mercoledì 21 ottobre 2009

Clamidia - 36

Sensi masticava alacremente una barretta di Mars, mentre Mainardi cercava di avanzare nel traffico di Viale Italia. L’alone bianco si era trasformato di nuovo in puntini e anche l’aria condizionata aiutava.

La Riu era sulla sua macchina e aveva già allertato i rinforzi.

Sensi detestava ammetterlo, ma per una volta il fatto che fosse una velista pazza si era rivelato utile. Il bar era il Bar Luonge Twami, e era nel nuovo Porto Mirabello, cosa che ovviamente la Riu sapeva.

Sensi non ricordava con esattezza che cosa ci fosse stato prima dell’imponente complesso turistico ancora in via di costruzione. Probabilmente una lingua di terra brulla.

Per una volta la maggioranza della cittadinanza era stata d’accordo con lui nel sostenere che una lingua di terra brulla era molto più gradevole di un enorme porticciolo turistico, ma ovviamente il porticciolo si era fatto lo stesso.

Sensi c’era stato, una sera, con Carmel, ovviamente prima che Carmel iniziasse a tirargli contro i bicchieri e a gridare che lo odiava.

Era l’inizio dell’estate e lei aveva insistito per andare a vedere la nuova meraviglia cittadina. Avevano lasciato la macchina all’inizio di Viale Amendola e avevano proseguito a piedi lungo la strada che portava al porto.

La strada costeggiava il Lagora, il canale artificiale che scorreva, limaccioso e puzzolente, sotto il muro di cinta dell’arsenale militare. Sensi aveva passeggiato con un braccio sopra le spalle nude di Carmel, piuttosto soddisfatto.

Certo, la strada non finiva più. E, certo, dal Lagora provenivano degli strani rumori umidi. Carmel, nell’acqua scura, aveva avvistato due topi e una biscia e Sensi aveva prudentemente cambiato lato, visto che non si vergognava ad ammettere che Carmel, riguardo agli animali acquatici, era molto più coraggiosa di lui.

Poi c’era anche l’odore di fogna, che non era gradevolissimo. E poi, ovviamente, c’era che Sensi avrebbe voluto semplicemente planare in un letto con Carmel sopra, piuttosto che passeggiare in prossimità di animaletti acquatici ributtanti con Carmel come unico scudo.

Comunque avevano passeggiato. Alla fine della strada si apriva un bel parcheggio, circondato da costruzioni di cemento ancora da completare.

Sensi aveva rimpianto ancora una volta la vecchia lingua di terra brulla, quella che non aveva mai visto.

Lui e Carmel avevano attraversato il parcheggio. I tacchi di lei facevano un rumore piacevole sull’asfalto, Sensi lo ricordava perfettamente.

Uffa, Sensi si ricordava perfettamente che anche tutto il resto era di lei era piacevole. Si prese un appunto mentale di andare a strisciare per chiederle perdono.

Mainardi, nel frattempo, era riuscito ad arrivare in prossimità dell’imbocco della strada.

“Entriamo con la macchina, capo?” chiese.

“Assolutamente sì. Ci sono creature striscianti della palude, in quel canale.”

Mainardi superò il punto di guardia senza che nessuno gli chiedesse niente e proseguì fino al parcheggio, con la macchina della Riu dietro.

“Un solo punto d’accesso,” borbottò. “Forse non sono così furbi.”

“Mainardi?” disse Sensi. “Hai notato che davanti a noi c’è quella cosa chiamata mare?”

“Embé?”

“Niente, io la considererei una possibile via di fuga, non so tu.”

“Merda.”

Lasciarono la macchina alla fine del parcheggio. Sensi ricordava perfettamente che la volta precedente era arrivato fin lì guidato dall’assordante musica da discoteca. Il Twami, un piccolo bar con cannicciata, emetteva musica come se fosse un night di Riccione, ma era semi-deserto.

Lui e Carmel l’avevano superato per andare a passeggiare sul molo affollato di barche lussuose, ma non li avevano fatti entrare. Due tizi della sicurezza, antipatici come merde, gli avevano detto che potevano accedere solo quelli che avevano lo yacht ormeggiato lì.

