martedì 30 agosto 2011

L'ultima uccide

Questo racconto è stato pubblicato nel 2008 sul volume The Complete Inside (Cut-Up), a conclusione della serie a fumetti da me sceneggiata Inside, appunto. Andrew Ward, il protagonista, è un ex-agente speciale dell'FBI, un profiler agli arresti domiciliari nel suo appartamento di New York. Enjoy.

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La fortuna di una minoranza di persone inizia con una rapina in banca.

Che si tratti di una minoranza è cosa nota, questo non impedisce a qualcuno di provarci ugualmente.

McKenzie Williams non aveva mai riflettuto a fondo sulla cosa. Non aveva mai pensato di rapinare una banca. Non aveva mai avuto alcun problema di soldi.

Qualcuno diceva che non avesse mai avuto un problema, di qualsiasi tipo, in vita sua.

Gli amici di McKenzie erano della sua stessa categoria.

Venerdì 22 giugno l’avevano accompagnata con la loro Infinity decappottabile fino al marciapiede della Applework Trust, sulla 32esima, dove l’avevano fatta scendere accostando in doppia fila accanto a un furgone bianco, per poi ripartire subito.

Nel centro di Manhattan è più facile trovare una banconota da cento per terra che un parcheggio, motivo per cui l’intenzione degli amici di McKenzie era di fare il giro dell’isolato e passarla a riprendere non appena lei avesse prelevato i cinquecento dollari che le servivano dal bancomat.

Erano già ad una decina di metri di distanza quando McKenzie si accorse che lo sportello era fuori servizio.

Decise di prelevare a una cassa, sperando che non ci fosse troppa coda.

Una stupida idea, Manhattan è piena di bancomat, McKenzie non aveva nessun bisogno di entrare proprio nella sua filiale.

McKenzie non aveva alcun bisogno di prelevare a una cassa.

McKenzie aveva una Mastercard Platinum. Di norma non aveva bisogno neanche di contante.

Entrando nella filiale si accorse con sollievo che era praticamente vuota. Una decina di persone era in fila davanti alle cinque casse aperte, un record per una banca del centro.

Altre quattro persone entrarono dopo di lei.

“Fermi tutti, questa è una rapina,” furono le prime parole che dissero.

*

Quando aprirono un’indagine interna su di lei, June Ross era stata una detective della Squadra Omicidi per otto mesi.

Aveva arrestato undici persone, una media dannatamente alta per una città dove la media delle catture raggiungeva a malapena il 50% dei crimini.

Era stata l’agente di collegamento del Dipartimento con Andrew Ward, il noto criminilogo-criminale, in quattro casi, di cui tre avevano portato ad un arresto e uno era stato archiviato.

Andava a letto con il noto criminologo-criminale da otto mesi, con una pausa di tre.

Quando ti arruoli nelle forze dell’ordine devi dimostrare di non avere rapporti con la criminalità. È una norma del tutto logica - e del tutto formale.

Che un poliziotto non abbia mai avuto rapporti con un criminale ha lo stesso senso di un attore porno che non abbia mai visto una donna nuda.

Adesso qualcuno, in Dipartimento, sosteneva che lei non avrebbe mai dovuto vedere un criminale nudo.

Il criminale, naturalmente, era Andrew Ward.

Il crimine per cui era stato processato più di sette anni prima, e che non aveva ancora finito si scontare, era di aver ucciso un uomo. Un criminale anche lui. Un killer seriale, nello specifico.

Il crimine per cui lo processavano ora era di essere uno spocchioso figlio di puttana, un perfettino, un sotuttoio e anche un ricco presuntuoso dall’accento di Boston.

Lo stavano facendo a spese di Ross, naturalmente, cosa che faceva incazzare moltissimo tutti e due, e lo stavano facendo su segnalazione del partner di Ross, cosa che faceva incazzare moltissimo lei.

Venerdì 22 giugno aveva trovato due tizi della Affari Interni che volteggiavano davanti alla sua scrivania. Che fossero lì non l’aveva stupita. Erano già un paio di settimane che le giravano intorno. L’unica cosa strana era che si fossero fatti vedere.

*

Venerdì 22 giugno, mentre McKenzie Williams entrava in banca e mentre Ross mandava a fare in culo i due tizi della Affari Interni, Andrew Ward dormiva nel suo letto, nel suo appartamento al penultimo piano di un brutto ma prestigioso edificio di Washington Place, praticamente nel centro di Manhattan e a poca distanza dalla Applework Trust. Il suo luogo di confino, dopo gli anni nel carcere di Fulton e dopo che la sua pena era stata trasferita ai domiciliari.

Quello che sognava era, come quasi tutte le notti, una variazione sul tema di un corpo femminile martoriato su un tavolo da autopsia. Il corpo era quello di Valerie Conradson, sua ex-partner all’FBI, sua ex-amante, e ultima vittima dell’ex-serial killer che lui stesso aveva provveduto a far finire su un tavolo autoptico simile a quello del sogno, con un tale numero di pallottole dentro da giustificare l’uso del termine “overkill”.

Se il campanello non avesse cominciato a suonare, molto presto Ward si sarebbe svegliato di colpo, oppresso da un cupo senso di disperazione, e si sarebbe accorto che il corpo caldo e specialmente vivo di June Ross non era più accanto a lui nel letto.

Il campanello emise un trillo fastidioso e Ward aprì gli occhi quasi sollevato.

Valerie Conradson era scomparsa.

“Un attimo!” urlò, mentre il suono fastidioso si ripeteva.

Scivolò giù dal letto, fece scomparire sotto le coperte il pigiama di Ross, mise il suo cuscino sopra al proprio e andò in bagno.

Si lavò velocemente la faccia, pisciò, e tolse lo spazzolino di Ross dal bicchiere sul lavandino.

Il campanello trillò di nuovo.

“Cazzo, un attimo!” ripeté Ward.

Nascose la crema epilatoria di Ross nello stipetto, poi tornò in camera da letto e imboscò sul fondo di un armadio i suoi vestiti.

Aprì la pesante porta blindata del suo appartamento mentre il campanello stava suonando per la terza volta.

“Volete darle un minuto per nascondersi nell’armadio o cosa?” disse, sarcastico, prima di trovarsi davanti agli occhi la faccia paonazza di Saluzzi.

