sabato 8 agosto 2009

Correzioni per Side Readers

Ok, mi è stato segnalato che il pdf ricevuto dai Side readers era difettoso. Scusate tanto. Ho risolto il problema, se volete potete scaricare nuovamente il materiale allo stesso link.
Dio salvi l'Adobe.

venerdì 7 agosto 2009

Materiale Extra per Side Readers

Cari Side Readers,
il promesso materiale extra vi è arrivato sotto forma di un link in un messaggio personale o in una e-mail all'indirizzo del vostro profilo pubblico.
Ovviamente alcuni di voi, evidentemente amanti della privacy, hanno un profilo PRIVATO. Se avete un profilo privato lo prendo per un "non desidero essere contattato", per cui queste persone NON HANNO ricevuto alcun link (e comunque il sistema non mi consentirebbe di inviarlo comunque).
Se malgrado la vostra ritrosia desiderate comunque ricevere il materiale extra, siete pregati di contattarmi all' indirizzo srauleATgmailDOTcom: è sufficiente che scriviate nel campo dell'oggetto "Materiale Extra per Side Readers" e vi invierò il link.

Enjoy.

giovedì 6 agosto 2009

Mezza sega - 14

Sensi sapeva perfettamente che tutti i membri delle forze dell’ordine erano appositamente addestrati per la guida veloce, quel corso l’aveva fatto anche lui.
In caso di emergenza era in grado di curvare con il freno a mano e cazzate del genere, solo che aveva da tempo deciso che se l’avesse fatto poi l’emergenza sarebbe stata quella di salvarsi la vita.
Mari non sembrava pensarla allo stesso modo.
Le gomme dei suoi pneumatici stridevano orrendamente sull’asfalto di via Chiodo mentre toccava i centotrenta, frenava, curvava col freno a mano e ripartiva ancora più veloce, apparentemente senza accorgersi che avevano appena imboccato via Veneto in senso contrario.
A Sensi veniva da vomitare ed era in un bagno di sudore. Mai che ci fosse una pattuglia di vigili, quando serviva.
Mari inchiodò sopra un’aiuola di piazza Caduti per la Libertà, falciando l’erba come una mietitrebbiatrice, e scese dalla macchina.
Sensi, stordito, scese anche lui. Ebbe la tentazione di baciare il terreno, ma si trattenne.
Sotto il porticato c’erano un paio di tossici stesi a terra, ma per il resto sembrava deserto.
“Troppo tardi?” chiese Mari, guardandosi attorno.
“Forse è troppo presto. Forse siamo tornati indietro nel tempo,” replicò Sensi, la cui voce sarcastica era ancora indebolita dalla strizza.
Mari si voltò a guardarlo, visto che chiaramente non considerava il suo stile di guida un problema e non capiva come qualcun altro potesse farlo.
Il commissario era fermo accanto a una colonna. I neon dell’illuminazione stradale disegnavano la sua ombra, scura, sul pavimento di marmo.
Ma la sua ombra, al contrario del commissario, non era ferma.
Invece si stava allungando in avanti come se la luce alle sue spalle si muovesse (Mari guardò i lampioni – ovviamente erano fermi), con le braccia protese verso l’alto come se si stesse protendendo verso qualcosa (Mari guardò le braccia di Sensi – erano lungo i fianchi) ed era sempre giù grande e scura (Mari non aveva bisogno di guardare Sensi per sapere che non stava diventando più grosso).
“Non ancora,” mormorò Sensi.
E poi: “Sì, ora.”
L’ombra sembrò guizzare in avanti, con uno scatto da belva o forse da serpe. Le sue gambe rimanevano collegate ai piedi del commissario da un sottilissimo filo, ma l’ombra era svanita.
Sensi rimase fermo ancora per un istante, poi iniziò ad avanzare con calma nella direzione in cui l’ombra era svanita, perdendosi nell’altra zona d’ombra, questa immobile, della rientranza del palazzo.
“Nascosto come un coniglio, eh?” commentò, fermandosi una decina di metri poco più avanti.
“In trappola come una lepre,” rispose una voce acuta, dalla macchia di oscurità.
Ed era di questo che si trattava. Non la normale ombra del palazzo, ma una macchia d’oscurità che andava allargandosi, coi bordi simili a nebbia nera, strisciante.
“Sei un imbecille, Lorenzo. Eri un imbecille anche da ragazzo,” disse il commissario, calmo. Purtroppo Mari riusciva a vedere perfettamente le gocce di sudore sulla sua fronte.
In silenzio, tirò fuori la pistola.
“E tu sei un traditore!” gridò la voce acuta, dal buio in lenta, costante, espansione. “Avevamo giurato di servire il Maligno, allora e per sempre!”
Sensi ridacchiò. “Devi esserti distratto. Noi abbiamo giurato di farci servire dal Maligno. Allora e per sempre. Non ti accorgi di non essere solo, là al buio?”
E dall’oscurità provenne un grido.
La nebbia nera parve dissiparsi di colpo, lasciandosi dietro solo la normale ombra del palazzo, e un tizio vestito di scuro schizzò fuori, alla luce, correndo.
Era un trentenne dall’aspetto emaciato, cadaverico, che si guardava intorno con sguardo terrorizzato.
“Lo dicevo che era lui, capo,” si sentì dire.
Sensi si voltò e Mari si voltò con lui. Accanto alle colonne, semi-seduto, c’era Moreno, che probabilmente si era svegliato in quel momento dal suo sonno narcotico.
Lorenzo Cervi approfittò dell’attimo di distrazione dei due per darsi alla fuga con una prontezza di riflessi insospettabile in un rudere umano come lui. Schizzò verso il parcheggio a un capo della piazza e scomparve dietro un angolo del palazzo. Sensi alzò le mani e sembrò che la sua ombra fosse risucchiata dentro il suo corpo come acqua nello scarico di un lavandino.
Si mosse a sua volta verso il punto in cui era scomparso Lorenzo, correndo a lunghe falcate aggraziate che diventavano sempre più veloci.
Visto l’andazzo, Mari si gettò anche lui all’inseguimento, con la pistola in mano.
Avvistò Sensi che scompariva dietro un altro angolo, nella via dietro piazza Caduti per la Libertà. Arrivò all’incrocio trafelato e guardò a sinistra, dove avrebbe dovuto vedere i due che si rincorrevano.
Guardò anche a destra, e poi davanti a sé.
Del commissario e della sua preda (come altro chiamarla, a quel punto?) non c’era più traccia.
Mari aveva già visto Lorenzo Cervi scomparire nel nulla. Si chiese se anche Sensi sapesse fare lo stesso trucchetto.
Procedette con prudenza per qualche metro, cercando di vedere nelle ombre dei palazzi.
Non c’era niente.
Per un istante si chiese che cosa fare, poi l’istinto ebbe la meglio e l’istinto gli diceva che la sua auto era parcheggiata su un’aiuola con le portiere aperte. E che poi, certo, c’era un tossico da prendere a cazzotti.
Tornò indietro a passo veloce.
Il parcheggio della piazza era deserto, illuminato dai lampioni. Il porticato gli era nascosto da un angolo del palazzo.
Prese il cellulare e chiamò rinforzi. Ovviamente non poteva chiedere che si portassero dietro anche un prete esorcista senza fare la figura del coglione, ma la cosa lo avrebbe fatto stare meglio.
Poi, da dietro l’angolo, provenne un altro grido.
Mari galoppò da quella parte e andò praticamente a sbattere contro Moreno il Tossico, che stava scappando nel senso opposto.
Moreno lo prese per le maniche del giubbotto. Piangeva e tremava.
“N-n-non andare… è… è orribile…”
“Ma che cazzo dici?” gridò Mari, cercando di scollarselo di dosso.
L’altro iniziò a tremare ancora più forte e a battere i denti.
“Un’allucinazione…” borbottò. “Una cazzo di allucinazione… devo smetterla con la roba… No! Non andare!”
Mari gli mollò un ceffone che avrebbe mandato in letargo un orso polare e gli girò attorno. Moreno il Tossico, tramortito, collassò per terra.
Poi Mari sentì un altro grido e due colpi di pistola sparati in successione.
Sul rumore della pistola non poteva sbagliarsi: era una Beretta calibro 9 come la sua.
Corse attorno all’angolo, verso il porticato.
Corse fino a Sensi e a Cervi, entrambi a terra.
Cervi era sdraiato sulla schiena, con le braccia e le gambe aperte. Sotto di lui si stava allargando una macchia di sangue, i cui confini iniziavano a lambire una pistola dall’aspetto elegante e leggero, abbandonata sulla pavimentazione di marmo.
Sensi era inginocchiato accanto al corpo, piegato su se stesso, e stringeva ancora in un pugno la pistola d’ordinanza.
Mari si avvicinò. Non c’era bisogno di ascoltare il battito sul collo di Cervi per essere sicuri che era morto.
“Ermanno,” mormorò.
L’altro sollevò su di lui uno sguardo perduto, senza alzarsi. “Ha provato a spararmi con la mia pistola da gara…” disse, debolmente.
“lo vedo,” annuì Mari.
La Les Baer era vicina alla mano destra del cadavere, e ormai era stata raggiunta dal sangue che proveniva dai due fori sul petto di Cervi o, più precisamente, dai fori d’uscita molto più grandi che doveva avere sulla schiena.
Non che avesse importanza. Era chiaro che il commissario l’aveva centrato al cuore, due volte.
“Alzati, forza,” disse, prendendolo per un’ascella.
Sensi era leggero e sollevarlo non gli costò nessuno sforzo. Tenerlo in piedi era più complicato.
“Adesso Salvemini sarà contento,” sussurrò lui, con voce spenta.
Mari gli spostò i capelli dalla faccia. In lontananza iniziavano a sentirsi delle sirene. Molte sirene.
“Non avevi mai ucciso nessuno,” disse, in tono morbido.
“Non proprio,” ammise l’altro.
Poi iniziò a piangere.
Piangeva e singhiozzava come un bambino e Mari lo circondò con le braccia.
Una pattuglia dei carabinieri si fermò alle loro spalle, con la sirena accesa. Poi se ne fermò un’altra.
Una donna si sporse dalla finestra di un palazzo vicino per guardare la scena.
Gli uomini iniziarono a scendere dalle macchine, gridandosi ordini.
Mari tenne Sensi stretto contro il suo petto.
Continuava a piangere.

