sabato 1 agosto 2009

Mezza sega - 6

Mari l’aveva disinfettato e rifasciato. Aveva espresso il parere che la ferita, tutto considerato, stesse guarendo considerevolmente in fretta. Sensi l’aveva preso come il parere di un esperto.
Poi l’esperto aveva pensato bene di fumarsi una sigaretta nel suo salotto e di scolarsi una delle sue birre. Anche questo Sensi l’aveva accettato senza discutere.
Infine Mari aveva scalciato via le sue scassate scarpe da ginnastica, si era piazzato a gambe incrociate sul divano e aveva tirato fuori un taccuino.
“Credo che quello potremo evitarlo,” disse Sensi. Era semi-disteso su un lato del divano, con i piedi scalzi che sfioravano il pavimento di parquet. E, secondo Mari, sembrava un tossico che si fosse appena bucato.
Mise via il taccuino.
“Ok,” disse. “Ma dovrai comunque dirmi qualcosa.”
Sensi annuì mollemente.
“Sono stato un satanista,” biascicò, “ ma questo l’avevi già capito.”
“Sotto copertura.”
“Sì. Sono stati anni… un po’ selvaggi, diciamo.”
Mari sorrise. “I migliori della tua vita?”
Sorrise anche Sensi. “Per un po’ l’ho pensato, ma il finale ha guastato tutto. In ogni caso, non è il finale che ci interessa ora.”
“A dire il vero, a me interessa un casino.”
Sensi chiuse gli occhi. “Il mio periodo da infiltrato ha portato a una serie di arresti. La maggior parte sono ancora dentro, ma un paio sono già usciti. Quelli che non erano alla messa nera… quelli che non si sono beccati il tentato omicidio.”
Mari si alzò e andò a prendersi un’altra sigaretta dal giubbotto.
“Un paio sono usciti con l’obbligo di firma, un paio sono usciti e basta. I miei colleghi di Torino mi hanno avvertito… non che serva a molto. Per vie traverse mi ha avvertito anche un mio ex collega, diciamo così. Un satanista freddo, sai di che cosa parlo?”
Mari si accese la sigaretta e si sedette accanto alla testa di Sensi.
“Un pagano, no?”
“Anche. Uno che non sgozza polli neri e non crede né in Dio né in Satana.”
“Questo tizio ti ha avvertito,” ripeté Mari, sbuffando una nube di fumo.
Sensi socchiuse gli occhi e fissò per qualche istante la massa del brigadiere sopra di lui. “Mi ricordi qualcuno,” mormorò. “Così, in controluce.”
“Quanti cazzo di antidolorifici hai preso?”
“Non ne ho idea. Non mi sento più la punta delle dita.”
Mari si alzò di scatto. “Merda, ti faccio del caffè, ne hai?”
“In frigo c’è della red bull.”
L’altro, imprecando, iniziò a cercare una lattina. Ne trovò un paio nello scomparto della frutta, ne aprì una e ne versò una metà buona in un bicchiere.
“Bevi, cazzone,” disse, tornando a sedersi dietro la testa di Sensi e premendogli l’orlo del bicchiere contro la bocca. Sensi ne ingurgitò un po’.
“Mi fa anche male lo stomaco,” si sentì in dovere di specificare.
“E tra un po’ ti farà male anche la testa. Forza, bevine ancora. Cerca almeno di non collassare.”
Il commissario sventolò la mano sinistra come a dire che non c’era pericolo, ma ne buttò giù un altro po’.
“Cristo, basta. Questa è alimentazione forzata.”
Mari sbuffò, spense la cicca nel posacenere sul quale si era completamente consumata e ne accese un’altra.
“Insomma, questo tizio ti ha avvisato, i tuoi colleghi ti hanno avvisato, quando è successo?”
“Qualche mese fa.”
“E tu?”
“Me ne sono fregato altamente. Sono fatto così.”
“L’avevo intuito.”
Sensi chiuse completamente gli occhi e si distese del tutto. “Già. Solo che uno è arrivato davvero. Era poco più di un ragazzino, all’epoca del processo. Adesso avrà una trentina d’anni, forse meno. L’hai visto l’altra notte.”
Mari restò in silenzio per qualche istante.
“Certo. L’ho visto. E poi non l’ho visto più. Sarebbe carino da parte tua spiegarmi questa cosa.”
Sensi non disse niente, gli occhi chiusi e il petto che si alzava e abbassava debolmente. Mari gli scostò una ciocca di capelli dalla faccia.
“Non lo so,” mormorò Sensi. “Non so che cosa ha combinato in prigione. Forse ha…sai, continuato.”
Il brigadiere si chinò sopra di lui, scrutando i suoi occhi chiusi.
“Continuato a fare cosa?” domandò, in tono basso ma insistente.