John Saluzzi era un capitano della Omicidi da vent’anni, un amico di Ward da sedici, e nessuna delle due cose gli aveva fatto bene alla salute. Sudava come se si fosse fatto i cinque piani di scale fino alla porta di Ward di corsa, invece che in ascensore.

“Chi deve fare cosa?” balbettò, spiazzato, entrando.

“Niente. Pensavo fosse qualcuno della Affari Interni,” spiegò Ward, precedendolo in salotto. Così com’era, in mutande, si lasciò cadere su una delle sue poltrone azzurre.

“Sì, be’. Dovreste cercare di risolvere la cosa. Ma non era per questo che…”

“Risolvere? Hai presente che razza di soluzione mi ha proposto il mio avvocato?” ribatté Ward, senza lasciarlo finire. Saluzzi sospirò e si sedette pesantemente al tavolo davanti a lui.

“Posso immaginarlo,” rispose, con un mezzo sorriso.

Ward si spostò un ciuffo di capelli dagli occhi. Non sembrava in forma. Solitamente era impeccabile. Completi sobri e presumibilmente costosi, camicie ben stirate, viso perfettamente sbarbato e un’aria di palese superiorità.

Ora era in mutande, sudaticcio, con la barba di un giorno e l’espressione di un pugile alle corde.

“Già, il problema è che lo sa anche lei. E indovina chi sta facendo la figura dello stronzo?”

“Andrew, hanno inventato il divorzio apposta per questo genere di cose,” gli ricordò Saluzzi, bonario. Poi guardò l’orologio e si accigliò di nuovo. “Non ero venuto qua esattamente per parlarti di questo, comunque.”

“Sì, anche a me sembra prematuro. Ancora non mi sono sposato.”

“Questa mattina dei rapinatori sono entrati alla Applework Trust:”

Ward sbuffò. “Bene, spero che gli abbiano portato via tutto, a quegli stronzi.”

Non era interessato, questo era palese. Saluzzi scosse la testa.

“Il problema è che sono ancora dentro.”

“Degli incompetenti, e allora?” disse, per niente eccitato. “Hanno preso degli ostaggi?” Sembrava che degli eventuali ostaggi gliene fregasse anche meno che dei rapinatori.

“Ovvio,” replicò Saluzzi.

Se Ward non fosse stato preoccupato per l’indagine della Affari Interni che stava per costringerlo sull’altare, si sarebbe accorto che c’era qualcosa di strano nell’espressione sorniona dell’altro.

“Bene. Così impareranno ad affidarsi all’internet banking.” Ci pensò un attimo. “Quelli che sopravvivono alla rapina e all’FBI, intendo. Perché hanno chiamato i feebee, suppongo. Reato federale e tutto il resto. Sai, mi ha sempre fatto ridere che rapinare una banca sia un reato federale e uccidere un uomo…”

“Uno degli ostaggi è McKenzie Williams,” lo interruppe di nuovo Saluzzi.

Sul viso dell’altro si formò un’espressione perplessa.

“Come la figlia del governatore?” domandò.

Saluzzi annuì.

“Be’, era anche l’ora che le capitasse qualcosa,” concluse Ward, con una scrollata di spalle. “Vedi, il fatto è che io non voglio sposare June,” aggiunse, considerando l’argomento esaurito o, più probabilmente, fingendo che lo fosse.

“Pensavo che fossi innamorato di lei.”

Ward sbuffò di nuovo.

“Pensavo che almeno ci tenessi,” aggiunse Saluzzi.

“Fammi indovinare, Williams ha telefonato al capo della polizia tutto preoccupato e il capo della polizia ha telefonato a te ordinandoti di convincere me a tirare fuori McViziata Williams da quella banca piena di rapinatori sporchi e puzzolenti.”

“Non esattamente. Williams sta venendo qua, per convincerti a farlo,” precisò il capitano. “Ma forse ha sbagliato indirizzo, visto che non riesci neanche a tirare fuori la tua donna da un’indagine della Affari Interni senza andare nel panico.”

Ward si alzò in piedi di scatto.

“Cristo, Williams sta venendo qua?”

Saluzzi annuì. “In elicottero, da Albany.”

“Grande,” disse Ward, poi si diresse verso il bagno a passo di carica.

*

Nel suo salotto c’era mezza New York. La metà che contava qualcosa, comunque, era tutta lì.

Il governatore, il suo assistente, due grosse guardie del corpo, il vice-capo della polizia, Saluzzi, un paio di agenti in divisa e una segretaria (Ward non aveva capito a chi appartenesse, ma era lì anche lei e occupava spazio). Si chiedeva dove fossero i nani e le ballerine.

“Non vedo che cosa potrei fare di diverso rispetto ai federali,” stava dicendo, in tono falso-contrito, al governatore.

“Non lo so,” rispose quello, “ma dovrebbe pensare a cosa potrei fare io, più di qualsiasi altro cittadino dello stato, per lei.”

Ward lo sapeva perfettamente.

Scosse la testa.

“No, mi dispiace. Così non può funzionare, spero che lo capisca.”

Rivolse al suo ospite un piccolo sorriso freddo. Tutto il circo lo stava fissando, ora. Non era uno sguardo particolarmente amichevole.

“Lei può farmi sventolare davanti al naso la carota dell’indulgenza, e io seguirò quella carota come un matto, senza pensare più a nient’altro.”

“Apprezzo la sua sincerità,” disse il governatore. Era un uomo grasso e quasi calvo, avvolto in un completo costoso e sudato. Sembrava che le ultime parole l’avessero prosciugato di ogni residuo di combattività.

“Va bene,” riprese Ward. “Allora vediamo che cosa sappiamo di questa banca, ok?”

*

Tutto quello che sapeva McKenzie era che doveva trattarsi di un incubo. Solo in un incubo poteva trovarsi seduta per terra, senza scarpe, senza cellulare, senza borsa e con un tizio incappucciato e armato che minacciava di farle esplodere il cervello da un momento all’altro.

Anche gli altri ostaggi sembravano pensarla allo stesso modo.

Alcuni avevano già lo sguardo vuoto di gente che è scappata altrove. Dentro la propria mente o in regioni ancora più estreme.

Due dei rapinatori, un tizio grosso con un cerotto sulla spalla sudata e uno più piccolo, con un corpo sottile e nervoso che sembrava caricato a molla, stavano discutendo ad alta voce vicino al bancone degli sportelli.