FINE

mercoledì 5 agosto 2009

Mezza sega - 13

Avevano guardato un trucido film d’azione alla tv (scelto da Mari). Avevano bevuto altra birra (Sensi aveva scoperto che era un ottimo anestetico per la spalla). Mari gli aveva esposto una sua non-illuminate teoria sui sessi. Si erano lamentati in lungo e in largo, toccando punte di patetismo.
Sensi si era addormentato sul divano e Mari l’aveva portato a letto, aveva meditato brevemente di infilarsi dentro insieme a lui e aveva rinunciato. Sensi non era una conquista alla sua altezza. Andarci a letto sarebbe stato semplicissimo, averci una relazione difficilissimo, scollarselo dal cervello impossibile.
Inoltre era piuttosto chiaro che il commissario era innamorato dalla dominicana gambe-lunghe, anche se ovviamente non se ne rendeva conto.
In effetti era uno sfigato, decise, andandosi a sdraiare sul divano.
Lo risvegliò una musichetta ingannevolmente allegra, decisamente inquietante, che proveniva dalla giacca del commissario.
Frugò nelle tasche fino a trovare un piccolo cellulare lucido e rosso, che vibrava come un forsennato.
“Ermanno!” gridò. Il numero che compariva sul display chiaramente non era in rubrica, perché non era associato a nessun nome.
Il commissario emise un verso gutturale.
“Il cellulare!” disse Mari, mollandogli il telefono in mano.
Sensi aprì il guscetto, ancora con gli occhi chiusi, e se lo portò a un orecchio. Ascoltò per qualche secondo con la fronte aggrottata, poi aprì gli occhi di scatto e saltò letteralmente giù dal letto.
Recuperò il cellulare e se lo infilò nella tasca dei jeans.
“Era Moreno,” annunciò, iniziando a cercare una felpa o qualcos’altro da mettersi. Alla fine acchiappò una maglietta a maniche lunghe degli Antiworld e se la infilò senza starci a pensare. Il buco sulla sua spalla sinistra non ne fu affatto contento.
Mari tornò in sala e iniziò a rimettersi le scarpe da ginnastica. “Ha visto Cervi?”
“Era al porticato proprio adesso. Sta cercando del metadone.”
“Cristo, sbrigati con quei cazzo di anfibi!”
Sensi si sbrigò, recuperò il giubbotto e si lanciò giù dalle scale dietro al brigadiere.
Non fu sorpreso di scoprire che l’altro aveva lasciato la sua Golf da tamarro sopra l’angolo di un marciapiede, vicinissima a casa sua, mentre fu stupito di constatare che non c’era sopra neanche una multa.
“Perché se io lascio la jeep in divieto per cinque minuti mi beccano subito e tu puoi lasciare la tarro-mobile su un marciapiede per tutta la notte senza conseguenze?” si lamentò, salendo a bordo.
“I vigili la conoscono,” sogghignò Mari, mettendo in moto e schizzando via in un unico gesto. “E conoscono anche me.”

