giovedì 30 luglio 2009

Mezza sega - 2

Al pronto soccorso tutta la vicenda causò inevitabilmente dell’umorismo. Il brigadiere Guido Mari era costernato, ma era anche incazzato come un toro.
A Sensi era stata fatta una lastra, che aveva accertato che il proiettile dell’altro era entrato e uscito, poi era stato medicato, spillato davanti e dietro la spalla e avvolto in qualche chilometro di garza. Alla sua ennesima protesta gli era finalmente stato dato dell’antidolorifico via flebo.
Mari era rimasto accanto a lui praticamente tutto il tempo, facendogli una serissima radio-cronaca di quello che gli stavano facendo, inframmezzata ad aneddoti di servizio: sembrava che gli avessero sparato in ogni punto disponibile e Sensi era quasi dispiaciuto che quella fosse la sua prima volta.
Alla fine, grazie al cielo, arrivò l’ispettore capo Tudini.
Era trafelato, preoccupato e praticamente in pigiama.
“Ermanno! Che cosa è successo?”
Sensi, seduto su una barella a torso nudo e ormai completamente incerottato, sorrise debolmente.
“Questo pezzo d’asino mi ha sparato,” disse.
“Be’, il pezzo d’asino me lo merito, ma anche il vostro commissario, qua, non ha brillato per astuzia,” ribatté Mari, piccato.
“Ma insomma, che cosa è successo? L’agente Giusti mi ha chiamato in lacrime!”
Mari lanciò a Sensi uno sguardo tra il perplesso e il divertito.
“È la nostra segretaria,” spiegò il commissario. “Chi è stato l’idiota che ha detto a Bianca che mi avevano sparato?”
“Non lo so. Tu a chi hai telefonato?”
Sensi sospirò. “A Mainardi. Era nelle ultime chiamate.”
Esattamente in quel momento vicino all’ingresso si scatenò un immenso putiferio. Non era chiaro che cosa stesse succedendo, ma c’era una donna che gridava insulti in spagnolo e un infermiere che gridava insulti in italiano.
“Non te permettere de darmi della puta, hijo d’un cabron!” si sentì strillare.
“Forse è meglio che vada a controllare,” si offrì Mari, che evidentemente non vedeva l’ora di trovare un diversivo.
“Sì, vedi se riesci a sparare anche alla mia donna,” replicò Sensi, piccato, scivolando giù dalla barella. Barcollò un po’ e poi si diresse verso l’entrata del pronto soccorso. La porta scorrevole si aprì a rivelare più o meno lo scenario che si aspettava. Carmel stava tirando fuori dalla borsetta lo spray al peperoncino.
“Non è veramente necessario,” disse Sensi, debolmente, “ma se vuoi dargli una spruzzata non sarò certo io a fermarti. Non voleva darmi gli antidolorifici.”
“Manno!” esclamò Carmel, e lo abbracciò. Sensi guaì per il dolore.
“Commissario, questa signora…” iniziò l’infermiere, con aria truce.
“Questa signora è la mia signora. Svolge l’ingrata professione di barista – e non di prostituta, come credo abbia involontariamente lasciato intendere di pensare – ha un regolare permesso di soggiorno e probabilmente la denuncerà per qualcosa. Per idiozia, forse.”
A quel punto Sensi barcollò ancora, si appoggiò a Carmel e iniziò a tornare con passo strascicato verso l’interno del pronto soccorso.
“Ermanno, me ha chiamata Bianca… me ha detto che te avevano sparato… forse matado…”
“See, e anche torturato e sventrato. Tudini, chiama Bianca e cerca di fermarla, prima che vada a raccontare in giro che mi hanno stuprato, incaprettato e sacrificato su un altare.”
“Comunque stuprarte sarebbe difficilissimo,” commentò Carmel, a mezza voce, mentre lo aiutava a risedersi sulla barella.
Tudini scomparve dietro una tenda verde, ricomparve poco dopo con la faccia di uno strano colore e scomparve di nuovo dietro una paratia.
“Credo che Max sia appena incappato nell’incidente stradale di cui parlavano al mio arrivo,” disse il commissario, serafico. “Pare che un motorino si sia stampato contro un suv.”
Mari, granitico, si riposizionò accanto alla barella. Guardò Carmel, fatto abbastanza insolito, come se fosse un pezzo di mobilia e sorrise civilmente.
“Sono il brigadiere Mari,” disse. “Temo di essere stato io a sparare a suo marito.”
Sensi ebbe la tentazione di tapparsi le orecchie. Carmel, probabilmente, a quel punto avrebbe sentito il bisogno di spiegare che non era sua moglie e anche il perché, e quella non era mai una disquisizione piacevole per il commissario.
“E per quale ragione el avrebe sparato?” ribatté, invece, Carmel, contrariamente a tutte le aspettative del commissario.
In realtà, una volta scomparso l’infermiere razzista e una volta constatato che Sensi era tutto d’un pezzo, sembrava essersi notevolmente calmata. Indossava un corto piumino nero, dal quale spuntavano le sue lunghissime gambe, fasciate in un paio di jeans piuttosto aderenti, E questo, unito al fatto che era dominicana, presumibilmente era il motivo per cui l’infermiere aveva pensato che fosse una lucciola, e per cui Sensi pensava che Mari fosse gay.
“Ecco, signora, è un po’ difficile da spiegare. È stato un malinteso, diciamo.”
“Ah, ecco. Un po’ come Carlo Cigliani,” ribatté Carmel, sarcastica.
“Credo che tu intendessi Carlo Giuliani,” sospirò Sensi. “Noi, storicamente, preferiamo finestre aperte e spranghe di ferro.”
“Sempre grilletti facili,” tagliò corto lei.
Sensi guardò il soffitto del pronto soccorso. “Se adesso potesse centrarmi in piena fronte, brigadiere, gliene sarei grato.”

1 commento:

Luca Bonisoli ha detto...

Ho riso come un deficiente.
Per fortuna nella stanza non c'era nessuno... ^__-