“…capire chi cazzo ha fatto scattare gli allarmi, porca merda, e spaccargli il culo!” stava dicendo Cerotto.

“E poi che cosa…”

“Sgozzarlo come un porco, così gli sbirri capiranno…”

“Che sei un fottuto psicopatico? Wow, questa sì che è una…”

“Dobbiamo incularlo, quel figlio di puttana! Chi è? Voglio sapere chi cazzo…”

Cerotto aveva iniziato a sventolare la pistola davanti agli ostaggi, che cercarono di spostarsi convulsamente dalla traiettoria della sua arma divincolandosi sul sedere o mettendosi a carponi.

“Fermi!” esplose il terzo uomo, quello con la mitraglietta. Era lui che li aveva tenuti sotto tiro fino a quel momento. Era un tizio basso e pesante, con le braccia irsute e un braccialetto d’argento attorno a un polso.

“Stai calmo, Clide. Abbiamo detto che agli ostaggi ci penso io, no? E allora lascia perdere. Voi! Nessuno vi farà niente, se ve ne state buoni!”

Gli ostaggi si ritirarono piagnucolando contro il muro.

“Che cazzata!” si lamentò Cerotto. “Che immensa cazzata!”

Un telefono iniziò a squillare, insistente. Era già la terza volta che succedeva, ma ancora non aveva risposto nessuno.

Un quarto rapinatore, l’unico con i capelli lunghi, che spuntavano dal passamontagna in un codino castano, rientrò nella sala. Veniva dall’ufficio del direttore.

Aspettò che il telefono smettesse di suonare, poi sollevò la cornetta.

Dopo pochi istanti la riappoggiò senza dire niente.

“Hanno deviato le linee telefoniche,” spiegò, con voce tranquilla.

“Merda!” inveì Cerotto. “Merda, merda e merda!”

“Non potevamo aspettarci altro,” ribatté Codino, sempre calmo. “Bisogna solo decidere che cosa chiedere, adesso.”

*

Ross era entrata mentre stavano mettendo a Ward la cavigliera elettronica.

Si era guardata intorno con espressione corrucciata. Aveva capito quasi subito che la folla riunita nel salotto non era composta da agenti della Affari Interni, poi aveva riconosciuto il governatore.

“Che cosa sta succedendo?” aveva chiesto. “Signore?”

“Andiamo a salvare la figlia di Williams,” aveva risposto Ward, sollevando gli occhi su di lei.

Il governatore aveva messo su un’espressione di educata perplessità, come se volesse fare una domanda ma lo ritenesse rude.

“Questa è la detective Ross,” spiegò Ward, rialzandosi e scuotendo la gamba con la cavigliera per far ricadere i pantaloni. “Mia agente di collegamento e mia… fidanzata, suppongo.” Fece una piccola smorfia. “È arrivato in un momento un po’ particolare, governatore.”

“Oh, congratul…” iniziò l’altro, ma Ward lo interruppe. “Lei viene con noi.”

“Grazie per aver chiesto il mio parere, eh?” borbottò Ross.

Ward la osservò con aria critica per qualche secondo.

“Dovresti metterti un giubbotto antiproiettile,” disse.

“Per l’incarico o per il matrimonio?” replicò lei, pungente.

Ward la guardò, serissimo. “Per entrambi, è chiaro.”

*

“Una macchina. No, anzi, un elicottero,” stava dicendo Cerotto, stavolta a voce più bassa.

“Sì, un sommergibile!” rispose Smilzo.

“Che cosa c’è che non va in un elicottero?” fece Cerotto.

“Forse che nessuno di noi lo sa pilotare?” commentò Codino, in tono ironico.

“Be’, ma…”

“Ma cosa?” interruppe Smilzo. “Che cosa succede se il pilota atterra sul tetto di Attica, ad esempio?”

“Gli sparo.”

“Mh-mh. Piano geniale, direi.”

“Adesso basta,” pose fine alla discussione Codino. McKenzie iniziava a sospettare che fosse lui il capo. Tanto per cominciare sembrava il più figo.

Il più figo? Probabilmente la paura la stava facendo uscire di testa. Tutta la situazione era orribile.

“Aspetteremo che chiamino loro, poi vedremo che cosa ci offrono,” stabilì Codino, guardando con aria pensierosa verso gli ostaggi.

Aveva gli occhi azzurri.

*

Il centro operativo mobile era una roulotte blindata, parcheggiata a un angolo di 45 gradi rispetto all’ingresso della banca. La strada era stata sbarrata, l’area recintata e una ventina di auto di pattuglia erano ferme a raggiera tutto intorno.

Sul perimetro premevano curiosi, giornalisti e impiccioni. Il solito.

Il convoglio del governatore, composto da cinque macchine governative scure, si era fermato appena oltre le transenne.

Ward l’aveva consigliato di non farsi vedere, ma Williams era stato inamovibile.

Sperava solo che i rapinatori non capissero che c’era qualcosa di strano nel trovarsi fuori dalla porta la massima carica dello stato.

Lo seguì fino alla porta del centro operativo mobile. Il giubbotto antiproiettile lo faceva sembrare un obeso, Ward sembrava solo un po’ più grosso.

Sghignazzando i suoi agenti di custodia avevano commentato che probabilmente aveva un completo tagliato su misura per stare bene con l’imbottitura, il che, tra l’altro, era perfettamente vero.

“Signori,” salutò Williams, entrando nella roulotte.

Tre uomini in giacca e cravatta si voltarono verso di lui. Il primo era un nero sulla sessantina, ancora più elegante di Ward. Gli altri due erano due bianchi sulla trentina, in forma e con le camicie sudate.

“Ciao Reeves,” salutò Ward, richiudendosi la porta alle spalle. L’uomo nero sulla sessantina emise un suono a metà tra una risata e uno sbuffo.

“Andrew. Sei venuto a rubarmi il posto? Governatore Williams…”

“Voglio farla breve,” interruppe lo scambio di convenevoli quest’ultimo. “Là dentro c’è mia figlia. Voglio che esca tutta intera.”

“È comprensibile,” rispose Reeves, alzandosi lentamente. Come già Ward, non sembrava affatto intimidito dal governatore. “Mi dica solo come ha intenzione di procedere.”

