mercoledì 26 ottobre 2011

Pierrot - 1

Altro racconto. Per le tematiche trattate, se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Tra tutti sono io il più pericoloso. Santos è freddo ed efficiente, Clyde è spietato e creativo, Lester non ha paura di niente e Romano è puntiglioso, ma io sono imprevedibile.

È per questo che, nel giro, mi chiamano Pierrot.

Hai mai visto la maschera del Pierrot? Con la faccia bianca e liscia, gli occhi come bottoni neri e quella lacrima di china che scende languidamente su una guancia?

Il Pierrot è melanconico, il Pierrot è spaventoso, sulla sua maschera non si legge altro che quello che c’è disegnato sopra. Il romantico Pierrot, il Pierrot crudele, il clown che piange, l’assassino che sorride. Il bizzarro, il grottesco. Quello che ride ai funerali, che tace nel frastuono, che saluta con un inchino dopo che tutti se ne sono andati.

Non assomiglio a Lui, esteticamente. A prima vista ti sembro un qualunque Pierre. Questo è più o meno il nome con cui sono nato, a Marsiglia, quasi quarant’anni fa.

Sono frrrrancese, e questo a volte si coglie nelle erre, quando parlo, sempre meno col passare degli anni, e nelle magnifiche imprecazioni che posso lanciare.

Pierre il Marsigliese è un altro dei nomi con cui mi chiamano, quando vogliono far capire fin dall’inizio che sono capace di tagliare una gola. Chissà perché il nome della mia città natale dà subito questa sensazione, come se Marsiglia e tagliagole fossero legate da qualche misterioso patto tra parole, in modo che se dici l’una non puoi fare a meno di pensare all’altra.

Ma se mi vogliono blandire, concupire, mostrare rispetto, mi chiamano sempre Pierrot.

Sono alto un po’ meno di un metro e ottanta, il che non fa di me proprio uno spilungone, ma neanche un nanerottolo. Sono… com’è che si dice? Ossuto.

Ossuto, strana parola. Non so se mi descrive correttamente. Di sicuro il mio naso e i miei zigomi sono affilati e il mento è duro, appena irruvidito dai peli biondi e spinosi che non ho mai voglia di rasare a pelle. Anche i miei capelli sono un po’ spinosi, lunghi fin sotto alle orecchie e stinti dal sole. Sono uno di quei biondi che se avessero i capelli tagliati a spazzola sarebbero biondo scuro, ma col fatto che li lascio crescere si sono scoloriti un bel po’ e in alcuni punti sono quasi bianchi.

Vedi, so di avere un aspetto da europeo del sud. Non c’è niente di burroso nei miei lineamenti, malgrado pelle e peli chiari. Anche i miei occhi, azzurro scuro, non hanno niente a che vedere con le pozze di acqua limpida e glaciale del nord. Piuttosto credo che ricordino le acque profonde del Mediterraneo, con quella sfumatura verdastra di un mare chiuso e umorale.

Sono… fibroso. È così che definiscono i tipi come me. Senza un solo grammo di grasso, dall’aria un po’ affamata, predatoria.

Alcuni si aspettano che un francese sia sempre elegante, ma non è il mio caso. Non riesco proprio a esserlo. Anche se mi infili uno smoking tagliato su misura, dopo neanche cinque secondi ricomincio a sembrare male in arnese. Non posso farci niente, fa parte di me.

Le camicie sembrano subito stazzonate, se le indosso io, e mi muovo in modo poco elegante, non saprei neanche spiegarti come.

Guarda, sembro sempre un cane che morde. Non che sta mordendo, ma che morde per abitudine. Di quelli che il proprietario, quando ti avvicini per accarezzarlo muove la testa per sconsigliarti e dice: “Non farlo. È una brava bestia, ma morde.”

Per fortuna non ho un proprietario. Non sempre, almeno.

Una bella fortuna, come dicevo, perché sono proprio il tipo da morsicare la mano che mi nutre, a lungo andare.

Gli Stati Uniti mi piacciono perché gli americani sono abbastanza stupidi da aver sempre bisogno di istruzioni.

Si aspettano sempre un bell’… uno: non fare questo, due: attento a quello, tre: chiedi prima a me.

È uno spasso.

Se non gli dai il loro un-due-tre non capiscono più una sega.

C’è bisogno che ti dica che io non do mai istruzioni?

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