Mezza sega - 12

Il giro degli altri alberghi era stato infruttuoso. Era probabile che Cervi si fosse nascosto da qualche altra parte, chissà dove, magari fuori Spezia.
Sensi, scoglionato, se ne andò a casa verso le cinque, si sdraiò sul letto e mise sul piatto Pornography, che ci stava sempre bene. Un giardino degli impiccati, in quel momento, non gli sembrava male. Se poi uno degli impiccati fosse stato Cervi sarebbe stato ancora meglio.
Dopo i Cure ascoltò Into the Labyrinth dei Dead Can Dance e Simphonia Sine Nomine degli Ataraxia. Per la serie: verso la depressione più nera.
Mari lo chiamò verso le sette e mezza.
“Stasera dormo da te,” disse, a titolo puramente informativo.
“Senza offesa, ma stavo giusto pensando di implorare Carmel di farlo lei, e Carmel ha un culo più bello del tuo.”
L’altro sbuffò. “Non hai capito: il mio ragazzo mi ha sbattuto fuori di casa. Non so dove andare.”
“Potresti sempre prendere una stanza da camere e spaccio.”
“Sì, certo, potrei anche portarmi due crocchette per Fuffi. Grazie tante per l’ospitalità, eh? Ricordami di mirare meglio, la prossima volta.”
Sensi guardò il soffitto per qualche istante. Non che Carmel si sarebbe fatta commuovere, d’altronde.
“Va be’. Vieni, dai. Ma dormi sul divano, è chiaro,” acconsentì, alla fine.
Mari arrivò con una velocità sospetta. Proprio come se avesse chiamato da sotto casa di Sensi, in effetti.
Il commissario andò ad aprirgli scalzo e con una birra in mano.
“Ma devi aiutarmi di nuovo con la fasciatura,” disse. “E niente lingua in bocca.”
L’altro alzò gli occhi al cielo, prese la birra e gli passò accanto. Mollò la giacca sul mobile bar e si andò a sedere sul divano. Aveva gli occhi iniettati di sangue.
“Fondamentalmente Marco si è rotto le palle del fatto che non contribuisco alla vita domestica,” iniziò a lamentarsi.
“Significa che sei un taccagno?” chiese Sensi, andandosi ad aprire un’altra birra.
“Significa che non lo accompagno a fare la spesa, non gli compro cazzate e non sono mai andato all’ufficio postale insieme a lui.”
Sensi si stravaccò sul divano. “Sembra quello che farei anch’io.”
“È quello che farebbe qualsiasi persona di buon senso,” si lamentò Mari. “E con questo non voglio dire che tu sia una persona di buon senso. In più scopo un po’ in giro,” ammise.
“Se non fossi un brigadiere dei carabinieri saresti la mia anima gemella. Certo, nessuno, poi, farebbe la spesa e pagherebbe le bollette. Ma per quest’ultima cosa ti do una dritta: home banking.”
“E per la spesa?”
“E che cosa ne so, io? L’hai visto il mio frigo?”
“Comunque,” scrollò le spalle l’altro. “Gli passerà. Forza, spogliati.”
“Così? Senza nemmeno un preliminare?”
Mari sogghignò. “L’hai detto tu niente lingua in bocca.”
Sensi sembrò abbattuto. “È che alzare questo cazzo di braccio mi fa male.”
“E io non ho ancora dimenticato la battuta sull’incontinenza rettale.”
Il commissario, rassegnato, iniziò a sfilarsi la felpa. Alla sera, gli sembrava, spalla e braccio stavano peggio che mai.
Mari andò a recuperare bende e betadine e iniziò una meticolosa operazione di disinfezione e riavvolgimento.
“E poi dice che sono troppo macho,” finì per confessare il brigadiere, mentre l’altro gli dava le spalle.
“Su questo ha ragione. Mi spingerei a dire che sei proprio tamarro.”
“Marco si stira i blue jeans.”
“Marco probabilmente ha subito dei traumi nell’infanzia.”
“Be’, questo è ovvio: è finocchio.”
Sensi ridacchiò. “Anch’io ho subito dei traumi nell’infanzia, ma come vedi non lo piglio nel culo.”
L’altro inarcò le sopracciglia. “Sicuro-sicuro?”
“Sicurissimo. Voglio dire, me ne ricorderei.” Si grattò la testa. “Ok, o forse no. Ma me ne sarei accorto il giorno dopo.”
“A meno di non essere stato incredibilmente sfortunato e aver trovato un tizio con il cazzo grande quanto un pinolo.”
“Mh, vedo che la conversazione vira sul colto.”
Mari finì di fermargli la bendatura e riprese la sua birra. “Comunque non poteva finire bene. L’ho conosciuto beccando il tizio che gli aveva appena fregato il portafoglio. Come fa uno a farsi fregare il portafoglio e poi rimanere lì, imbambolato, a guardare il ladro che scappa?”
“Non so. Forse il ladro aveva un bel culo.”
“Per essere un etero ti prendi un sacco di libertà.”
Sensi gli lanciò un’occhiataccia. “Ti informo che sei il primo della tua razza a essere invitato a dormire a casa mia, tienine conto.”
L’altro rise. “Il primo gay?”
“Il primo fottuto brigadiere dei carabinieri.”
Mari sorrise. “Quindi di gay ne hai invitati a bizzeffe.”
Sensi stranamente, non sembrò divertito. Anzi, Mari avrebbe giurato che era un po’ malinconico.
“Un mio carissimo amico, era gay,” disse, lentamente.
“È morto?”
“No.”
“Allora non è più un tuo carissimo amico?”
“Non lo so. È un sacco che non lo sento, se si esclude l’informazione indiretta che mi ha mandato. Su Lorenzo.”
L’altro lo fissò per qualche istante. “Sembra una storia interessante,” disse, poi.
“Non la è. Ci sono sbirri e giudici che si accaniscono contro un innocente. Ovviamente non la può essere, no?”
“Troppo comune?”
Sensi andò a prendersi un’altra birra. “Già. Comunque non l’ho più sentito. Gli ho mandato roba. Libri. Questo più o meno è tutto.”
“E lui era innamorato di te?”
Sensi gli fece l’occhiolino. “Chi non si innamorerebbe di me?”