“No, no,” si intromise l’ex-criminologo, “saremo noi a dire a lui come procediamo. Non iniziamo a fare casino, Reeves.”

Reeves sorrise appena, mentre Ward passava davanti al governatore e lo escludeva così dalla conversazione. “Lei può restare, ma in silenzio,” precisò.

“Senta…”

“Senta lei. Ma in silenzio,” ribadì Ward. Poi si rivolse a Reeves. “Sei il primo negoziatore? Ci sono stati contatti?”

“Non esattamente. Uno dei rapinatori ha sollevato il telefono, ha sentito le prime sillabe e ha riattaccato.”

“Voleva sapere se poteva chiamare sua mamma oppure no.”

“Be’, non può. Abbiamo disturbato tutte le frequenze. Cellulari, radio, walkie-talkie. L’unica linea funzionante è la nostra. Jim, qua, è il secondo negoziatore. Anche lui ha una linea funzionante.”

Ward osservò per un istante l’uomo che rispondeva al nome di Jim. Poi si voltò di nuovo verso Reeves.

“Sarò il negoziatore primario. Tu sarai il negoziatore di back-up. Voglio Ross come negoziatore delle operazioni, chiamatela.”

Reeves annuì. Jim, dopo averlo guardato per essere sicuro di dover ricevere ordini dallo sbruffone appena arrivato, si alzò e lasciò il suo posto.

“Che cosa significa negoziatore delle operazioni?” chiese il Governatore.

“Significa sempre che deve rimanere in silenzio,” precisò Ward.

Poi fece una smorfia. “Io resterò attaccato al telefono e parlerò con i rapinatori. Reeves manterrà i rapporti con la base, mi procurerà informazioni e mi farà da suggeritore, Ross coordinerà la squadra in modo che a me a e lui non manchi niente.”

Si sedette accanto alla consolle e ruotò la sedia verso di lui.

“Adesso aspetteremo che chiamino. Forse non risponderemo subito.”

“Perché?”

“Perché comandiamo noi.” Si allentò il nodo della cravatta e guardò Reeves. “Mi piacerebbe sapere chi sono questi tizi. Mi piacerebbe vederli. Abbiamo dei nastri? Mi piacerebbe se riuscissero a collegarsi al circuito di telecamere interno. E poi voglio anche sapere chi sono gli ostaggi. Dove cazzo è Ross?”

La porta del centro operativo mobile si aprì e June fece il suo ingresso.

“Un tizio è uscito gridando che un damerino borioso voleva una certa Ross. Ho intuito che parlasse di te.”

“Brillante. Chissà se hanno sentito anche i giornalisti.”

Ross si strinse nelle spalle.

Il telefono iniziò a squillare, ma Ward lo ignorò.

“Voglio sapere chi sono questi tizi, voglio essere collegato al circuito chiuso, voglio sapere chi sono gli ostaggi. Per ques’ultima cosa puoi cominciare dal governatore, qua.”

“Sì, padrone,” rispose lei, e uscì di nuovo.

*

“Non rispondono.”

Codino era ancora calmo, ma iniziava a sudare. Avevano tolto la luce, compresa l’aria condizionata.

“Come sarebbe che non rispondono?” strillò Cerotto, sventolando la pistola.

“Non ti agitare. Probabilmente si stanno organizzando. Sono governativi, non hanno fretta.”

Uno dei rapinatori, Mitraglietta, rientrò dal corridoio sospingendo davanti a sé la giovane donna che aveva chiesto di andare in bagno. Lei, una morettina vicina ai trenta, sembrava sul punto di svenire dalla paura e aveva una guancia rossa, come se qualcuno le avesse tirato uno schiaffo.

McKenzie calcolò che fosse stata via almeno un quarto d’ora, cosa che non prometteva niente di buono.

“Ci eravate morti, dentro quel cesso?” chiese lo Smilzo, ridacchiando.

“La signora era piena di inibizioni,” rispose l’altro. Il suo tono non piacque a McKenzie.

Forse non piacque neanche a Codino, perché fece segno a Mitraglietta di avvicinarsi.

I due confabularono per un po’ sottovoce. Codino puntò un dito al petto dell’altro in segno di ammonimento. Parlarono un altro po’ sottovoce, con Mitraglietta a testa bassa.

“Il mio collega voleva dire che i bisogni vanno fatti con la porta aperta,” spiegò, poi, Codino, agli ostaggi. “Motivi di sicurezza.”

A McKenzie veniva da ridere. Motivi di sicurezza? Durante una rapina?

Emise una breve risatina isterica, pentendosene subito.

“Così si fa. Non perdete il buonumore.”

Codino sbuffò e tornò accanto al telefono.

“Ci riprovo,” annunciò. Sembrava che stesse chiamando un numero verde con tutti gli operatori occupati.

*

Ward sollevò la cornetta.

“C’è nessuno?” disse la voce di un bianco, dall’altro lato della linea.

“Ci sono io. Mi chiamo Andrew Ward.”

“Fa niente se non mi presento?”

“Non lo so. Preferirei avere un nome.”

“Vogliamo che ve ne andiate. E una macchina col serbatoio pieno.”

“Con quello che costa la benzina?”

Ci fu un istante di silenzio. “Non fare lo spiritoso, federale. Gli ostaggi non sono invulnerabili.”

“Veramente questa cosa è tutta da ridere. Come cazzo avete fatto a rimanere chiusi dentro?”

“Una macchina. Serbatoio pieno. Noi ce ne andiamo con un paio di ostaggi, li lasciamo da qualche parte, ed è tutto finito.”

“Voi siete quattro, di ostaggi potete portarne al massimo uno.”

“Una macchina a sette posti, allora.”

Ward rise. “Ti farò sapere,” disse, e riattaccò.

*

Codino scosse la testa. “È un allegrone,” commentò, rivolto a nessuno in particolare.

“Non ci daranno un cazzo. Ci terranno al telefono finché non arrivano gli SWAT,” disse lo Smilzo.

“Gli SWAT sono già qua fuori. Non sono ancora entrati e non lo faranno finché non si convincono di non poter trattare.”

“Dovremmo uccidere un ostaggio e buttarlo fuori,” disse Cerotto.

“Vuoi un’accusa per omicidio?”

“Nessuno ci accuserà di niente, se non ci arrestano.”

Codino scosse la testa, ribadendo la sua posizione.

