giovedì 1 luglio 2010

Lividi - 4

Erano all’ultimo piano di un palazzo di piazza Verdi, il che escludeva le finestre come possibili vie di fuga. Il valore immobiliare dell’appartamento, aveva calcolato Sensi, doveva aggirarsi sul milione di euro, ma forse sottovalutava la metratura.

La sala in cui stavano cenando era larga almeno dieci metri, il tavolo, coperto da una candida tovaglia di lino ricamato, almeno otto, e i suoi coglioni, presi singolarmente, almeno due. Di diametro.

La madre di Clara era una signora sulla sessantina dai capelli albicocca, dalla pelle luminosa e curiosamente priva di rughe e dall’abbigliamento casual-chic, ovvero così costoso da sembrare una cosa qualunque. Il padre di Clara dimostrava una settantina d’anni ben portati, aveva una rigida chioma grigio-ferro, un completo in giacca sartoriale ed era quasi sicuramente amico del questore. Probabilmente andavano in barca a vela insieme.

“E così, commissario, da dove ha detto che viene?” stava chiedendo la madre di Clara.

Lo chiamava “commissario” in continuazione.

Sensi smise di accanirsi contro il gamberone che aveva nel piatto e sorrise vacuamente.

“Gorizia,” rispose, limitandosi all’essenziale.

“Oh, non ci siamo mai stati, vero, Sandro?”

Il padre di Clara annuì e si diede a elencare con fervore ogni città vagamente vicina a Gorizia in cui lui e la moglie avessero mai messo piede. Erano parecchie, pensò Sensi, spostando da un lato il gamberone e dedicandosi all’insalata.

“E così, come ha deciso di arruolarsi in polizia, commissario?” interloquì la madre di Clara. Tendeva anche a cominciare tutte le frasi con “e così”, notò Sensi.

“Mio padre era un figlio di puttana,” spiegò, in tono conversevole.

“Oh,” disse la madre di Clara, ridacchiando imbarazzata.

“Un vero stronzo,” perseverò Sensi, continuando a brucare tranquillo la sua insalata.

Clara gli tirò un calcio sotto al tavolo. “Ma quale famiglia non ha i suoi difetti?”

La madre di Clara gli lanciò un sorrisetto raggelante. Sensi sperava che l’indagine sulle sue origini fosse finita e che lei e il marito avrebbero ripreso a conversare dei colleghi di lui o dell’estetista di lei. Clara lo guardava ancora male, tra l’altro, segno che, se fosse sopravvissuto alla cena coi suoi (e subito prima di mollarla), probabilmente non gli sarebbe stata data la possibilità di fraternizzare un’ultima volta con le sue gigantesche tette.

“E così,” riprese la signora, decidendo chiaramente di ignorare l’espressione torva di Sensi, “da quanto tempo, insomma, vi frequentate?”

Sensi fu tentato di rispondere che lui e Clara non si “frequentavano”, “scopavano” solo, ma la sua indesiderata fiancéè si rese conto che era meglio precederlo e cinguettò: “Oh, solo da qualche settimana.”

Secondo Sensi doveva trattarsi di meno di una settimana, in tutto sei o sette rapporti sessuali, ma si astenne da qualsiasi precisazione.

“Sembrate molto affiatati,” affermò, inspiegabilmente, la madre.

“È perché sua figlia ha delle tette gigantesche,” stava per rispondere Sensi, ma Clara gli tirò un calcio preventivo al di sotto del tavolo. Sensi si limitò a sorridere vacuamente.

“È molto giovane, per essere un dirigente di polizia, commissario,” fece notare, quindi, la signora. Suo marito si limitava ad annuire distrattamente, una tecnica che Sensi aveva utilizzato a sua volta in più occasioni, l’ultima volta con esiti disastrosi.

“Grazie per il giovane,” sospirò, mentre Clara gli tirava un altro calcio, tanto per sicurezza.

Doveva assolutamente scappare da quella casa, da quella sala e da quella gente. Forse l’appartamento non era così in alto. Forse poteva sopravvivere a una caduta dall’ultimo piano. C’erano casi documentati di persone che si erano buttate dal quarto piano e si erano solo rotte qualche osso.

“E così,” esclamò la madre, “la mia bambina si è fidanzata con un dirigente di polizia!”