martedì 4 agosto 2009

Mezza sega - 11

Spezia, aveva scoperto il commissario con orrore, pullulava di alberghetti da due soldi.
Lui e Mari ne avevano già battuti una decina, fotografia di Cervi alla mano, appurando soltanto che essere un turista squattrinato, a Spezia come nel resto del mondo, non era un affare conveniente.
“Quella storia del subutex non mi torna,” disse Mari, mentre sfrecciava a velocità da ritiro della patente verso il bed and breakfast che era il prossimo della lista.
“Già. Buprenorfina e eroina notoriamente non vanno d’accordo. Perché un tossico vorrebbe qualcosa che inibisce l’effetto di quello che si inietta?”
Mari inchiodò sopra un marciapiede e scese dalla macchina.
“Forse gli serve per qualcos’altro. Forse è il solo calmante un po’ forte che sa come trovare.”
“Ci stavo pensando anch’io, prima che il mio stomaco rotolasse fuori dalla mia bocca.”
Il brigadiere sogghignò. “Mammoletta.”
“Quello che lo prende nel culo veramente sei tu.”
L’altro gli lanciò un’occhiata adombrata. “Omofobia, il male del ventunesimo secolo.”
“Machismo, il male di tutti i secoli conosciuti.”
Il b&b che stavano cercando aveva un’insegna scolorita attaccata accanto alla pulsantiera del citofono, in una stradina perpendicolare a via XXIV Maggio, a un tiro di schioppo dal SerT. Il nome “Affittacamere Il Pagliaccio“ aveva perso più di una lettera e qualcuno ne aveva aggiunte un po’ a pennarello. Adesso, così, diceva: fit camere e spaccio.
“Sembra incoraggiante,” commentò Mari, suonando il campanello.
Prima che qualcuno rispondesse passarono vari minuti, ma alla fine una voce femminile li invitò a salire.
“Se è una puttana parlaci tu,” disse Mari, mentre si arrampicavano su per le scale vagamente scrostate. La pensione era al terzo piano e sulla porta c’era una tristissima immagine di un clown. Subito dietro la porta, invece, c’era la puttana paventata da Mari.
La donna doveva aver superato la quarantina di diverse lunghezze, ma non era tanto male. Le tette che spuntavano della maglia nera e scollata avevano chiaramente subito almeno un restauro, come anche la bocca, ma nel complesso il fisico reggeva abbastanza, i capelli erano quasi puliti e il trucco solo leggermente incrostato.
“Benvenuti,” disse la donna, con accento vagamente romano. “Vi serve una stanza oppure due?”
“Nessuna, temo, signora,” rispose Sensi, trafelato, estraendo il distintivo.
La donna alzò gli occhi al cielo. “Ancora? Ma che vi ho fatto di male?”
“Possiamo entrare?”
Lei si fece da parte di malavoglia. “Allora?”
L’interno non era un atrio, quanto piuttosto un corridoio. Le pareti gialline erano abbellite da fotografie erotiche di gusto non eccelso, ma non particolarmente rivelatrici. La luce era scarsa, ma sufficiente a vedere.
“Stiamo cercando questo tizio,” disse Sensi, tirando fuori la stampata con la fotografia.
La donna sembrò vagamente sollevata. Osservò l’immagine con la fronte aggrottata, prima di ridarla al commissario. “È il tizio che se n’è andato senza avvisare,” disse.
“Quando se n’è andato?”
“Questa mattina, verso le dieci. Ha preso la porta ed è sparito. Per fortuna aveva già pagato.” Poi aggrottò di nuovo le sopracciglia. “Perché lo cercate?”
“Preferisce non saperlo,” rispose Sensi. “La sua camera è già stata rifatta?”
Lei si strinse nelle spalle. “Macché, ne ho altre due libere. La volete vedere?”
Sensi e Mari si scambiarono un’occhiata.
“Ovvio,” disse Sensi, in tono noncurante. “Ci è già entrata?”
“Naa. Avevo da fare. È quella laggiù.”
Sensi non sembrava ansioso di perquisirla. “E c’è entrata prima? Prima che se ne andasse, dico, mentre… soggiornava.”
“Senti, belloccio, guarda che non sono nata ieri. Vuoi sapere se c’ho fatto qualcosa? No, non c’ho fatto niente. Era uno sulle sue.”
Sensi annuì, poi le girò attorno e si fermò davanti alla porta.
Era una porta normalissima, di legno marrone, con la chiave sulla serratura.
“E allora come sai che se n’è andato?” chiese, voltandosi nuovamente verso di lei.
“In che senso?”
“Se non sei entrata nella stanza e lui se n’è semplicemente andato stamattina, come fai a sapere che ha lasciato la camera?”
La donna sbuffò. “Perché se voleva restare un’altra notte mi doveva pagare stamattina. E non mi ha pagato.”
“Mh,” si limitò a dire Sensi. Poi posò una mano sopra alla porta e inclinò la testa da un lato.
“Mh,” disse, di nuovo.
Mari si spostò da un piede all’altro, a disagio. “Amico, mi si stanno rizzando i peli delle palle, si può sapere che cosa stai facendo?”
Sensi lo fissò per un istante con sguardo rosso e vuoto. “Shhh,” sussurrò.
Poi si piegò sopra la serratura e ci alitò sopra.
“Bella merda,” commentò.
“Hey, che fate?” interloquì la padrona, da dietro.
“Tesoro, vai a farti un giro in cucina, ok?” disse Sensi, senza voltarsi.
La donna si allontanò. “Se rompete la serratura me la ripagate,” li avvertì, mentre scompariva in un’altra stanza.
“Commissario?” chiamò Mari.
“Puoi chiamarmi Ermanno.”
“Uao, è fantastico, continuando così diventeremo amici del cuore… che cazzo stai facendo?”
Sensi sputò sopra alla serratura. Dal buco iniziò a uscire una sorta di nebbiolina giallastra.
“Ti avverto che potrei farmela nelle mutande da un momento all’altro,” lo informò Mari.
“Incontinenza rettale?” sogghignò l’altro.
“Questa me la paghi.”
Sensi sventolò la destra davanti alla serratura, disperdendo la nebbiolina. “Non preoccuparti. Non era niente di serio. Cervi è meno cazzuto di quanto credevo.” Fece girare la chiave e spalancò la porta.
Da dentro la stanza arrivò improvvisamente una folata di vento, seguita da un rumore simile a un ringhio.
Sensi fece un passo indietro. “O magari no,” commentò.
Poi sospirò. “Finisce sempre così.” Tirò fuori dalla tasca della giacca un temperino e si tagliò il palmo della mano appesa al collo.
“Adesso torna a cuccia, fuffi,” borbottò, tenendo la mano davanti a sé ed entrando nella stanza.
“Fuffi?” chiese Mari, che non sembrava intenzionato a seguirlo.
“Si fa per dire.”
Sensi accese la luce. La stanza era piccola e spoglia, e aveva un inconfondibile odore di sperma mescolato a qualcosa di più difficile da identificare, simile a incenso. Il letto singolo era sfatto, e in giro non c’era niente.
“Se n’è andato davvero, ma aveva paura che scoprissi dove stava. Per questo aveva lasciato qualcosa di guardia. Un guardiano fifone, ma forse non credeva che l’avrei trovato davvero.”
Mari si decise a entrare.
“Ermanno, io ho sentito qualcosa tipo un cane che ringhiava.”
Lui si voltò a guardarlo. “Se n’è andato anche lui, ora.”
Sospirò. “E noi non abbiamo niente come prima.”

Mezza sega - 10

L’ispettrice Rosanna Riu non si aspettava di vedere Sensi in questura almeno per qualche giorno, cosa che, doveva ammettere, le faceva un certo piacere. Anche che gli avessero sparato non le dispiaceva in modo particolare.
La sala della mobile, senza Sensi, era tranquilla. La mancanza della loro divinità oscura perennemente imbronciata rendeva tutti più rilassati e riflessivi. Forse anche un po’ troppo rilassati, questo era vero, ma era anche vero che di solito Sensi non era proprio un flagellatore dei nullafacenti, visto che era il nullafacente numero uno.
La Riu era quindi tranquillamente occupata nelle sue scartoffie quotidiane, quando notò un movimento sospetto fuori da suo ufficio.
Sensi era appena entrato nell’open space, tallonato dal suo nuovo amichetto, niente meno che il tizio dall’aspetto equivoco che gli aveva sparato.
“Buongiorno, ispettrice,” disse il commissario, infilando la testa dentro al suo ufficio. “Mainardi dov’è?”
La Riu sospirò. “Pausa caffè. Da mezz’ora.”
“Be’, lo chiami e gli riferisca che la sua pausa caffè è finita, e gli dica anche che il caffè fa male alle arterie.”
“Glielo dico già tutti i giorni,” replicò l’ispettrice, sollevando la cornetta del telefono.
“Non avevo dubbi. Ma gli dica che le sue arterie staranno peggio se non si materializza nel mio ufficio entro 15 secondi.”
Sensi ritrasse la testa e sparì.
Mainardi ricevette una telefonata allarmata dall’ispettrice proprio mentre stava pensando di farsi un giretto fino al bar all’angolo, insieme al suo fido compare l’agente Orsini.
Mollò immediatamente Orsini e si catapultò verso l’ascensore. Quando il capo diventava sarcastico per interposta persona non c’era tempo da perdere.
Sensi era seduto dietro la sua scrivania, mentre il colossale brigadiere che gli aveva sparato c’era seduto sopra. Un foglio stava uscendo dalla stampante.
“Questo tizio,” disse il capo, prendendo il foglio e allungandoglielo, “è ricercato. Fallo trasmettere a tutti gli agenti.”
“Per cosa è ricercato, capo?” chiese Mainardi, osservando il viso pallido e insignificante che campeggiava sul foglio.
“Per essersi fregato il mio lettore mp3, ma questo non lo diremo. Diremo, invece, che è armato e pericoloso.”
Mainardi sogghignò, senso che ci era cascato. Per motivare un mascalzone non c’era di meglio che fargli credere che stava facendo una mascalzonata.
“Inoltre mi serve l’elenco completo degli alberghi a una o due stelle e delle pensioni, b&b, ecc. nell’area tra via Chiodo, corso Nazionale e il mare. Fino all’altezza del centro Kennedy.”
“Sì, capo.”
Sensi guardò Mari, che annuì.
“Ti aspetto qua,” disse.