Sensi avrebbe voluto protestare, ma Carmel l’aveva tirato via.

Adesso precedette Mainardi verso il molo, eroicamente incurante dei puntini bianchi che continuavano a ballargli davanti agli occhi.

“Signori, non si può entrare. Vedete, c’è scritto su quel cartello,” disse, quasi immediatamente, uno dei due tizi in divisa blu, all’ingresso.

“Qua, invece, c’è scritto che possiamo entrare,” rispose Sensi, mettendogli il distintivo a un centimetro da naso. “Ci serve una barca arrivata quattro o cinque giorni fa, con a bordo almeno quattro uomini tra i trenta e i quarantacinque,” aggiunse, senza provare nemmeno a farla sembrare una richiesta.

I due sorveglianti si lanciarono un’occhiata. “Non avete bisogno di un mandato?”

“Per parlare con un sospetto? Non esageriamo.”

I due ripeterono la faccenda dell’occhiata tra loro. “Okay, dovrebbe essere l’Arsenio, quella barca bianca e blu.”

Sensi scosse la testa, divertito. “Che sobrietà,” commentò, “non ci hanno nemmeno aggiunto il Lupin, eh? Riu, proceda.”

L’ispettrice, che era comparsa accanto a loro qualche secondo prima, si mosse verso la barca in questione come un carroarmato.

Era l’ultima di una fila di yacht di piccola stazza, se si potevano considerare di piccola stazza delle barche più lunghe dell’appartamento di Sensi.

Mentre la Riu si avvicinava un uomo comparve in coperta, sbucando dalle cuccette. Se Sensi non aveva un’aria particolarmente poliziesca, la Riu e Mainardi avevano praticamente scritto “sbirro” in fronte.

L’uomo si mosse con velocità sorprendente. Accese il motore e sciolse la cima che teneva la barca legata al pontile, poi saltò come un capriolo verso prua, dove sciolse anche l’altra cima.

“Presto!” gridò, e un’altra testa emerse nel pozzetto.

“Riu, si sbrighi!” sbraitò Sensi, iniziando a correre. Non che fosse del tutto sicuro che, una volta arrivato alla fine del molo avrebbe avuto il coraggio di saltare nel vuoto per salire sulla barca dei ladri.

La Riu si era messa a correre a sua volta, ma non era molto veloce, anche perché aveva le gambe corte. Sensi la raggiunse quasi subito e la superò a lunghe falcate.

Quando arrivò in fondo, la barca dei ladri era già decisamente lontana dal molo, almeno tre metri e mezzo, il che lo metteva nella gradevole posizione di non dover dare prova di eroismo.

La Riu si fermò accanto a lui ansimando e pochi secondi più tardi arrivò anche Mainardi.

“Vede quello che vedo io, ispettrice?” chiese Sensi, osservando l’Arsenio che se ne andava.

“Intende la riga tra le chiappe di quel tizio?”

“Pensavo di avere un’allucinazione. Mi conferma che ci stanno mostrando il culo, quindi?”

“Sì, signore.”

Sensi fece una pausa, prendendo fiato. “Lei che conosce bene il regolamento, dice che sarebbe contestabile se gli sparassi esattamente nel buco del culo?”

“Temo di sì, signore. Ma ho già allertato la Guardia di Finanza. Se permette, ora li richiamo e gli chiedo di arrestare quei quattro stronzi.”

“Lei, oggi, ha un’idea migliore dell’altra.”

5 commenti:

Antar ha detto...

La parte tedesca non la capisco [ma io coi tedeschi c'ho problemi a prescindere].

In compenso quella italiana la trovo godibile come sempre. Da un paio di puntate più di sempre.

Susanna Raule ha detto...

poveri tedeschi, da tutti vituperati :)

paolo raffaelli ha detto...

A me i tedeschi piacciono, ce lo sai. :)

Armaduk ha detto...

Anche a me piacciono. Ma io sono mezzo crucco, non faccio testo.

Susanna Raule ha detto...

a me, lo dite? :)