“Fammi vedere i documenti degli ostaggi,” disse, poi.

*

“Abbiamo cinque impiegati, più il direttore. Hanno fatto un corso di addestramento per le rapine.”

Ward osservava Ross che riferiva leggendo da un blocchetto.

“Ok.”

“Una donna di trentadue anni, Maggie O’Hara. È impiegata in una ditta di grafica. Sposata, un figlio piccolo.”

“Ok.”

“Un uomo di sessantasette anni. Sposato, tre figli grandi, vari nipoti. È un consulente finanziario.”

“Ok.”

“Un uomo di quarant’anni. Copywrighter in una grossa agenzia pubblicitaria, celibe.”

“Mh.”

“Una donna di cinquantatre anni, casalinga. Moglie di un industriale di medie dimensioni.”

“Mh.”

“Una donna di settantaquattro anni. Angina pectoris. I figli non sanno se ha le medicine con sé. Pensionata.”

“Mh.”

“Un uomo di trent’anni. Precedenti per spaccio. Ispanico, forse affiliato nei bassi ranghi di Estevez Chorria.”

“Bene.”

“Sarà. Poi c’è una donna di quarant’anni. Obesa, forse problemi cardiaci. Lavora da casa come consulente finanziaria.”

“Ok.”

“Un’altra donna, ventidue anni, modella per Elite.”

“Scherzi?”

“No. Ha sofferto di depressione e bulimia.”

“Mi sembra ovvio.”

“Infine McKenzie, ventiquattro anni. Fa la bella vita, sta prendendo una specializzazione in economia aziendale, ma con calma.”

Ward si grattò il mento. “Mi sa che manca qualcuno.” Guardò l’orologio. “Quant’è passato dal primo contatto?”

“Ventitre minuti,” rispose Reeves.

“Ok. Li richiamo.”

*

Il telefono del primo sportello iniziò a suonare.

“Vediamo che cosa dicono,” dichiarò Codino, e si avvicinò al banco. Rispose al terzo squillo.

“Sono Ward,” disse l’uomo con l’accento bostoniano all’altro capo del telefono.

“Allora?”

“Abbiamo anche noi qualche richiesta.”

“Ti ascolto.”

“Tra i vostri ostaggi, ce ne sono un paio che mi preoccupano.”

“Non cominciare con le malattie incurabili, va bene?”

L’altro rise. “Quante cose che sai!”

“Vedo tanta tv. Avanti, come siamo messi con la macchina?”

“Visto che sai come funziona sai che ho chiesto al mio capo. Lui ha chiesto al suo capo… e così via. Stiamo aspettando che il governatore dia l’ok. Ma il governatore non vuole che dei rapinatori se ne vadano in giro su una bella macchina col serbatoio pieno e degli ostaggi.”

Il federale fece una pausa. “In verità credo che degli ostaggi non gliene freghi niente. Sono solo pochi voti.”

“Forse la penserà diversamente se gliene buttiamo fuori qualcuno morto.”

“Tanto per cominciare, quanti sono? A noi ne risultano quattordici.”

Codino si voltò e contò velocemente i prigionieri.

“Sono quindici.”

“Ok, adesso ascolta, del quindicesimo non so niente, ma tra quei quattordici che ti dicevo ce n’è una che è una signora anziana. Soffre di angina pectoris e non sappiamo se ha le sue medicine dietro. Potresti chiederglielo?”

“Che cosa me ne viene in cambio?”

“Un sacco di cose. Primo: se la signora ha un attacco tutti gli altri ostaggi si spaventeranno… e chissà cosa potrebbero fare. Secondo: il governatore sarà più propenso a darvi una macchina se dimostrerete di essere bravi ragazzi.”

“Sì, certo, come no.”

“Senti, è una signora anziana, vogliamo solo sapere che sta bene. Ti richiamo tra cinque minuti, ok?”

Poi lo sbirro chiuse la comunicazione.

*

“Perché non gli ha chiesto di rilasciare qualche ostaggio?” chiese il governatore. “Perché gli ha detto che non me ne frega niente di loro?”

Ward sbuffò. “Perché si vuole far buttare fuori?”

“Voglio parlargli io!”

“Voglio andare sulla luna!”

“Ward, lei è appeso a un filo, la avverto!”

Ward puntò gli occhi sull’altro. Erano freddi e neri e il governatore si azzittì.

“No, lei è appeso a un filo. È sua figlia quella dentro la banca. Per me avrei già fatto entrare gli SWAT.”

Reeves alzò una mano. “Sono pronti quando vogliamo. Signore, non mi sembra che questi rapinatori siano dei pazzi o degli assassini. Abbiamo due buoni punti di ingresso. Forse è la soluzione migliore.”

“C’è mia figlia lì dentro!” sbraitò Williams.

Ward si fece scrocchiare il collo. “Appunto. Stia calmo. Ora faccio uscire la vecchietta.”

*

Codino rispose al primo squillo. “Sì, sì, non ha i farmaci. Era scesa per una commissione rapida. La faccio uscire in cambio della macchina.”

“Abbiamo anche un altro problema, Bill.”

“Non mi chiamo Bill.”

“Sei stato ribattezzato così in onore dell’ultimo presidente democratico del nostro ammaccato paese. Insomma, l’ultimo per il momento. Ascolta, ci dev’essere anche una ragazza giovane, credo che sia bella, perché fa la modella per un’agenzia importante.”

“Quella non ve la lascio. Abbellisce l’ambiente.”

“Non ne dubito. C’è solo un piccolo problema…”

“Sì, infatti. Ha detto che non ce la dà. Ora è sul retro con un mio amico.”

“Mh.”

“Stavo scherzando, sbirro. Non so nemmeno di chi parli. Qua ce ne sono almeno un paio che potrebbero fare le modelle. Una è bionda l’altra è mora. Qual è delle due?”

“A dire il vero non lo so. Una delle due, però, è depressa e bulimica.”

“Depressi lo sono tutti, ora.”

“Già. Ma questa potrebbe fare qualcosa di stupido. Aspetta.”

Il telefono rimase muto per qualche istante, poi Ward tornò a parlare.

“C’è ancora un altro problema. Questo è più vostro che nostro, in realtà. Te lo dico dopo che hai rilasciato la nonna.”

La conversazione fu interrotta.