lunedì 3 agosto 2009

It's coming

Mezza sega - 9

Dopo il pranzetto Mari se lo caricò sulla sua tamarrissima Golf gtd nera in assetto sportivo con tanto di tribali simili a fiammate rosse appiccicati sulle portiere.
“Spero solo che non mi veda nessuno su questa macchina,” commentò Sensi. “Forse era preferibile essere andato a letto con un brigadiere dei carabinieri. Era meno vergognoso.”
Mari sogghignò. “E comunque mi hai baciato appassionatamente.”
“Menti. Io non bacio appassionatamente. Mai. Bacio lubricamente, teneramente o categoricamente. Quando mi appassiono sono già almeno alle mutande.”
“Diciamo che mi hai baciato sonnambulicamente, allora.”
“Così va meglio. Adesso dimmi un po’, dove stiamo andando?”
Mari mise in moto e il motore emise una sorta di ronfo sonoro che gridava ai quattro venti “sono proprietà di un coatto”.
“In piazza Saint Bon, ovviamente.”
“In piazza Caduti per la Libertà, vuoi dire.”
Mari si voltò verso di lui, scansò un pedone per pochi millimetri e fece disinvoltamente inversione sopra l’attraversamento pedonale di viale Italia. Un paio di clacson si levarono in segno di protesta, ma Mari se li lasciò alle spalle rombando.
“Vediamo se l’ho capita giusta,” disse, sorpassando sulla destra un’attonita cinquecento. “Tu pensi che Cervi, per prima cosa, abbia cercato del metadone.”
“Be’, lui non è di Spezia. Le vicinanze della stazione sono un posto abbastanza ovvio se vuoi comprare dell’eroina, ma se vuoi prima parlare con dei tossici per sapere come non farti fregare non c’è niente di meglio dei dintorni di un SerT. Che, oltretutto, ha un indirizzo pubblico.”
Mari grugnì svoltò in via San Cipriano attraversando due corsie di macchine. I guidatori restarono così allibiti che non osarono neanche strombettare.
Davanti a loro c’era la massa verdeggiante dell’ospedale Sant’Andrea e del suo parco. Il SerT, in realtà, era in una viuzza alle loro spalle, ma per qualche ragione i tossici istituzionali avevano eletto a dimora il parchetto di fronte all’ospedale e, specialmente il colonnato che lo chiudeva da un lato.
Mari fece il giro e lasciò la macchina praticamente sopra a un’aiuola.
“Mi raccomando, cerchiamo di non farci notare,” disse Sensi, sarcastico, mentre scendeva.
“Io credo che il tuo ex-amico sappia già che lo stai cercando, chiappe secche,” rispose Mari, imperturbabile. Sensi, che continuava ad avere ben presente che il brigadiere era due volte più grosso di lui e aveva anche il grilletto facile, evitò di commentare l’ultimo “chiappe secche”.
Sotto al porticato stazionavano un certo numero di tizi male in arnese.
Un paio se la filarono discretamente, gli altri o erano troppo fatti per preoccuparsi o erano troppo fatti per rendersi conto che la Legge incombeva su di loro. Forse anche perché la legge aveva le sembianze di un gotico con un braccio al collo e di un enorme teppista tatuato.
“Guarda chi si vede,” disse Sensi, avvicinandosi al gruppetto lento di riflessi, “Moreno il Tossico.”
Il diretto interessato era uno spilungone magrissimo, giallognolo e dai capelli unti.
Una volta Sensi l’aveva salvato da un’overdose, quindi sarebbe stato logico aspettarsi che almeno si ricordasse di lui. Non avvenne immediatamente, ma dopo qualche secondo Moreno lo mise a fuoco e gli rivolse un sorriso colpevole.
“Commissario,” mormorò.
I suoi compari erano un tizio basso, cicciotto e dall’aria demente e una donna dalla bizzarra configurazione corporea e dai capelli rossi dalla lunga ricrescita nera. La bizzarra configurazione corporea della donna si riassumeva in gambe e braccia magrissime, ventre grasso e faccia gonfia.
“Non eri in comunità?” chiese Sensi, che non era per niente stupito di vedere che Moreno era ancora in circolazione.
L’espressione colpevole dell’altro si intensificò. “Sai com’è,” borbottò.
“Cazzi tuoi. Ho alcune domande per te e per i tuoi amici. Tra l’altro: questo è il brigadiere Mari, gli piace sparare agli innocenti.”
“Ma anche se non sono innocenti non fa niente,” aggiunse l’altro, compito.
Moreno e gli altri due lo soppesarono per qualche istante.
“Ma certo, chiedi pure,” tentò di sorridere lui, alla fine dell’esame. Non che ci fosse molto da esaminare: che Mari era un figlio di puttana grande e grosso si capiva al primo sguardo.
“Può darsi che ieri o ieri l’altro sia capitato qua un tizio nuovo. Non spezzino. Una mezza sega coi capelli neri, corti, la faccia pallida e gli occhi scuri.”
Moreno sembrò assorto, invece la tizia dalla buffa configurazione corporea lanciò un’occhiata al terzo tizio e si infilò le mani in tasca.
“Forse la signora ha qualche notizia per noi,” commentò Mari, con voce aggressiva.
Sensi si voltò verso la donna e sorrise. “Sì?”
Lei ondeggiò un po’, spostando il peso da un piede all’altro.
“Forse è il tipo che è passato ieri l’altro. No, Ciccio?”
Ciccio sembrava lobotomizzato di fresco, ma fece un cenno d’assenso.
“Era nuovo. Cioè: io non lo so chi era.”
“Eccellente. Che cosa voleva?”
La donna iniziò a guardarsi intorno, infelice.
“Il commissario è uno a posto,” disse Moreno, col servilismo tipico di chi non vuole essere arrestato di nuovo.
“Be’, voleva sapere se per caso non avevamo del metadone. O della bu… bupro… del subutex,” concluse la donna, abbandonando ogni velleità di sembrare colta.
“Buprenorfina,” concluse Sensi. “Perché?”
Lei aprì le mani.
“Che cosa gli avete venduto?” chiese, allora, Sensi.
“Noi niente,” fu la risposta-lampo dell’altra.
Mari alzò un sopracciglio.
“Un tizio…” corresse il tiro la donna “…gli ha dato del metadone. Lui voleva sapere dove trovare della roba.”
“E voi gli avete detto in piazza Brin.”
Lei fece un sorrisino innocente. “Be’, lo sanno tutti.”
“Vi ha parlato di sé? Vi ha raccontato qualcosa di lui?”
“Capo, che cosa ha fatto questo tizio?” interruppe Moreno. Sensi gli lanciò una lunga occhiata. Era più giallo e più magro di come lo ricordasse. Si chiese dove fosse – e con chi fosse – suo figlio.
“È un maniaco pericoloso,” rispose. “Allora, vi ha detto qualcosa?”
La donna iniziò a grattarsi un braccio.
“Forse… mi sa che si è lamentato del suo albergo. Tu ti ricordi qual’era, Ciccio?”
Il tizio con l’aria da demente scosse la testa.
“Forse ti ricordi la zona?” tentò Sensi.
“Mah… da queste parti.”
Mari fece un passo avanti. Se il porticato non fosse già stato in ombra avrebbe coperto il sole. “Che cosa significa da queste parti? Da queste parti tipo in città o da queste parti tipo in questa zona?”
La donna indietreggiò. “In questa zona. Credo. Hey, io non lo so, ok?”
Mari lanciò un’occhiata a Sensi, che inclinò la testa da un lato, pensieroso.
“Pennarello,” disse, alla fine.
Mari lo guardò con espressione stralunata. “Vuoi un pennarello?”
Sensi sorrise. “Sì, ce l’hai?”
“No, per chi cazzo mi prendi, una cartoleria? Forse ho una bic.”
“Dammi una bic, allora,” sospirò Sensi. “Ma un pennarello indelebile sarebbe stato meglio.”
Moreno alzò una mano. “Io ce l’ho,” disse.
Mari aggrottò le sopracciglia. “E che cazzo te ne fai di un pennarello indelebile?”
Moreno fece un passo indietro. “S-sono un muratore,” tartagliò.
“Dammi quel pennarello,” tagliò corto Sensi. “Sollevatevi tutti una manica.”
Moreno gli allungò un Tratto Marker nero, poi, docile, si tirò su una manica della camicia.
“Meglio il destro, qua non c’è spazio,” disse Sensi.
Moreno si tirò su anche l’altra manica. Il braccio destro era meno bucherellato del sinistro, per l’ovvio motivo che Moreno era destrimane, e Sensi ci scrisse sopra un numero di telefono con il pennarello indelebile.
“Prossimo,” disse.
La donna, vedendo che non era niente di pericoloso, si sollevò a sua volta una manica. Sensi scrisse il numero anche su di lei. Poi ripeté l’operazione con il terzo tossico.
“Quello è il mio numero di cellulare,” spiegò il commissario, restituendo il pennarello a Moreno. “Lo scriverete sul braccio di tutti quelli che incontrate e non lo userete per stupidi scherzi telefonici. Mi chiamerete solo se vedete il tizio di cui abbiamo parlato, e poi ve la darete a gambe. Avete capito?”
“Tranquillo, capo,” disse Moreno. Gli altri due annuirono.
“Avete capito anche che è pericoloso?”
Moreno si ricoprì le braccia e fece un cenno d’assenso.
Il tizio dal calzante soprannome di Ciccio stava cercando di allontanarsi a passo di gambero e Mari lo riacchiappò per la camicia.
“E sono pericoloso anch’io, tanto per la cronaca,” lo informò.
Ciccio sembrò completamente convinto.

