mercoledì 30 giugno 2010

Lividi - 2

Le cose non andarono esattamente come previsto. Avvenne in modo subdolo. All’inizio, Clara, la maestra rossa e tettona che nei piani di Sensi avrebbe dovuto riversarsi nel suo letto, fu felice di vederlo. Era una trentenne dall’abbigliamento etnico e dal viso spruzzato di lentiggini, due cose, queste, che a Sensi non interessavano particolarmente. Il viso spruzzato di lentiggini era grazioso, certo, ma l’attenzione del commissario era quasi sempre puntata altrove, leggermente più in basso.

La prima avvisaglia del peggio si ebbe quando Sensi propose di andare a casa sua.

“Oh, Ermanno, mi piacerebbe, ma preferirei passare da casa mia a cambiarmi. Puoi accompagnarmi, però,” disse Clara.

Sensi, avventatamente, rispose che non c’erano problemi. Sicuramente anche a casa di Clara c’era un letto.

Durante il percorso fino al letto Clara gli parlò dei bambini e della programmazione scolastica. Sensi si astrasse completamente, limitandosi a sorridere e a emettere l’occasionale borbottio di interesse.

La seguì docilmente fino a un palazzotto poco lontano, osservando rapito il sobbalzare delle sue tette. Se in quel momento avesse ascoltato, anche distrattamente, le parole di Clara, avrebbe ancora fatto in tempo a evitare il peggio, ma Sensi non ascoltò neanche una sillaba.

Il film mentale che scorreva nel suo cervello era decisamente più avvincente dei discorsi dell’altra.

Mentre salivano le scale il suo sguardo non si distolse neanche per un attimo dalle chiappe rotonde e sode che gli ondeggiavano davanti alla faccia, coperte da un sottile strato di jeans. L’appartamento di Clara si rivelò un posticino pieno di artigianato indiano, di tappeti orientali e di incensi.

Il letto era coperto da un mezzaro mediorientale.

Clara aprì l’armadio e iniziò a scegliere gli abiti che aveva intenzione di indossare.

Mentre lo faceva continuò a parlare. Sensi, seduto tranquillo sul letto, continuò a non ascoltare.

Clara appoggiò su una sedia un vestito a fiori e dei collant neri, poi iniziò a spogliarsi con gesti sbrigativi.

Sensi seguì attentamente le varie fasi del procedimento.

Prima Clara si sfilò gli stivali frangiati. Poi si tolse i jeans ricamati. Poi si sbottonò la camicetta arabescata. Sotto c’erano due tette grandi e bianche, spruzzate di lentiggini, che premevano contro il reggiseno color acquamarina come se stessero per farlo esplodere.

“Cristo, quanto mi piacciono,” disse il commissario, emettendo la sua prima frase di senso compiuto in oltre un quarto d’ora.

Clara rise.

Sensi si diede da fare per disinnescare il reggiseno. Strinse tra le mani quell’abbondanza lattea, ci sprofondò la faccia, mordicchiò e succhiò. Si liberò molto velocemente dei propri vestiti neri, buttò in un angolo le proprie mutande e si infilò esattamente dove il suo film mentale gli aveva suggerito di infilarsi.

La prima volta le venne in mezzo alle tette. Avrebbe ancora potuto salvarsi, se solo Clara non avesse avuto anche un paio di chiappe veramente notevoli.

Tra una manche e l’altra Clara ricominciò a parlare. Sensi ricominciò a non ascoltare.

Si dedicò anima e corpo a una meticolosa esplorazione della carne dell’altra. infilò le dita ovunque le potesse infilare, poi la lingua, poi, ovviamente, anche un preservativo.

La seconda volta venne dentro al preservativo. Si sarebbe ancora potuto salvare, se Clara non avesse avuto anche delle cosce incredibilmente tornite.

Fu su quella zona che Sensi si concentrò nei successivi minuti, mentre lei riprendeva a parlare. Poi Clara smise di parlare e Sensi smise di far finta di ascoltare, per iniziare ad ascoltare veramente i gemiti dell’altra.

La terza volta, visto che ormai era spompato, venne dopo un bel po’ di tempo, e non si poteva più salvare.

Mentre giaceva, sudato ed esausto, tra le cosce incredibilmente tornite di Clara, per la prima volta si rese conto di quello che gli stava dicendo.

E quello che gli stava dicendo era: “Adesso, però, dovremmo veramente vestirci, Ermanno, o faremo tardi alla cena con i miei.”

martedì 29 giugno 2010

Lividi - 1

Era una giornata insolitamente soleggiata. Quel martedì, Spezia non era stata allietata nemmeno da un lieve piovasco o da un improvviso rovescio. Nel primo pomeriggio, il commissario Sensi era stato costretto a uscire dal suo ufficio a prova di luce, cosa che l’aveva immediatamente messo di cattivo umore.

Il motivo non era sufficientemente serio: un anziano era stato trovato cadavere in zona Fossitermi.

“Essere anziani,” si lamentò Sensi con l’ispettore Mainardi, mentre andavano sul luogo del ritrovamento, “significa proprio questo: essere vicini alla morte. Che un anziano muoia non è un fatto insolito.”

L’anziano in questione, scoprirono un’estenuante ricerca di parcheggio più tardi, era riverso nella cucina del suo piccolo appartamento. Indossava un pigiama di flanella a righe bianche e azzurre, delle ciabatte marroni e aveva un largo segno rosso tra una guancia e il cranio pelato.

Potrebbe essere insolito,” ammise Sensi, a malincuore. “Considerando che quello sembra il segno di un ferro da stiro.”

