domenica 4 luglio 2010

Lividi - 7

Tudini lo stava aspettando al varco e questo era preoccupante. Se c’era qualcuno pronto a soprassedere sulle deficienze lavorative di Sensi questo, di solito, era Tudini.

“Abbiamo un problema con il signor Righi, Ermanno,” esordì, passandogli la lattina di Red Bull che avrebbe comunque iniziato a pretendere molto presto.

“Bene,” rispose Sensi, che non aveva idea di chi fosse il signor Righi, ma che apprezzava sempre un energy drink al mattino.

“Il signor Righi è il cadavere che hanno trovato a Fossitermi,” spiegò Tudini. “È anche un lontano parente del sindaco,” aggiunse.

“Quanto lontano?” si informò subito Sensi.

“Abbastanza. Un prozio da parte di padre, pare.”

“E il sindaco è diventato improvvisamente consapevole del bene che gli voleva, giusto?”

“Non credo che il sindaco voglia bene a qualcuno,” disse Tudini, con la sua agghiacciante mancanza di senso dell’umorismo, “forse alla città.”

Sensi diede una sorsata e inarcò un sopracciglio. “Dev’essere per questo che fanno concerti di musica disco in piazza del Bastione ogni due sere.”

“Questa mattina ha avuto un colloquio con il questore Salvemini,” andò al punto Tudini.

“E Salvemini, in seguito, ha avuto un colloquio con te, presumo.”

“Informalmente. Ne avrà uno con te tra cinque minuti, inoltre. Formalmente.”

Sensi sospirò. La pessima idea che aveva avuto la sera prima si era trasformata in una nottata da incubo intervallata da momenti gradevoli, ma non era pronto a vedere il questore.

Guardò distrattamente dalla parte dell’ascensore.

“Immagino che la Riu non abbia risolto il caso stanotte, vero?” chiese, tanto per sicurezza.

“La Riu ha passato la mattinata a interrogare un condomino. Sarà già una fortuna se il condomino non sporgerà denuncia.”

Le nubi già cupe che Sensi vedeva profilarsi all’orizzonte si fecero plumbee. Avrebbe piovuto (merda) sulla sua testa e avrebbe piovuto (merda) abbondantemente.

Tornò a guardare verso l’ascensore, ma ormai era troppo tardi. Le porte si stavano aprendo sulla figura massiccia del questore, fasciato in un abito color tortora che per qualche ragione lo rendeva ancora più massiccio.

Diede un’altra sorsata di Red Bull e gli andò incontro stoicamente.

“La stavo aspettando,” disse, con un veloce sorriso.

“È appena arrivato,” ribatté Salvemini, che non era diventato questore cadendo in trucchetti psicologici da due soldi.

Il sorriso di Sensi si allargò. “Questo significa che non mi lascia giocare in casa?” chiese, indicando col pollice la porta del suo ufficio. Salvemini detestava l’antro buio di Sensi. Detestava non riuscire a vedere in faccia il suo interlocutore e doversi incastrare tra il ciarpame che ingombrava ogni centimetro delle seggiole e della scrivania. E più di ogni altra cosa, Salvemini detestava avere la sensazione di essersi inoltrato in un territorio sconosciuto e ostile, che era esattamente la sensazione che provava ogni volta che metteva piede nell’ufficio di Sensi.

“Non ci vorrà molto,” disse, quindi, rientrando in ascensore. Il commissario lo seguì con la sua solita aria tranquilla e vagamente indisponente.

Salvemini gli fece strada fino alla gigantesca sala luminosa ed elegante dalla quale dirigeva il suo regno.

“Tudini le avrà detto che questa mattina ho ricevuto una telefonata dal sindaco,” andò velocemente al punto, sedendosi sulla sua poltrona di pelle naturale e allungando le mani sulla sua scrivania ampia e ordinata.

“Il signor Righi è un suo lontano parente, mi dicono.”

Sensi si era comodamente stravaccato su una delle poltroncine degli ospiti. Visto che le poltroncine dall’ineffabile design erano appositamente concepite per essere scomode, Salvemini ammirò in silenzio lo stile del suo sottoposto.

“Esatto. È inutile dire che il sindaco raccomanda una soluzione del caso veloce e pulita.”

“L’ispettrice Riu è alacremente al lavoro,” disse Sensi, col viso inespressivo.

“L’ispettrice Riu ha passato la mattinata torchiando un possibile colpevole di violenze domestiche,” rettificò Salvemini, “mentre l’ispettore Mainardi era pienamente avvinto nell’interrogatorio della figlia minorenne del suddetto sospetto.”

I baffetti grandi come mosche del questore quasi non si erano mossi. Ora si posarono ai lati della sua bocca come se fossero pronti a voler via al minimo impulso.

Sensi sorrise di nuovo. “Ovvero la reale perpetratrice delle violenze domestiche,” disse, in tono sicuro.

Salvemini aprì la bocca e la richiuse di scatto, dando l’impressione che i suoi baffi-mosca avessero fatto una falsa partenza.

“Lei sta tirando a indovinare, Sensi,” disse, alla fine.

“Sì, certo,” ammise l’altro, di buon grado.

“Anche supponendo che lei abbia ragione, qualcosa le fa supporre che la ragazza sia anche un’assassina?”

“No,” disse Sensi.

“Ma ha l’impressione che potrebbe esserla?” aggiunse il questore, con un’impercettibile punta di speranza.

“No,” ripeté Sensi.

Salvemini si passò una grossa mano sulla pelata scintillante. “E si è formato un’impressione di qualsiasi tipo su chi potrebbe essere l’assassino?”

Sensi stava per dire ancora una volta “no”, ma non lo fece. Invece aggrottò le sopracciglia e borbottò qualcosa che Salvemini non riuscì a comprendere.

“Cosa dice?”

Sensi scosse la testa. “Niente, questore. La terrò informato.” E, senza che Salvemini trovasse altro da chiedere, si alzò fluidamente dalla scomodissima seduta e si avviò verso l’uscita.