domenica 2 agosto 2009

Mezza sega - 8

Per i gusti di Sensi il sole era troppo brillante, l’aria troppo salmastra e il ristorante, composto da una serie di tavolini all’aperto e da una zona coperta con cucine e bancone al quale ritirare i piatti, troppo affollato.
La coda per arrivare al cibo – frittura, muscoli, gamberi, fauna ittica varia – era lunga oltre dieci metri.
Sensi sospirò, sconsolato, e fece per andarsi a incolonnare con il resto dell’umanità vociante.
Un brigadiere dei carabinieri, Cristo Santissimo.
“Ti ho preso della frittura, la coda era disumana,” gli giunse una voce conosciuta, alle spalle.
Sensi si voltò lentamente. Mari era in piedi accanto a un tavolino di metallo, sul quale, magicamente, c’erano già due piatti pieni e un cestino del pane, insieme a una bottiglia da un litro di vino bianco.
Forse era un pic-nik, pensò Sensi, sorridendo poco convinto.
Perché cazzo non era andato con un trans? Tutte le persone normali andavano a trans. Il questore era sicuramente un aficionado. Proprio con un brigadiere dei carabinieri?
“Ehy, grazie,” disse, e trotterellò verso il tavolo. “Quelli sono… mh…”
“Totani. E quelle acciughe. E quelli, se te lo stai chiedendo, gamberetti fritti.” Mari sogghignò. “Ma tu ovviamente non mangi pesce.”
Sensi si sedette. “Io mangio tutto, dal gulasch alla pizza cruda.”
L’altro iniziò a sezionare un gamberone con abilità scientifica. Aveva la solita testa rapata, i soliti piercing, i soliti occhi da pazzo e il solito tatuaggio che spuntava dal collo. In compenso aveva un maglione a coste blu che lo faceva sembrare un delinquente di una certa classe.
Purtroppo continuava a essere un brigadiere dei carabinieri.
“Questa mattina ho fatto un giro dai miei confidenti,” disse il brigadiere dei carabinieri, con la bocca piena. “Se mi avessi dato una descrizione del Cervi sarebbe stato più facile, ma forse qualcuno l’ha visto in giro. Non posso essere certo che fosse lui, ma se lo è si è comprato dell’ero in piazza Brin.”
Sensi addentò prudentemente un’acciuga. Era niente male.
“Ci sta,” disse. “Quand’era un ragazzino preferiva gli allucinogeni, ma…”
“Non si trovano facilmente, di questi tempi. Paste, sì. Trip, pochi.”
“Stessa cosa anche in prigione. L’eroina si trova sempre, e costa meno.”
Mari stappò il vino e ne versò un po’ per sé e un po’ per il commissario. “O forse preferisci dell’acqua?”
Sensi scosse la testa.
Ingollò un po’ di vino.
Appoggiò il bicchiere.
Poi lo riprese e se lo scolò tutto.
“Senti, dovrei farti una domanda.”
Mari lo fissò in silenzio, tranquillo.
“Non prenderla per il verso sbagliato. Voglio dire: non spararmi di nuovo.”
Mari sorrise appena.
“È che proprio non mi ricordo se abbiamo scopato.”
Il sorriso di Mari si intensificò. “Davvero non te lo ricordi?”
“Senti, avevo la febbre, mica stavo bene… voglio dire: non mi ricordo niente. Se fosse entrato un ladro e mi avesse rubato la collezione di dischi non mi ricorderei neanche di quello.”
“Sì, be’, non è la stessa cosa.”
Mari aveva assunto un certo cipiglio e Sensi iniziò a elaborare una strategia alternativa a quella della febbre. Poteva asserire di essere un sonnambulo? Un epilettico?
Aprì le mani e tentò con il suo miglior sorriso disarmante. “Mi ricordo solo che mi hai baciato e poi più niente. Che cosa posso farci?”
“Ah,” si limitò a dire Mari.
Sensi pensò che fosse il momento perfetto per versarsi un altro po’ di vino.
“E ti è già successo altre volte?” si informò il brigadiere. A Sensi sembrava che iniziasse a incazzarsi. L’ultima volta che si era incazzato gli aveva sparato.
“Hem,” cercò di non sbilanciarsi. Non era sicuro se fosse meglio ammettere di sì, o sostenere che, no, ci mancherebbe, non gli era mai capitato niente del genere: la sera prima aveva la febbre.
“Cristo, ti è già capitato di scopare con qualcuno e poi non ricordartelo!” esclamò Mari, scandalizzato.
“Ma non tante volte,” provò a difendersi Sensi. “Dai, non ti arrabbiare. Mica posso ricordarmi di tutt- cioè: mi dispiace un casino, ma proprio non ricordo. Ero in coma. Sono praticamente sicuro che era comunque una cosa da dimenticare.”
“Hai anche il cazzo piccolo,” convenne l’altro.
“Be’, adesso, piccolo…”
“E problemi erettili.”
“Ecco, quello ci può stare. Come ti dicevo…”
“Bruttino, anche. Storto.”
“Non è vero.”
“Scialbo, insignificante.”
“Ok, non dovevo dimenticarmi… hem, noi non abbiamo scopato, vero?”
Mari iniziò a ridere. Sensi guardò il cielo. Poi guardò una signora che li fissava con espressione riprovata. Poi guardò un piccione che stava banchettando con i resti di un altro pasto. Mari continuava a ridere.
“Dio, sapevo che non sarei andato con un brigadiere dei carabinieri,” disse Sensi.
L’altro continuava a ridere, così lui pensò bene di continuare a mangiare. Aprì un gamberone con le mani e succhiò felice la polpa.
Non era andato a letto con un brigadiere dei carabinieri. Il mondo era un posto fantastico.
“Oh, cazzo…” gorgogliò Mari, cercando di smettere di ridere.
“E poi ti saresti ricordato del piercing,” aggiunse Sensi, con espressione felice.
L’altro ricominciò a ridere.
Sensi gongolava. “E non è piccolo. E neanche storto. Non sai cosa ti sei perso.”
Mari era sul punto di strozzarsi.
Sensi, tutto allegro, si cacciò in bocca un anello di totano.
Non era niente male.