*

Da fuori si vedevano due sagome che si stavano avvicinando alla porta. I tiratori scelti erano in posizione, ma senza “via libera”.

La porta a vetri della banca, adesso apribile solo manualmente, iniziò a muoversi da un lato e le due sagome si fecero più distinguibili.

Una signora anziana, scalza, con addosso un vestito viola tutto spiegazzato e i capelli corti ossigenati, fu sospinta verso l’uscita. Accanto a lei c’era un uomo di corporatura media, vestito di nero e con un passamontagna sopra alla faccia. A un tratto si udì un’esplosione.

“Sparano!” gridò uno degli agenti, mettendo mano alla pistola.

L’uomo vestito di nero si accasciò da un lato, poi comparve un’altra sagoma, che richiuse la porta. La signora si guardò attorno con aria smarrita, sola di fronte a una selva di pistole puntate contro di lei.

*

“Che cazzo è successo?” chiese Ward, con aria tesa.

“Uno dei rapinatori ha sparato. Quello col cerotto.” Reeves gli passò un binocolo dell’esercito e anche Ward si mise a guardare la porta. C’era il foro di un proiettile a circa un metro e mezzo di altezza, ma il vetro non era esploso.

“Male. Credo che quello che hanno colpito fosse il capo. Forse c’è un’insurrezione in corso. Aspetterò che chiamino loro. Nel frattempo, Ross…”

“Sto già facendo portare materiale per il primo soccorso. L’ambulanza è già qua.”

*

Sanguinava da una spalla, e non sanguinava poco. Cerotto lo stava trascinando verso il bancone, continuando a gridare frasi senza senso.

Dopo un po’ McKenzie comprese che erano scuse.

Codino aveva lasciato una striscia sanguinolenta sul pavimento.

“…colpire la dannata vecchia, davvero… ora come facciamo, merda, merda, merda, mi dispiace… Come stai Joe, dimmi qualcosa…”

Codino aveva fatto segno all’altro di avvicinarsi. Poi, sottovoce, gli aveva detto un’unica parola.

“Demente.”

L’uomo, afflosciato contro il bancone, respirò per un po’ pesantemente, circondato dai suoi complici.

McKenzie vide con la coda dell’occhio un uomo in giacca che si alzava e si guardava furtivamente intorno.

Poi schizzò via di corsa, verso l’uscita. Mitraglietta gli sventolò dietro una raffica di pallottole, che infransero completamente la vetrata.

L’uomo, incurante di tutto, ci si lanciò attraverso, atterrando sul marciapiede della 32esima in un mare di schegge.

“Non ci provate! Non ci provate nemmeno, o vi ammazzo tutti!” gridò Mitraglietta, puntando l’arma contro i rimanenti ostaggi.

Codino – Joe – nel frattempo si era sollevato il passamontagna fin sopra la bocca, continuando a respirare forte.

L’aria era piena di cordite.

“Portatemi il telefono, coglioni,” mormorò.

*

“Era il nostro sconosciuto,” disse Reeves, abbassando il suo telefono. “A quanto pare è un maratoneta della domenica, motivo per cui… ha deciso di correre.”

“Sì, bene,” fece Ward, distratto.

“Non ci sono stati altri spari,” disse il Governatore.

“Grazie, l’ho sentito.”

“Perché quel tizio ha un cerotto sul braccio?”

Ward lo guardò per la prima volta con una vaga espressione di rispetto. “Per coprire un tatuaggio, presumo,” disse poi, stringendosi nelle spalle.

Il telefono cominciò a suonare.

*

“Come stai?” chiese Ward, per prima cosa.

“Quel coglione mi ha sparato, come credi che stia?”

“Be’, vivo, tanto per cominciare. Dove ti ha preso?”

“Spalla sinistra.”

“Perdi tanto sangue?”

“Come un porco. Ma ora sta un po’ smettendo. Fa male, cazzo.”

“Lo so. Ascolta, qua fuori c’è un’ambulanza. Devi solo farli entrare.”

Ci fu qualche attimo di silenzio.

“No,” disse, poi, il rapinatore. “Il proiettile è uscito. Voglio del disinfettante. Delle bende.”

“Abbiamo un kit per il pronto soccorso. Te lo porto.”

“No, mettilo davanti all’ingresso. Mando un ostaggio a prenderlo.”

“Va bene. Arrivo.”

*

“Non molla. È organizzato. È un vero duro. È pronto il kit con la cimice?”

Ward si muoveva con gesti precisi e contenuti. Non aveva fretta, ma non intendeva perdere tempo.

Ross gli allungò un contenitore di plastica con una maniglia.

“Ce ne sono due. Una nel tappo del betadine. Una nel doppiofondo della valigetta. Spero che bastino. Andrew?”

Lui la baciò velocemente sulle labbra. “Non te la caverai così a buon mercato.”

“Non ho ancora detto di sì. La proposta era formulata in modo un po’ scadente.”

Lui rise ed afferrò la valigetta. “Te lo chiederò al ritorno.”

*

McKenzie Williams prese la valigetta che era posata davanti alla porta, sopra le schegge di vetro. Mitraglietta puntava alla sua schiena. Davanti a lei, qualche passo più in là, c’era un uomo alto e dai capelli scuri, dall’aria tutt’altro che spaventata.

Un federale, probabilmente.

“Non dire chi sei,” le mormorò, troppo piano perché Mitraglietta potesse sentirlo.

Lei annuì, prese la valigetta e rientrò nella banca.

Codino – Joe – si stava tagliando via la maglia, zuppa di sangue. Non aveva più il passamontagna.

McKenzie lasciò la valigetta vicino a lui.

“Conosco un po’ di primo soccorso,” disse.

L’uomo annuì. “Ok,” acconsentì, con voce debole.

McKenzie non si considerava una pazza. Aveva letto un libro sulla sindrome di Stoccolma. Quel libro spiegava che gli ostaggi potevano affezionarsi ai propri sequestratori, se li trattavano in modo umano.

Diceva anche che i sequestratori si potevano affezionare ai propri ostaggi, se stabilivano con loro un rapporto.

Si sedette accanto a Codino – Joe – e osservò la sua spalla. Sul davanti c’era un foro slabbrato largo circa quattro centimentri, dal quale continuava ad uscire del sangue.

“Come… ti chiami…” mormorò lui.

“McKenzie. Ora irroro la parte con il betadine.”

