sul marciapiede, scendo e do ancora gas.

Guardo nello specchietto retrovisore. Ancora niente.

Butto la pistola in grembo a Liz. Lei urla.

“Se qualcuno ci spara da dietro spara anche tu. Non importa cosa prendi. Tira il grilletto e basta, ok?”

Tiro fuori il cellulare e lo apro, cerco il numero di Vargas intanto che guido come un pazzo. Il telefono squilla.

Tuut…

Tuut…

“Vargas.”

“Sono Pierrot. Ti ricordi quel passaporto per donna sui venticinque di dieci giorni fa? Me ne serve un altro, della stessa donna.”

“Ma…”

“E non dirmi che non ti sei tenuto le altre tre foto, perché non ci credo.”

“No, ce l’ho, ma…”

“E mi serve ora. Scendi sotto casa e buttamelo dentro la macchina, che non mi fermo nemmeno.”

“Ehy, Pierrot, ma che cazzo…”

“Lo fai o no, Vargas?”

“Sì, ma…”

“Allora fallo, cazzo, perché sto arrivando con tutta New York dietro!”

E attacco.

Vargas, aeroporto, primo volo disponibile, non importa per dove. Primo volo disponibile: New Orleans. Secondo volo disponibile a New Orlenas: Mexico City. Terzo volo disponibile, da Mexico City: Berlino. Quarto volo disponibile, da Berlino: non mi prendete più, stronzi.

*

Nuovo messaggio sulla mia segreteria telefonica: “Uno: siete tutti americani del cazzo. Due: prendete le vostre pistole e cacciatevele nel culo. Tre: premete il fottuto grilletto. Santé!”

*

E così ritorniamo al punto d’inizio.

Tra tutti sono io il più pericoloso. Santos è freddo ed efficiente, Clyde è spietato e creativo, Lester non ha paura di niente e Romano è puntiglioso, ma io sono imprevedibile.

È per questo che, nel giro, mi chiamavano Pierrot.

FINE