Mezza sega - 7

Durante la notte aveva avuto la febbre. Qualcuno l’aveva coperto con una trapunta. Sensi non si era fatto domande. Aveva tremato, dormito, tremato ancora. Gli avevano dato dell’acqua e lui l’aveva bevuta. L’avevano abbracciato e lui si era fatto abbracciare. A un certo punto l’avevano anche baciato, e lui si era lasciato fare anche quello.
Si era svegliato dopo le undici, fiacco, senza febbre, con lo stomaco in fiamme e la spalla che pulsava leggermente meno del giorno prima. Aveva pisciato, bevuto e chiamato Carmel.
Carmel stava bene.
Non sapeva se Lorenzo era andato al bar, la sera prima c’era troppa gente e lei non l’aveva mai visto, ma anche se c’era andato non aveva dato problemi.
Sopra al frigo era appiccicato un post-it verde.
C’era scritto:

TI ASPETTO DAI PESCATORI ALL’UNA. SE RIESCI AD ALZARTI.
IL TUO SFIGATO COMPARE.

Sotto c’era un numero di cellulare. Sensi aveva cercato di fare mente locale. Per prima cosa, ovviamente, cercò di ricordarsi se la sera prima era finito a letto con un brigadiere dei carabinieri. Che si ricordasse non era mai caduto così in basso, ma c’erano senz’altro molte cose, nella sua vita, che non si ricordava.
Alla fine decise che, probabilmente, non ne aveva avuto la forza.
La sua seconda perplessità, ovviamente, riguardava i pescatori. Perché lui e Mari dovevano vedersi dai pescatori? Erano amici di Mari? E, in quel caso, ci sarebbe stata un’orgia gay a base di acciughe e sardine?
La dicitura “i pescatori” gli faceva venire in mente qualcosa, ma non era sicuro di cosa fosse.
Si decise a telefonare.
“Chi cavolo sono i pescatori?” chiese, senza nemmeno salutare.
“Il ristorante, sul molo,” replicò la voce dell’altro, sbrigativa, prima di riattaccare.
A quel punto Sensi iniziò a ricordare vagamente che, in effetti, dei pescatori avevano aperto un ristorante sul lungomare e l’avevano poco originalmente battezzato così. Sensi non c’era mai stato, ovviamente.
Era più un tipo da pizza e kebab.
Comunque non sembrava né particolarmente caro né particolarmente impegnativo. Se veramente era finito a letto con Mari, poteva anche offrirgli il pranzo, visto che probabilmente come amante aveva fatto pietà.
Si trascinò sotto alla doccia, dove fece un maldestro tentativo di lavarsi senza bagnarsi la fasciatura. Poi asciugò la fasciatura con il phon, insieme ai capelli.
Aveva un aspetto miserabile. Più pallido del solito, emaciato, con la barba lunga. Almeno quella la eliminò con schiuma da barba e rasoio.
Poi iniziò l’odissea della vestizione.
Selezionò una felpa dei Cocteau Twins troppo larga, sperando che sarebbe riuscito a infilarsela senza sollevare eccessivamente il braccio sinistro. Varie maledizioni più tardi – e con il foro nella spalla che gli faceva considerevolmente più male – fu in grado di passare a pantaloni e anfibi. Mettersi la giacca fu un’altra impresa, ma alla fine riuscì anche in quello e si legò il braccio ferito con la famosa fascetta frontale del Wave-Gotik-Treffen. Forse, visto l’andazzo che stava prendendo, avrebbe dovuto passare a un bel foulard a fiorellini.
Cristo, pensò, non un brigadiere dei carabinieri…
Controllò che il sigillo sulla porta fosse ancora al suo posto – lo era – e chiuse entrambe le serrature della porta blindata.
Poi si avviò mestamente verso il lungomare.