“È… il nome… o… il cognome?”

“Il nome,” rispose lei. “Ora sta fermo.”

Svitò il tappo della confezione di betadine e iniziò a spruzzarla sulla ferita. Poi lo fece sollevare e ne spruzzò dell’altro sul foro d’entrata, dietro la spalla. Joe si lamentò debolmente.

McKenzie iniziò a fasciarlo, cercando di ricordare come si faceva.

“Hai perso un sacco di sangue,” disse.

L’altro annuì.

Aveva un viso medio, abbronzato, con occhi azzurri semi-chiusi. I capelli, adesso sciolti, gli si erano appiccicati alla fronte.

“Lo so chi sei,” sussurrò. Poi si portò un dito alla bocca, come a dire: silenzio.

Era la seconda persona che glielo consigliava, quel giorno.

*

“Ok. La situazione è questa: il capo sa chi è McKenzie. Per il momento sembra che non voglia sfruttare la cosa, ma è meglio se ci sbrighiamo. È furbo, potrebbe cambiare idea.”

“Dobbiamo far entrare gli SWAT,” disse Reeves.

“No, lei è troppo vicina a lui. Facciamo venire una macchina, invece. A cinque posti. Con un rilevatore di posizione. Liberiamo tutti gli ostaggi meno uno, li prendiamo lo stesso lontano dalla gente.”

Reeves annuì. “Potremmo perderli di vista. Potrebbero cambiare macchina.”

“Non così in fretta, però. Penso che dovremmo provarci.”

*

“Non… volevo… che finisse… così…” stava mormorando Joe. Ora aveva la testa sulle gambe di McKenzie. Era pallido e sudato e aveva gli occhi febbricitanti.

Gli altri tre navigavano intorno a loro come squali spaesati.

Stava tutto andando a puttane.

“Volevo solo… non essere… più… povero.”

“Dovresti andare all’ospedale.”

“…in carcere…” biascicò lui.

“Posso aiutarti.”

Joe mosse debolmente la testa come a dire che, no, non poteva. O forse intendeva che non voleva il suo aiuto.

“Mia figlia… Annie… le dici… voglio bene…”

“Hai una figlia?”

“Otto anni… con sua madre…”

“Lasciati portare in ospedale. Non vuoi rivedere tua figlia? Annie?”

Joe scosse la testa.

“Perché? Hai appena detto che le vuoi bene.”

“Stato in prigione… non va bene…”

Il telefono cominciò a squillare. McKenzie trattenne una smorfia di fastidio. Ce la stava facendo, ne era sicura. Lo stava convincendo ad arrendersi.

“Porta… telefono…” mormorò Joe.

*

“Allora, ho una notizia buona e una cattiva, quale vuoi per prima?”

“…cattiva…”

Non sembrava in piena forma. Ward coprì la cornetta. “Abbiamo poco tempo. Se il capo ci molla gli altri faranno un massacro.” Poi tornò alla precedente aria gioviale.

“Solo cinque posti. Nella macchina, intendo. Quella era la buona notizia.”

L’altro non disse niente.

“Ok… quella cattiva è che avete un ospite scomodo, là dentro.”

“Lo… so…” iniziò a biascicare il capo-banda.

“No che non lo sai. Stai zitto e ascoltami, ok?”

L’altro rimase in silenzio, segno che aveva preso il consiglio a cuore, oppure che era svenuto.

“Tu lo sai chi è Estevez Chorria?”

“Mh?”

“Non dovrei essere io a dirtelo, ma è un criminale. Un grosso criminale. Un narcotrafficante, un boss, un…”

“E allora? Qua non c’è.” Da questo punto di vista sembrava sicuro del fatto suo.

“Allora lo sai chi è.”

“Sì,” ammise il rapinatore.

“Be’, uno dei suoi uomini è dentro quella banca. Un tizio sulla trentina.”

“Ah.”

“Tu starai pensando che non è un problema per voi. Che sarà l’ultimo a denunciarti. Non hai torto, ma nel suo caso non è di una denuncia che dovresti preoccuparti.”

“Capito.”

“Ok, tra poco arriverà la macchina. Cinque posti.”

L’altro, di nuovo, non disse niente.

“Vedi, io ti ho osservato. Ho notato come funziona il tuo cervello. Quante volte sei già stato condannato?”

“Non…”

Ward lo interruppe. “Sai benissimo che da questa situazione puoi uscire solo in due modi. Del primo hai già avuto un acconto, e non credo che ti piaccia.”

“Fa male.”

“Il secondo ti porterà inevitabilmente davanti a dodici giurati. Non voglio insultare la tua intelligenza. Qua con me c’è il governatore. Lo immaginavi, giusto?”

“Sì.”

“Bene, il signor Marcos, quello di cui ti parlavo… abbiamo appena scoperto altre cose interessanti sul suo conto. Che ha violato la libertà sulla parola, ad esempio.”

“Dimmi… come… ti chiami…” disse il rapinatore.

Una ruga si disegnò tra le sopracciglia di Ward. “Andrew Ward,” scandì. “Ti ho già detto il mio nome, sei tu che non mi hai detto il tuo.”

L’altro emise uno strano suono. Sembrava un gorgoglio. Ward sperò intensamente che si trattasse di una risata e non di un rantolo.

“Macchina…” riuscì a biasciare il rapinatore, alla fine. Poi appese la cornetta.

*

Joe aveva comunicato ai suoi complici che stava arrivando una macchina. Si era creata una certa agitazione.

Avevano iniziato a discutere su quale degli ostaggi portare.

Cerotto sosteneva che dovevano prendere un tizio ben vestito che sembrava una persona importante.

Mitraglietta propendeva per la donna (Ward non era in grado di capire a chi si riferisse con esattezza).

Smilzo preferiva anche lui una donna, ma non la stessa che voleva Mitraglietta.

“Toglietevi… dal cazzo… non riesco… a respirare…” aveva ringhiato il capo-banda.

Poi si era sentito un suono. E il suono era quello della cassetta del pronto soccorso che veniva allontanata con un calcio.

*

“Io non capisco che cosa ha in mente, Ward. Quelli sanno chi è mia figlia! Non li può far allontanare su una macchina!”

Il governatore era paonazzo e aveva sputacchiato. Non era un gran bello spettacolo.

“Prenderanno lei! Le faranno qualcosa!”

