martedì 4 agosto 2009

Mezza sega - 11

Spezia, aveva scoperto il commissario con orrore, pullulava di alberghetti da due soldi.
Lui e Mari ne avevano già battuti una decina, fotografia di Cervi alla mano, appurando soltanto che essere un turista squattrinato, a Spezia come nel resto del mondo, non era un affare conveniente.
“Quella storia del subutex non mi torna,” disse Mari, mentre sfrecciava a velocità da ritiro della patente verso il bed and breakfast che era il prossimo della lista.
“Già. Buprenorfina e eroina notoriamente non vanno d’accordo. Perché un tossico vorrebbe qualcosa che inibisce l’effetto di quello che si inietta?”
Mari inchiodò sopra un marciapiede e scese dalla macchina.
“Forse gli serve per qualcos’altro. Forse è il solo calmante un po’ forte che sa come trovare.”
“Ci stavo pensando anch’io, prima che il mio stomaco rotolasse fuori dalla mia bocca.”
Il brigadiere sogghignò. “Mammoletta.”
“Quello che lo prende nel culo veramente sei tu.”
L’altro gli lanciò un’occhiata adombrata. “Omofobia, il male del ventunesimo secolo.”
“Machismo, il male di tutti i secoli conosciuti.”
Il b&b che stavano cercando aveva un’insegna scolorita attaccata accanto alla pulsantiera del citofono, in una stradina perpendicolare a via XXIV Maggio, a un tiro di schioppo dal SerT. Il nome “Affittacamere Il Pagliaccio“ aveva perso più di una lettera e qualcuno ne aveva aggiunte un po’ a pennarello. Adesso, così, diceva: fit camere e spaccio.
“Sembra incoraggiante,” commentò Mari, suonando il campanello.
Prima che qualcuno rispondesse passarono vari minuti, ma alla fine una voce femminile li invitò a salire.
“Se è una puttana parlaci tu,” disse Mari, mentre si arrampicavano su per le scale vagamente scrostate. La pensione era al terzo piano e sulla porta c’era una tristissima immagine di un clown. Subito dietro la porta, invece, c’era la puttana paventata da Mari.
La donna doveva aver superato la quarantina di diverse lunghezze, ma non era tanto male. Le tette che spuntavano della maglia nera e scollata avevano chiaramente subito almeno un restauro, come anche la bocca, ma nel complesso il fisico reggeva abbastanza, i capelli erano quasi puliti e il trucco solo leggermente incrostato.
“Benvenuti,” disse la donna, con accento vagamente romano. “Vi serve una stanza oppure due?”
“Nessuna, temo, signora,” rispose Sensi, trafelato, estraendo il distintivo.
La donna alzò gli occhi al cielo. “Ancora? Ma che vi ho fatto di male?”
“Possiamo entrare?”
Lei si fece da parte di malavoglia. “Allora?”
L’interno non era un atrio, quanto piuttosto un corridoio. Le pareti gialline erano abbellite da fotografie erotiche di gusto non eccelso, ma non particolarmente rivelatrici. La luce era scarsa, ma sufficiente a vedere.
“Stiamo cercando questo tizio,” disse Sensi, tirando fuori la stampata con la fotografia.
La donna sembrò vagamente sollevata. Osservò l’immagine con la fronte aggrottata, prima di ridarla al commissario. “È il tizio che se n’è andato senza avvisare,” disse.
“Quando se n’è andato?”
“Questa mattina, verso le dieci. Ha preso la porta ed è sparito. Per fortuna aveva già pagato.” Poi aggrottò di nuovo le sopracciglia. “Perché lo cercate?”
“Preferisce non saperlo,” rispose Sensi. “La sua camera è già stata rifatta?”
Lei si strinse nelle spalle. “Macché, ne ho altre due libere. La volete vedere?”
Sensi e Mari si scambiarono un’occhiata.
“Ovvio,” disse Sensi, in tono noncurante. “Ci è già entrata?”
“Naa. Avevo da fare. È quella laggiù.”
Sensi non sembrava ansioso di perquisirla. “E c’è entrata prima? Prima che se ne andasse, dico, mentre… soggiornava.”
“Senti, belloccio, guarda che non sono nata ieri. Vuoi sapere se c’ho fatto qualcosa? No, non c’ho fatto niente. Era uno sulle sue.”
Sensi annuì, poi le girò attorno e si fermò davanti alla porta.
Era una porta normalissima, di legno marrone, con la chiave sulla serratura.
“E allora come sai che se n’è andato?” chiese, voltandosi nuovamente verso di lei.
“In che senso?”
“Se non sei entrata nella stanza e lui se n’è semplicemente andato stamattina, come fai a sapere che ha lasciato la camera?”
La donna sbuffò. “Perché se voleva restare un’altra notte mi doveva pagare stamattina. E non mi ha pagato.”
“Mh,” si limitò a dire Sensi. Poi posò una mano sopra alla porta e inclinò la testa da un lato.
“Mh,” disse, di nuovo.
Mari si spostò da un piede all’altro, a disagio. “Amico, mi si stanno rizzando i peli delle palle, si può sapere che cosa stai facendo?”
Sensi lo fissò per un istante con sguardo rosso e vuoto. “Shhh,” sussurrò.
Poi si piegò sopra la serratura e ci alitò sopra.
“Bella merda,” commentò.
“Hey, che fate?” interloquì la padrona, da dietro.
“Tesoro, vai a farti un giro in cucina, ok?” disse Sensi, senza voltarsi.
La donna si allontanò. “Se rompete la serratura me la ripagate,” li avvertì, mentre scompariva in un’altra stanza.
“Commissario?” chiamò Mari.
“Puoi chiamarmi Ermanno.”
“Uao, è fantastico, continuando così diventeremo amici del cuore… che cazzo stai facendo?”
Sensi sputò sopra alla serratura. Dal buco iniziò a uscire una sorta di nebbiolina giallastra.
“Ti avverto che potrei farmela nelle mutande da un momento all’altro,” lo informò Mari.
“Incontinenza rettale?” sogghignò l’altro.
“Questa me la paghi.”
Sensi sventolò la destra davanti alla serratura, disperdendo la nebbiolina. “Non preoccuparti. Non era niente di serio. Cervi è meno cazzuto di quanto credevo.” Fece girare la chiave e spalancò la porta.
Da dentro la stanza arrivò improvvisamente una folata di vento, seguita da un rumore simile a un ringhio.
Sensi fece un passo indietro. “O magari no,” commentò.
Poi sospirò. “Finisce sempre così.” Tirò fuori dalla tasca della giacca un temperino e si tagliò il palmo della mano appesa al collo.
“Adesso torna a cuccia, fuffi,” borbottò, tenendo la mano davanti a sé ed entrando nella stanza.
“Fuffi?” chiese Mari, che non sembrava intenzionato a seguirlo.
“Si fa per dire.”
Sensi accese la luce. La stanza era piccola e spoglia, e aveva un inconfondibile odore di sperma mescolato a qualcosa di più difficile da identificare, simile a incenso. Il letto singolo era sfatto, e in giro non c’era niente.
“Se n’è andato davvero, ma aveva paura che scoprissi dove stava. Per questo aveva lasciato qualcosa di guardia. Un guardiano fifone, ma forse non credeva che l’avrei trovato davvero.”
Mari si decise a entrare.
“Ermanno, io ho sentito qualcosa tipo un cane che ringhiava.”
Lui si voltò a guardarlo. “Se n’è andato anche lui, ora.”
Sospirò. “E noi non abbiamo niente come prima.”

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