sabato 1 agosto 2009

Mezza sega - 6

Mari l’aveva disinfettato e rifasciato. Aveva espresso il parere che la ferita, tutto considerato, stesse guarendo considerevolmente in fretta. Sensi l’aveva preso come il parere di un esperto.
Poi l’esperto aveva pensato bene di fumarsi una sigaretta nel suo salotto e di scolarsi una delle sue birre. Anche questo Sensi l’aveva accettato senza discutere.
Infine Mari aveva scalciato via le sue scassate scarpe da ginnastica, si era piazzato a gambe incrociate sul divano e aveva tirato fuori un taccuino.
“Credo che quello potremo evitarlo,” disse Sensi. Era semi-disteso su un lato del divano, con i piedi scalzi che sfioravano il pavimento di parquet. E, secondo Mari, sembrava un tossico che si fosse appena bucato.
Mise via il taccuino.
“Ok,” disse. “Ma dovrai comunque dirmi qualcosa.”
Sensi annuì mollemente.
“Sono stato un satanista,” biascicò, “ ma questo l’avevi già capito.”
“Sotto copertura.”
“Sì. Sono stati anni… un po’ selvaggi, diciamo.”
Mari sorrise. “I migliori della tua vita?”
Sorrise anche Sensi. “Per un po’ l’ho pensato, ma il finale ha guastato tutto. In ogni caso, non è il finale che ci interessa ora.”
“A dire il vero, a me interessa un casino.”
Sensi chiuse gli occhi. “Il mio periodo da infiltrato ha portato a una serie di arresti. La maggior parte sono ancora dentro, ma un paio sono già usciti. Quelli che non erano alla messa nera… quelli che non si sono beccati il tentato omicidio.”
Mari si alzò e andò a prendersi un’altra sigaretta dal giubbotto.
“Un paio sono usciti con l’obbligo di firma, un paio sono usciti e basta. I miei colleghi di Torino mi hanno avvertito… non che serva a molto. Per vie traverse mi ha avvertito anche un mio ex collega, diciamo così. Un satanista freddo, sai di che cosa parlo?”
Mari si accese la sigaretta e si sedette accanto alla testa di Sensi.
“Un pagano, no?”
“Anche. Uno che non sgozza polli neri e non crede né in Dio né in Satana.”
“Questo tizio ti ha avvertito,” ripeté Mari, sbuffando una nube di fumo.
Sensi socchiuse gli occhi e fissò per qualche istante la massa del brigadiere sopra di lui. “Mi ricordi qualcuno,” mormorò. “Così, in controluce.”
“Quanti cazzo di antidolorifici hai preso?”
“Non ne ho idea. Non mi sento più la punta delle dita.”
Mari si alzò di scatto. “Merda, ti faccio del caffè, ne hai?”
“In frigo c’è della red bull.”
L’altro, imprecando, iniziò a cercare una lattina. Ne trovò un paio nello scomparto della frutta, ne aprì una e ne versò una metà buona in un bicchiere.
“Bevi, cazzone,” disse, tornando a sedersi dietro la testa di Sensi e premendogli l’orlo del bicchiere contro la bocca. Sensi ne ingurgitò un po’.
“Mi fa anche male lo stomaco,” si sentì in dovere di specificare.
“E tra un po’ ti farà male anche la testa. Forza, bevine ancora. Cerca almeno di non collassare.”
Il commissario sventolò la mano sinistra come a dire che non c’era pericolo, ma ne buttò giù un altro po’.
“Cristo, basta. Questa è alimentazione forzata.”
Mari sbuffò, spense la cicca nel posacenere sul quale si era completamente consumata e ne accese un’altra.
“Insomma, questo tizio ti ha avvisato, i tuoi colleghi ti hanno avvisato, quando è successo?”
“Qualche mese fa.”
“E tu?”
“Me ne sono fregato altamente. Sono fatto così.”
“L’avevo intuito.”
Sensi chiuse completamente gli occhi e si distese del tutto. “Già. Solo che uno è arrivato davvero. Era poco più di un ragazzino, all’epoca del processo. Adesso avrà una trentina d’anni, forse meno. L’hai visto l’altra notte.”
Mari restò in silenzio per qualche istante.
“Certo. L’ho visto. E poi non l’ho visto più. Sarebbe carino da parte tua spiegarmi questa cosa.”
Sensi non disse niente, gli occhi chiusi e il petto che si alzava e abbassava debolmente. Mari gli scostò una ciocca di capelli dalla faccia.
“Non lo so,” mormorò Sensi. “Non so che cosa ha combinato in prigione. Forse ha…sai, continuato.”
Il brigadiere si chinò sopra di lui, scrutando i suoi occhi chiusi.
“Continuato a fare cosa?” domandò, in tono basso ma insistente.
Sensi aprì gli occhi, ed erano color rosso sangue.
“Secondo te?” disse. Poi, lentamente, sembrò che il colore delle sue iridi si schiarisse e alla fine Mari si trovò a fissare degli occhi grigio chiari, belli, per quel che contava, infossati e febbricitanti.
“Porca merda,” mormorò.
Sensi richiuse gli occhi e sbatté velocemente le palpebre un paio di volte, voltando la testa da un lato.
“Già. Porca merda,” disse, con voce debole.
Mari inspirò e espirò. “Ok, chi è questo tizio?”
“Si chiama Lorenzo Cervi, se vuoi il nome. Un piccolo figlio di puttana rognoso, sempre attaccato alle gonne degli Stregoni.” Sensi sorrise debolmente. “Che poi eravamo noi. L’elite della setta.”
“Sembra un affarone,” commentò l’altro, sarcastico, ma Sensi non sorrise, non ci provò nemmeno. Invece la sua bocca si piegò all’ingiù, come se fosse addolorato. “Non ti immagini quanto.”
Riaprì gli occhi e tornò a guardarlo con sguardo chiaro.
“Comunque. Questo tizio è scomparso da tre mesi e ieri pomeriggio me lo sono trovato sotto casa. Non è stata una conversazione piacevole.”
Mari gli spostò per la seconda volta una ciocca di capelli dalla fronte e iniziò ad accarezzargli un lato della testa. Quell’uomo adulto sembrava fottutamente indifeso.
“Che cosa ti ha detto?” chiese.
“Esattamente quello che immagini. Che mi avrebbe perseguitato, che mi avrebbe maledetto e che avrebbe fatto a pezzi tutti quelli che mi sono cari.”
“Sono minacce,” sottolineò Mari, fermandosi per un attimo.
“Sì, be’, lo so. Continua.”
L’altro fece un sorriso divertito e riprese ad accarezzargli i capelli. “E poi?”
“Poi niente, cazzone, ho un proiettile nella spalla, se te ne fossi dimenticato.”
“Intendo poi che cosa è successo, idiota,” sospirò Mari.
Sensi sorrise. “Ah, niente. Gli ho detto che gli avrei fatto il culo a strisce e che è una mezza sega… ma non ne sono del tutto sicuro. Sono andato al bar, dalla mia fidanzata non ufficiale…”
“Carmel.”
Il sorriso dell’altro si intensificò. “Carmel. Le ho dato qualcosa… sai, per protezione. Credo che funzioni. Comunque le ho dato anche una pistola elettrica per orsi. Con un po’ di fortuna la userà su qualcuno dei suoi clienti.”
“Lavora al Bar Brin, no? Sul momento non mi ricordavo dove l’avevo vista. Lo bazzico poco, non c’è spaccio.”
“Carmel li butterebbe fuori a calci nel culo. Probabilmente si divertirebbe anche, è una donna crudele.”
Mari sghignazzò. “Il che significa che non te la dà?”
“Il che significa che me la dà, ma mi dà solo quella. Comunque, quando sono uscito ho rivisto Lorenzo… era di spalle, se ne stava andando. Forse mi aveva seguito, non sono molto abile a far perdere le mie tracce. Allora l’ho seguito anch’io per un po’, poi ho provato a convincerlo a tornare da dove era venuto. È stato più o meno a quel punto che sei arrivato tu.”
“E ti ho sparato.”
Sensi sorrise appena. “Non sono certo che sia stato un male.”
Mari stava per fare una battuta sugli incontri romantici, ma si fermò. C’era qualcosa sul viso dell’altro.
“Prima hai detto di non essere sicuro che sia una mezza sega. Non so che cosa intendi. Non lo so davvero. Questa roba da abracadabra non è nelle mie corde…”
“Non è neanche nelle mie, se mi credi.”
Mari gli accarezzò una guancia, la sua mascella tremava. “Hai paura?”
“Probabilmente ho la febbre.”
“Probabilmente sì.”
Sensi sorrise appena. “E, be’… certo che ho paura, non sono mica scemo.”
L’altro si stese accanto a lui e lo guardò per qualche istante negli occhi.
Sensi aveva la febbre, e si sentiva come se l’avessero buttato in un tritacarne, ma sapeva ancora distinguere uno sguardo arrapato da uno sguardo incazzato, e Mari non era arrapato.
“Dimmi solo una cosa, visto che sembra che dovrò aiutarti con questo tizio. Diciamo che lui non è una mezza sega…”
“Diciamolo,” concesse Sensi, accomodandosi contro la sua spalla.
“Tu la sei?”
“Una mezza sega?”
“Mh.”
Sensi ci pensò per qualche istante.
“No,” sorrise, alla fine.