Reeves sembrava sulle spine.

“Ward, senti…” iniziò.

“Tu sei un negoziatore preparato, giusto?” ribatté Ward. Nel centro operativo mobile la temperatura era insopportabile. Anche l’odore di tre uomini e una donna che sudavano copiosamente era insopportabile, ma non era legato strettamente al calore.

“Be’, certo,” rispose Reeves. “Oddio, conosco quell’espressione!” aggiunse, estenuato. “Adesso mi dirai che tu sei più preparato di me, giusto?”

In effetti, in passato, Ward non aveva mai fatto mistero di essere un po’ scarso a modestia.

Questa volta si strinse nelle spalle. “In realtà è tutta da ridere.”

“Questo l’ha già detto!” sbottò il governatore. “Be’, non fa ridere! Non le permetterò di…”

“Tirare fuori sua figlia? In questo caso si accomodi pure.”

“Spiegaci qual è il tuo piano,” intervenne Reeves, pacato.

Ward scosse la testa, ridacchiando.

“Sai, c’è un motivo per cui il governatore, qua, non avrebbe mai dovuto chiamarmi a condurre le trattative.”

“Sì, che lei è un pazzo psicopatico, ecco qual è! Mi avevano detto che si era trattato di un episodio, come se essere un assassino potesse essere un episodio… e lei ha mandato a puttane tutto quanto! Lei… McKenzie…” le proteste del governatore si spensero in una sorta di risucchio di naso. Si asciugò la faccia con una manica e si preparò a minacciare ancora.

“Be’, questa macchina?” lo interruppe Ward, un po’ seccamente.

Se c’era qualcosa che non gli piaceva era venir accusato di essere uno psicopatico.

Neanche a Ross piaceva la piega che aveva preso la conversazione.

Fece un passo avanti e si mise tra il governatore e Ward.

“Adesso basta. Lei la smetta di sparare insulti a caso e tu digli che conosci quel cazzone là dentro.”

Per una volta nella sua vita fatta di sguardi di sufficienza e di mezzi sogghigni, Ward la fissò con autentica ammirazione.

*

I rapinatori stavano uscendo dalla banca. La macchina era una Ford passabilmente nuova, bianca, con mezzo serbatoio scarso di benzina.

Aveva tre localizzatori di posizione a bordo, uno nel bagagliaio, uno sotto un parafango e l’ultimo relativamente in bella vista sotto il paraurti posteriore.

Il primo ad uscire fu l’uomo ferito, sorretto da un ostaggio di sesso femminile, McKenzie Williams.

Il governatore Williams, nel centro operativo provvisorio, iniziò a bestemmiare a promettere ogni genere di punizione per tutti quelli che si trovavano nella roulotte, specialmente per Ward.

Poi uscì Cerotto, che girò intorno alla metà della macchina che non era sotto il tiro dei poliziotti, rimosse il segnalatore sotto il paraurti posteriore e scivolò al posto di guida passando dal sedile del passeggero.

Smilzo e Mitraglietta uscirono insieme, con un uomo sulla trentina strettamente incastrato tra loro. Marcos, piccolo spacciatore, segnalato per essersi sottratto alla libertà vigilata. Si sedettero sui sedili posteriori.

Poi McKenzie aiutò l’uomo ferito a salire nel posto del passeggero.

Lui le mormorò qualcosa, prima di chiudere la portiera.

Poi l’auto partì.

*

Gli sembrava che le scatole da riempire non avessero mai fine. Aveva già impacchettato quasi tutto quello che gli serviva, mancavano solo gli effetti personali.

“Ho una fastidiosa sensazione di dejà vù,” disse, mettendo via la schiuma da barba e il pennello.

“Be’, pensa a questo. Questa volta puoi portarti il rasoio a mano libera,” borbottò Ross.

Non ho un rasoio a mano libera,” puntualizzò Ward.

“Dovresti averne uno. Il mondo, là fuori, è un posto pericoloso.”

Ward sorrise. “Ne ho sentito parlare.”

“Anche senza di te, intendo.”

Ross buttò in una scatola l’ultimo asciugamano e incrociò le braccia sul petto.

Sembrava arrabbiata, il che, secondo Ward, non era del tutto consono alla situazione.

Era stato graziato. Era un uomo libero. Stavano per partire per l’Europa.

Joe Dermott, già incontrato una volta nel carcere di Fulton, era tornato in una cella, dopo aver soggiornato brevemente in un ospedale, guardato a vista.

Lui e i suoi complici avevano avuto poche speranze di allontanarsi su un’auto segnalata e seguita a distanza su un localizzatore, con un ostaggio ricercato per aver violato la libertà sulla parola come bagaglio supplementare.

In effetti Dermott si era arreso spontaneamente dopo aver fatto fermare la macchina in un parcheggio del Queens.

“Che cosa c’è?” chiese Ward. “La figlia del governatore sta bene, il governatore sta bene, Dermott usufruirà di un consistente sconto di pena, io sono libero… che cosa ti rode, adesso?”

Ross emise una risatina sarcastica. “Oh, certo. Va tutto bene. Tu lo sapevi che lui sapeva di essere fregato. E lui lo sapeva che se avesse lasciato perdere McKenzie lei gli avrebbe fatto avere uno sconto di pena.”

“E quindi? Ha solo fatto quello che gli conveniva di più.”

“Mh-mh. E ti ha anche aiutato, pensa un po’.”

Ward sorrise appena. “Già, infatti ha detto a McKenzie di riferirmi che gliene devo uno bello grosso. Ma è stato gentile, da parte sua.”

“Capire che ti avrebbero graziato?”

“Be’, non poteva esserne sicuro. Ma sapeva che ero ai domiciliari, suppongo. Ho una certa fama tra…”

“Tra i single, ad esempio?” suggerì Ross.

Ward la fissò per un istante in silenzio, poi sospirò pesantemente.

Naturalmente, di quello non avevano ancora parlato. Ecco perché era così incazzata.

La fortuna di una minoranza di persone inizia con una rapina in banca.

Ward aveva creduto erroneamente di essere una di loro.

Che si tratti di una minoranza è cosa nota, questo non impedisce a qualcuno di provarci ugualmente.

Ma ovviamente, pensò, decidendosi a tirare fuori l’anello che aveva in tasca, questo non era il suo caso.

FINE.

© 2008 Susanna Raule