sabato 21 agosto 2010

Quello che non sai - 20

Sensi si sentiva vagamente raggelato, e non era per l’aria condizionata della sua jeep. Temeva di essere in ritardo. Bonanni, di certo, non sembrava uno che perdeva tempo.

Chiamò Carmel mentre iniziavano a cadere i primi goccioloni di pioggia.

Si informò dettagliatamente sulla sua salute, poi, una volta deciso che non era la sua preoccupazione più urgente, tagliò corto e riattaccò.

La pioggia aveva l’effetto quasi magico di rendere il traffico spezzino peggiore del solito, e solitamente era già un inferno. Ragazze semi-nude, schizzavano via in motorino, rabbrividendo. Gli automobilisti si rendevano improvvisamente conto che dovevano andare da qualche parte e che lo dovevano fare subito.

In quelle condizioni, riuscì ad arrivare sul raccordo solo dopo le otto.

Fu più o meno in quel momento che il suo cellulare si mise a squillare. Il nome sul display era quello di Lia e Sensi ebbe la chiara percezione di essere più in ritardo di quel che credeva.

“Ermanno…” disse la voce ansimante di Lia, quando lui rispose “…mi uccide…”

“Sto arrivando,” rispose Sensi, ma la linea era caduta.

Sensi imprecò. Tirò fuori il lampeggiante e lo fissò sul tetto della macchina, mentre premeva a tavoletta sull’acceleratore.

Chiamò per chiedere rinforzi, ma continuava ad avere la certezza che fosse tardi. Forse troppo.

Fece la galleria per Lerici ai centotrenta. All’uscita diluviava e la strada era scivolosa. Sbandò su una curva e riprese il controllo della jeep un istante prima di schiantarsi contro il guardrail.

Accelerò ancora.

La pioggia gli rendeva la strada quasi invisibile. Attaccò la sirena, sperando che gli altri automobilisti dimenticassero per un istante che dovevano andare da qualche parte e dovevano farlo subito e si levassero di torno.

Alla rotonda per Bellavista sbandò di nuovo. La jeep andò in testacoda e rischiò di finire dentro un fosso. Raddrizzò lo sterzo e continuò, senza decelerare. Il parabrezza era praticamente oscurato dalla pioggia e i tergicristalli sembravano nuotare disperati.

Arrivò davanti alla villa di Lia slittando in frenata. Scese dalla macchina e iniziò ad arrampicarsi sul cancello. La pioggia lo zuppò immediatamente. Da qualche parte iniziò a suonare un allarme.

Corse fino alla porta scivolando sul vialetto a ogni passo. La porta era massiccia, chiusa.

Prese un sasso e lo lanciò contro una finestra. La finestra si ruppe.

L’allarme continuava a suonare.

Si infilò in casa attraverso la finestra rotta. C’era una luce che filtrava da sotto la porta della camera da letto. Sensi estrasse la pistola e corse da quella parte, con la suola degli anfibi che scivolava sul pavimento.

Aprì la porta con un calcio.

Entrò.

Lia era sul letto, riversa su un fianco, con la faccia completamente insanguinata. C’era un uomo che la stava per colpire ancora, un uomo che si era voltato sentendo il rumore della porta che si spalancava, un uomo che assomigliava a un tricheco.

“Stia fermo,” disse Sensi, puntandogli la pistola contro.

L’uomo socchiuse gli occhi. “E tu chi cazzo sei?”

“Commissario Sensi. Si allontani dal letto, signor Vallambrini.”

L’uomo si rimise in piedi e alzò le mani a metà. Sorrise in modo beffardo. “Saresti l’ultimo amante di questa puttana, giusto?”

Sensi si avvicinò di un passo. “Temo che i miei modi formali l’abbiano messa su una falsa pista,” disse e gli tirò un calcio nei coglioni più forte che poteva. Vallambrini si piegò in due, gemendo. Sensi aspettò che si rialzasse abbastanza da tirargli un altro calcio. Questa volta Vallambrini cadde per terra.

Sensi gli passò sopra e si chinò sul letto. Lia era immobile, con il volto tumefatto. Sensi le appoggiò una mano sulla spalla. “Lia?” la chiamò.

Lei mosse appena la testa.

“Ok,” annuì Sensi. “Ok, non ti muovere.”

Si voltò appena in tempo per vedere che Vallambrini si era rialzato e che stava cercando di andare da qualche parte.

Gli mollò un altro calcio nei coglioni e lui ricadde a terra, dove Sensi lo voleva.

Prese il cellulare e chiamò un’ambulanza.

Poi tornò verso il padrone di casa, che gemeva raggomitolato. Si accucciò accanto a lui.

“Sa, i miei colleghi saranno qua da un momento all’altro,” gli disse. Vallambrini gemette più forte.

“Il problema è che non sono molto bravo a resistere alle tentazioni. E un sacco di merda come te steso lì a terra è una tentazione bella grossa.”

Si rialzò e gli tirò un altro calcio, questa volta sulla faccia. Vallambrini sollevò le mani, cercando di coprirsi, ma a quel punto Sensi lo colpì più in basso, sulla pancia.

“È una bella sensazione,” sorrise. “Inizio quasi a capire mio padre.”

“P-per favore…” gemette l’altro.

Sensi saltellò un po’, sciogliendosi i muscoli delle braccia e delle gambe. “Stai zitto. Se stai zitto, può darsi che non mi incazzi,” disse, con una strana voce sognante. La sua ombra, sotto di lui, iniziò a diventare più grossa. Sensi la osservò con un ghigno soddisfatto. “Oh, sì, piace anche a lui.”

All’esterno della casa, delle sirene iniziarono a sovrastare lo scroscio della pioggia.

Sensi fece una smorfia di disappunto e tirò un altro paio di calci a Vallambrini.

Poi lo prese per un braccio e lo sollevò a viva forza dal pavimento. L’uomo continuava a gemere, ma non provava più a parlare.

Sensi lo trascinò con sé verso l’uscita.

“Quanto male che vorrei farti. Ma i buoni sono arrivati a salvarti le chiappe,” commentò, contrariato.

La polizia aveva forzato il cancello e delle volanti stavano percorrendo a bassa velocità il vialetto d’ingresso.

Vallambrini lanciò a Sensi un’occhiata di sbieco e vide che i suoi occhi erano rossi come il sangue. Cercò di divincolarsi per correre verso le macchine della polizia. Sensi lo lasciò andare.

Aspettò che fosse a qualche metro di distanza e poi saltò.

Gli uomini delle volanti che assistettero alla scena testimoniarono in perfetta buona fede che il sospettato aveva cercato di fuggire e che il commissario Sensi aveva dovuto immobilizzarlo con la forza.

Nessuno degli uomini riuscì a vedere con chiarezza l’azione, a causa della pioggia.

Sensi aveva spiccato un salto in avanti particolarmente lungo e aggraziato, piombando sopra Vallambrini come un giocatore di football sulla palla. L’aveva buttato a terra con il suo stesso peso, e Vallambrini aveva battuto violentemente la testa sul terreno.

Che il sospetto si fosse ferito gravemente era una casualità che nessuno avrebbe potuto prevedere.

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