venerdì 2 luglio 2010

Lividi - 5

L’ispettrice Riu sembrò stupita di vederlo comparire sulla scena di un crimine a quell’ora. “Credevo che dopo il calar del sole la sua giornata entrasse nel vivo,” commentò.

“Dopo il calar del sole è tutto molto più pericoloso di quel che pensa,” replicò Sensi, senza badarle. “Ora mi spieghi per quale motivo vuole interrogare di nuovo l’intero condominio.”

“La donna del 2b,” spiegò l’ispettrice.

“Esibisce qualche lampante segno di follia omicida?”

“Cerca di non esibire i lividi che ha sulla gola.”

Sensi sbuffò. “Ah,” disse.

“L’unità familiare è composta da lei, dal marito e da una figlia adolescente,” aggiunse la Riu. “Mi è stato detto che il marito sarebbe rientrato alle sette e mezza.”

Sensi diede un’occhiata all’orologio. “E perché ha lasciato passare più di un’ora?”

“Ho ri-interrogato gli altri condomini,” spiegò l’ispettrice, pazientemente.

“Allo scopo?”

“Seguire la procedura, signore.”

“Al reale scopo?”

“Tenere un po’ sulle spine il malmenatore. Il possibile malmenatore,” aggiunse, per correttezza.

“E magari vedere se nel frattempo malmenava anche la figlia?” ipotizzò Sensi.

La Riu strinse le labbra come quando era infastidita. Visto era che era infastidita molto di frequente cogliere il cambiamento d’espressione non era facile, ma Sensi aveva vari anni d’esperienza a suo vantaggio. La Riu aveva sicuramente stretto le labbra, segno che era più infastidita del solito.

“Mi permetto di far notare,” interloquì Mainardi, che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare in silenzio, “che i problemi coniugali della coppia in questione esulano dall’indagine in corso.”

Sensi lo osservò per qualche istante con aria pensierosa. “Sa, Mainardi, quando al telefono le ho detto che venivo a rimediare alla sua scarsa professionalità credevo di dirlo solo per avere una buona scusa per svignarmela dalla cenetta coi suoceri.”

Mainardi, tutt’altro che offeso, si illuminò. “Ah, quindi doveva svignarsela da una cenetta coi… suoceri? Commissario, a me può dirlo… ha fatto qualcosa di irreparabile?”

“L’avrei fatto, se fossi rimasto lì ancora qualche minuto. Bene, andiamo a controllare il caso di violenza coniugale,” concluse.

Il suo cellulare cominciò a suonare.

Il display diceva: “maestra tettona”. Sensi rifiutò la chiamata.

L’appartamento 2b era esattamente sotto a quello dell’anziano deceduto. Aveva anche la stessa piantina, lo stesso tipo di mobilio e le pareti dello stesso colore. Quello che mancava, a occhio e croce, era il cadavere di un anziano e lo spazio vitale per almeno uno degli occupanti.

Visto che le stanze erano solo tre, Sensi immaginò che la figlia adolescente dormisse sul divano del salotto. Fu esattamente su quel divano che lui, Mainardi e la Riu vennero fatti accomodare da una padrona di casa decisamente in ansia, con addosso, notò Sensi, un maglione a collo alto.

“Quello che è successo al signor Gianni è terribile,” asserì, tentando di scarnificarsi un pollice con l’unghia dell’indice. Il signor Gianni era l’anziano deceduto, evidentemente.

“Era davvero un brav’uomo,” aggiunse il marito della signora, seduto accanto a lei sul bracciolo di una poltrona. Non aveva propriamente l’aspetto del bruto, pensò Sensi. Anzi, rispetto alla signora, che doveva pesare quasi un’ottantina di chili, sembrava decisamente fragile.

“Tu hai notato qualcosa?” chiese alla figlia adolescente, ignorando i genitori.

Era una ragazza di sedici-diciassette anni, più simile alla madre che al padre. Al contrario della madre non era in soprappeso, ma, pensò Sensi, la sarebbe diventata appena superati i trent’anni. Per il momento assomigliava a un’amazzone bionda e sprezzante – un’altra vittima di violenze domestiche improbabile.

“Non so,” disse l’amazzone con una scrollata di spalle. “Il signor Gianni non era in cima ai miei pensieri, no?”

“No?”

“Voglio dire, avrà avuto ottant’anni,” spiegò la ragazza, poco diplomaticamente.

“E lei, signor Rossetti?” chiese la Riu, che da quando era entrata non aveva distolto per un istante lo sguardo dall’emaciato pater familias.

L’uomo sembrò rimpicciolire. “Non saprei. Mi alzo presto, rientro tardi…”

“Lavoro?”

“Idraulico.”

“L’ultima volta in cui ha visto il deceduto?”

Il signor Rossetti ci pensò sul serio. “Due sere fa, credo. Ai bidoni della differenziata. Stava bene,” aggiunse, come se l’omicidio iniziasse a vedersi qualche giorno prima come il raffreddore.

“Signora?” chiese Sensi, interrompendo il fuoco di fila dell’ispettrice.

L’opera di scarnificazione del pollice della donna, nel frattempo, aveva prodotto il risultato sperato e vicino all’attaccatura dell’unghia ora c’era una gocciolina di sangue. “Credo di averlo visto questa mattina intorno alle nove. Il signor Gianni andava sempre a fare la spesa al mercato di buon’ora, con l’autobus… l’ho incontrato mentre saliva le scale. Io stavo scendendo, abbiamo scambiato… due parole,” concluse la signora, con voce spezzata. “Gli ho detto qualcosa sul fatto che era mattiniero… ha risposto che non dormiva molto, alla sua età.” Sembrava autenticamente sconvolta, pensò Sensi, il che non escludeva che l’avesse ucciso lei perché i suoi panni stavano gocciolando sulle mutande del marito.

Si alzò in piedi. “È necessario che domani vi presentiate tutti e tre in questura per registrare le deposizioni,” disse, ignorando l’occhiataccia della Riu. “Venite quando vi torna più comodo, saranno registrate separatamente.”

“Era il momento giusto per fare pressione su di lui!” disse la Riu, qualche minuto più tardi, mentre scendevano le scale.

Sensi scosse la testa.

“Mai provato ad aprire un’ostrica?” ribatté. “Stasera quei tre erano come un’ostrica. Domani potrà interrogare Rossetti finché vuole.”

“Domani i lividi sul collo di lei saranno scomparsi!”

Lo sguardo grigio di Sensi restò imperturbabile. L’ombra rossa che gli attraversò gli occhi doveva essere sicuramente uno scherzo della luce.

“Domani, se è fortunata, ce ne saranno di nuovi,” concluse.