“E così,” ripeté Sensi, intontito, “la sua bambina si è fidanzata con un dirigente di polizia.”

Forse era un incubo. Forse era nel suo letto e stava dormendo. Forse si era addormentato con Carmel e ora stava facendo un sogno raccapricciante. Forse il suo telefono si sarebbe messo a squillare e lui si sarebbe svegliato. E accanto a lui ci sarebbe stata una donna in relazione alla quale nessuno aveva mai utilizzato il termine “fidanzata”.

Socchiuse gli occhi, colpito da un pensiero improvviso.

“E ho l’impressione che la sua carriera non sia finita qua…” stava profetizzando, la madre. “Mio marito è un buon amico del questore e…”

Sensi registrò distrattamente la conferma ai suoi precedenti sospetti, mentre riaccendeva il cellulare.

Riu, salvami, pregò, disperato. Questo è il momento ideale per farmi notare che sono un dirigente di polizia di merda e che mi sono allontanato dal luogo di un ritrovamento.

Il cellulare lo salutò con una serie di biip. Messaggi. Eccellente.

“Ehm, temo che mi abbia cercato qualcuno,” disse Sensi, con aria fintamente contrita. Iniziò a esaminare i messaggi. Riu. Riu. Riu. Riu. Mainardi.

“Devo fare una telefonata,” si scusò. “Uno dei miei uomini mi ha telefonato mentre il mio cellulare non prendeva.”

Si alzò dalla tavola e si allontanò di un paio di passi. La madre di Clara lo fissava con attenzione, probabilmente subodorando un trucco.

“Mainardi? Mi ha chiamato?”

Mainardi parve immensamente sollevato. “Capo! Sia ringraziato il cielo! La Riu ha deciso di continuare a oltranza! Vuole interrogare di nuovo i vicini! Dice che non dobbiamo lasciare la scena del crimine finché non abbiamo concluso gli accertamenti! La prego, le spieghi che questo è il momento migliore per andarcene!”

Sensi non si lasciò commuovere. Era un caso disperato: o lui o Mainardi.

“Ispettore, starà scherzando!” rispose, in tono stentoreo e autoritario. “È ovvio che non può lasciare la scena del crimine prima del termine degli accertamenti. Per questa volta fingerò di non averla sentita.”

“Capo? Si sente bene?”

“Mai stato peggio. Si renda conto che a causa della sua sciatteria sarò costretto a lasciare una piacevole cena con i genitori della mia fidanzata e a venire a rimediare alla sua scarsa professionalità.”

Dopo di che chiuse seccamente il cellulare e si voltò verso la tavolata con in faccia quello che sperava assomigliasse a un fiero cipiglio. “È incredibile!” esclamò. “Sono costernato, ma devo lasciarvi.”

Poi, senza controllare che la sua affermazione fossa stata presa per buona da tutti i presenti, raccolse la giacca e iniziò a spostarsi verso l’uscita.

“Ma Ermanno!” balzò in piedi, Clara, con espressione non ancora arrabbiata ma certamente sospettosa.

“Mi dispiace tanto,” mentì lui, senza alcun rimorso. “È un’emergenza.”

Soltanto qualche ora prima avrebbe definito il caso una “bassissima priorità”, ma adesso “emergenza” suonava decisamente meglio. Si scusò con i genitori di Clara e sfrecciò verso la porta.

Sfortunatamente Clara lo seguì.

“Ermanno, non penserai che io mi beva…” iniziò, abbandonando completamente l’aria dolce che aveva sfoggiato per tutta la sera.

Sensi poteva non essere un poliziotto particolarmente brillante, ma sul versante ragazze inferocite aveva maturato un certo numero di ore di esperienza.

La sua risposta standard era sorridere e svanire, un metodo che fino a quel momento gli aveva dato molte soddisfazioni. In quel caso fu tentato di utilizzare un altro sistema, qualcosa di leggermente più evoluto e meno meschino. Qualcosa che arricchisse entrambi sul piano personale.

Qualcosa come: “Hai delle tette fantastiche, ma dei genitori raccapriccianti.”

“Non mi aspetto che tu ti beva niente,” spiegò, invece, mentre già correva giù per le imponenti scale di marmo.

Evitò di aggiungere che, dopo sei o sette rapporti sessuali, ne aveva le prove.

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