Mainardi si guardò intorno. “Potrebbe essere scivolato e il ferro da stiro potrebbe essergli accidentalmente caduto in testa in seguito,” ipotizzò.

“Un’ipotesi suggestiva,” confermò Sensi, “se non fosse che qua attorno non vedo nessun ferro da stiro.”

“Non è detto che fosse proprio quello, l’oggetto,” si difese Mainardi, leggermente irritato.

“Giusto. Mai lasciare che un’ipotesi sensata intralci il lavoro investigativo. Il problema è che questa cucina è desolatamente priva di possibili oggetti contundenti. Non c’è neanche un tagliere, un tritacarne, un pestello di marmo… mi ricorda la mia cucina, in effetti.”

In quel momento arrivò il dottor Sforza, il patologo. Aggirò Sensi e Mainardi e si accucciò accanto al cadavere.

“Sembra che qualcuno l’abbia ammazzato con un ferro da stiro,” disse.

“O con un altro oggetto contundente di forma ogivale,” puntualizzò Mainardi. “Un… un… un fermacarte a forma di ferro da stiro, ad esempio,” concluse.

Sensi sospirò.

“Bene. Ha un nipote, Mainardi?”

“Io?”

“L’anziano.”

“Non lo so.”

Sensi sospirò di nuovo. “Lo scopra. La letteratura suggerisce che in questi casi si tratta quasi sempre del nipote.”

Mainardi annuì. Sensi si guardò distrattamente intorno. L’appartamento era piccolo, arredato con semplicità, non pulitissimo. La camera da letto era in penombra, il letto sfatto. Sensi guardò, speranzoso, sotto il materasso. C’era un fascio di banconote da cento euro incastrato tra le molle.

“Merda,” borbottò. Il fatto che le banconote fossero ancora lì non era incoraggiante. O era stato un ladro così astuto da lasciare un fascio di banconote per suggerire che non c’era mai stato un bel malloppo, oppure l’assassino non era interessato ai soldi. Entrambe le ipotesi suggerivano grane in arrivo.

“Lei e l’ispettrice Riu interrogherete i vicini,” finì con l’ordinare, Sensi, lasciando l’appartamento. Probabilmente non poteva evitare le grane in arrivo, ma poteva almeno provare a ignorarle finché era possibile.

Scese le quattro rampe di scale che lo separavano dalla strada. Fossitermi era un quartiere decentrato, nella periferia nord, che si arrampicava sulle falde dei bassi monti che circondavano la città. Il palazzo da cui era appena uscito era un edificio a tre piani di mattoncini rossi, incastrato in una fila di edifici identici dall’aspetto stranamente britannico. La fila di palazzi dava su una stretta strada in discesa che consentiva a stento il passaggio di una macchina. Fatto non insolito per Spezia, un lato era stato comunque destinato ai parcheggi, restringendo ulteriormente la carreggiata. Sensi la discese mollemente, guardandosi attorno. Visto che lui e Mainardi erano venuti insieme su una macchina di servizio, sarebbe dovuto tornare a casa a piedi o in autobus. Era un piccolo sacrificio, pur di allontanarsi da quella scena del delitto che prometteva rogne.

Caracollò giù per via Monteverdi, superò il centro culturale Dialma Ruggiero e iniziò a discendere via Genova, diretto verso il centro.

All’altezza di viale Aldo Ferrari spense il cellulare, per precauzione. Era possibile che l’ispettrice Riu, arrivando sul luogo del delitto, sentisse la necessità di comunicare con lui. Era un’iniziativa che Sensi non era ansioso di incoraggiare.

A quel punto si trovava nelle vicinanze di piazza Brin. In piazza Brin c’era il bar di Carmel la non-fidanzata storica del commissario. Per un attimo fu tentato di passare a salutarla. Certo, l’ultima volta che le aveva parlato lei gli aveva tirato contro una mela – e non con l’intenzione di sfamarlo.

Decise di lasciar perdere, anche in considerazione del fatto che al bar Carmel aveva accesso a oggetti da lancio decisamente più pesanti e pericolosi di una mela.

Invece guardò l’orologio e decise di deviare verso il complesso scolastico del Due Giugno. Era un brutto conglomerato di edifici grigi che circondavano un’area verde piuttosto spoglia. L’architettura del luogo sembrava fatta per spegnere ogni scintilla di vita negli studenti che la frequentavano ogni giorno.

Anche Sensi l’aveva frequentata ogni giorno, per un certo periodo, seguendo una segnalazione su un presunto pedofilo. Del pedofilo non aveva trovato traccia, ma aveva trovato una maestra elementare dalle tette grosse e dai capelli rossi. Aveva smesso di frequentare il complesso scolastico per iniziare a frequentare la maestra.

Ora erano le quattro del pomeriggio, i bambini delle elementari si stavano riversando nella spoglia area verde e c’era una possibilità che la maestra si riversasse nel suo letto.

Sensi si avviò lentamente verso le uscite delle classi, che davano direttamente sul parco, facilitando non poco la vita al presunto pedofilo e anche a lui.

Genitori di varie etnie recuperavano i figli urlanti, mentre altri bambini correvano e schiamazzavano tutto attorno. Sensi, che non era un amante dell’infanzia, si tenne in disparte, limitandosi a osservare da lontano le scolaresche che uscivano. Quando tutti i bambini furono usciti, la maestra rossa e tettona lo notò, gli sorrise e richiuse la porta.

Sensi si spostò verso l’uscita degli insegnanti.

L’anziano morto e il ferro da stiro che probabilmente l’aveva ucciso erano completamente usciti dalla sua testa.