Sensi aprì gli occhi, ed erano color rosso sangue.
“Secondo te?” disse. Poi, lentamente, sembrò che il colore delle sue iridi si schiarisse e alla fine Mari si trovò a fissare degli occhi grigio chiari, belli, per quel che contava, infossati e febbricitanti.
“Porca merda,” mormorò.
Sensi richiuse gli occhi e sbatté velocemente le palpebre un paio di volte, voltando la testa da un lato.
“Già. Porca merda,” disse, con voce debole.
Mari inspirò e espirò. “Ok, chi è questo tizio?”
“Si chiama Lorenzo Cervi, se vuoi il nome. Un piccolo figlio di puttana rognoso, sempre attaccato alle gonne degli Stregoni.” Sensi sorrise debolmente. “Che poi eravamo noi. L’elite della setta.”
“Sembra un affarone,” commentò l’altro, sarcastico, ma Sensi non sorrise, non ci provò nemmeno. Invece la sua bocca si piegò all’ingiù, come se fosse addolorato. “Non ti immagini quanto.”
Riaprì gli occhi e tornò a guardarlo con sguardo chiaro.
“Comunque. Questo tizio è scomparso da tre mesi e ieri pomeriggio me lo sono trovato sotto casa. Non è stata una conversazione piacevole.”
Mari gli spostò per la seconda volta una ciocca di capelli dalla fronte e iniziò ad accarezzargli un lato della testa. Quell’uomo adulto sembrava fottutamente indifeso.
“Che cosa ti ha detto?” chiese.
“Esattamente quello che immagini. Che mi avrebbe perseguitato, che mi avrebbe maledetto e che avrebbe fatto a pezzi tutti quelli che mi sono cari.”
“Sono minacce,” sottolineò Mari, fermandosi per un attimo.
“Sì, be’, lo so. Continua.”
L’altro fece un sorriso divertito e riprese ad accarezzargli i capelli. “E poi?”
“Poi niente, cazzone, ho un proiettile nella spalla, se te ne fossi dimenticato.”
“Intendo poi che cosa è successo, idiota,” sospirò Mari.
Sensi sorrise. “Ah, niente. Gli ho detto che gli avrei fatto il culo a strisce e che è una mezza sega… ma non ne sono del tutto sicuro. Sono andato al bar, dalla mia fidanzata non ufficiale…”
“Carmel.”
Il sorriso dell’altro si intensificò. “Carmel. Le ho dato qualcosa… sai, per protezione. Credo che funzioni. Comunque le ho dato anche una pistola elettrica per orsi. Con un po’ di fortuna la userà su qualcuno dei suoi clienti.”
“Lavora al Bar Brin, no? Sul momento non mi ricordavo dove l’avevo vista. Lo bazzico poco, non c’è spaccio.”
“Carmel li butterebbe fuori a calci nel culo. Probabilmente si divertirebbe anche, è una donna crudele.”
Mari sghignazzò. “Il che significa che non te la dà?”
“Il che significa che me la dà, ma mi dà solo quella. Comunque, quando sono uscito ho rivisto Lorenzo… era di spalle, se ne stava andando. Forse mi aveva seguito, non sono molto abile a far perdere le mie tracce. Allora l’ho seguito anch’io per un po’, poi ho provato a convincerlo a tornare da dove era venuto. È stato più o meno a quel punto che sei arrivato tu.”
“E ti ho sparato.”
Sensi sorrise appena. “Non sono certo che sia stato un male.”
Mari stava per fare una battuta sugli incontri romantici, ma si fermò. C’era qualcosa sul viso dell’altro.
“Prima hai detto di non essere sicuro che sia una mezza sega. Non so che cosa intendi. Non lo so davvero. Questa roba da abracadabra non è nelle mie corde…”
“Non è neanche nelle mie, se mi credi.”
Mari gli accarezzò una guancia, la sua mascella tremava. “Hai paura?”
“Probabilmente ho la febbre.”
“Probabilmente sì.”
Sensi sorrise appena. “E, be’… certo che ho paura, non sono mica scemo.”
L’altro si stese accanto a lui e lo guardò per qualche istante negli occhi.
Sensi aveva la febbre, e si sentiva come se l’avessero buttato in un tritacarne, ma sapeva ancora distinguere uno sguardo arrapato da uno sguardo incazzato, e Mari non era arrapato.
“Dimmi solo una cosa, visto che sembra che dovrò aiutarti con questo tizio. Diciamo che lui non è una mezza sega…”
“Diciamolo,” concesse Sensi, accomodandosi contro la sua spalla.
“Tu la sei?”
“Una mezza sega?”
“Mh.”
Sensi ci pensò per qualche istante.
“No,” sorrise, alla fine.

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