domenica 22 agosto 2010

Quello che non sai - 21

Aveva passato la notte all’ospedale. Lia Vallambrini aveva fratture multiple alla faccia e un trauma cranico, ma non era in pericolo di vita. Aveva ripreso conoscenza verso le quattro e aveva guardato Sensi dal cumulo di bende che le copriva la testa.

“Ermanno?” aveva detto, solo che il suono che le era uscito dalla bocca fratturata assomigliava di più a “Eanno?”

“Già,” aveva risposto lui.

“I ai salato a ita,” aveva biascicato lei.

“Prima era insipida?” aveva sorriso lui. Poi le aveva raccontato del sequestro a casa Bonanni. “Probabilmente potrai usare i filmati a tuo vantaggio, durante il divorzio. Anche se, ripensandoci, credo che tuo marito non sarà più un problema.”

“Eché?”

“Durante la fuga si è procurato un trauma cranico molto più grave del tuo. Gli hanno dovuto infilare una cannuccia nel cervello o roba del genere. Credo che per un po’ non picchierà più nessuno. Credo che per un po’ avrà dei problemi ad allacciarsi le scarpe. Forse per un bel po’, magari per sempre.”

Dal cumulo di bende che era la faccia di Lia spuntarono due lacrime.

“Ti dispiace?” chiese Sensi, morbido.

Lei emise uno strano suono, un suono che somigliava a una risata. “Coenta,” spiegò.

Sensi si alzò. “Bene. Anch’io,” disse, prima di andarsene.

Il giorno dopo i giornali iniziarono a sparare titoli sull’ultimo scandalo della città, sui video compromettenti sequestrati a un noto criminale, sui nomi illustri, sulle mogli cornificate e sui divorzi prossimi venturi. Sulla Nazione, in esclusiva, uscì l’unica intervista rilasciata dall’artefice del gran casino. La maggior parte delle persone si fece l’idea che il commissario Sensi fosse un gran figlio di puttana, ma a Sensi non importava.

Non sapeva se Bonanni credesse nella spiegazione dell’intrigante poliziotto che circuisce la povera maitresse per bene, ma sperava che lo facesse. Lo sperava per lui.

E, in fondo, lo sperava anche per Tudini, che non aveva ancora perso la speranza di incastrare un Ignazio Bonanni vivo.

In quanto a Sensi, sapeva di avere dentro qualcosa di pericoloso, ma doveva ancora decidere quale fosse.

Tornò in questura il pomeriggio successivo. Salvemini aveva ripreso a ignorarlo, la Riu non aveva mai smesso di detestarlo e Tudini continuava a credere irragionevolmente in lui.

Mainardi, infine, fu quello che appoggiò sulla sua scrivania la denuncia del padre del ragazzo a cui aveva rotto il finestrino della 500.

“Quindi non demorde,” commentò Sensi, e non sembrava molto preoccupato.

“È un viscido bastardo, capo. Pensa che lavora per il fisco.”

Sensi lo guardò, inarcò le sopracciglia e lesse il nome dell’uomo.

“Roberto Lucero,” sorrise.

“Un inutile pezzo di merda,” affermò Mainardi, per sottolineare il suo sdegno.

Ma Sensi non lo stava ascoltando.

Con le lacrime agli occhi, rideva.

FINE.

3 commenti:

Luca Bonisoli ha detto...

Un finale azzeccatissimo! ^__^
Complimenti, questo racconto mi è piaciuto molto! ^__^

Skiribilla ha detto...

Arrivo lunga, lunghissima, ma arrivo.

Piaciuto tanto tanto e poi ogni puntata non sapevo cosa aspettarmi e questo è impagabile.

(però non ha poi chiarito chissà cosa, sulla vita del nostro eroe, eh!)

(ma aspetto il pdf per rileggermelo tutto seguente con calma, che magari mi son persa qualcosa di fondamentale, anche solo della lunghezza di una riga)

grazie, Susanna.

:)

Susanna Raule ha detto...

è che sono una merda, lo so.
ma a me sembravano Importanti Rivelazioni.