giovedì 16 luglio 2009

L'appartamento di sopra - 3

Sensi si svegliò verso le undici. Mise a fuoco un soffitto che non era il suo e, lentamente, prese atto che anche i muri, il letto e tutto il resto non erano quelli di casa sua.
Dopo qualche secondo ricordò di essere a casa di Chiara, perché era lì e che cosa era successo la sera prima.
Ricordò che l’aveva conosciuta la settimana precedente al Portrait, un localino del centro che apparteneva a un gruppo di artisti. Sensi ci era andato solo perché era vicino a casa sua, era un posto tranquillo e la musica, di solito, non faceva schifo.
Chiara era insieme a tre o quattro amiche. Sensi non aveva fatto caso a loro, ma l’aveva incontrata davanti alla porta del bagno.
“Sei in coda?” le aveva chiesto.
“Sì, ma quello degli uomini è quello,” aveva risposto lei.
In effetti accanto alla prima c’era un’altra porta. “Ed è libero?”
“Sì. Quello degli uomini è sempre libero,” aveva detto lei, saltellando leggermente da un piede all’altro.
Sensi aveva sorriso. “Puoi usarlo, non faccio la spia.”
Così lei era entrata nel bagno degli uomini e Sensi aveva aspettato. Dal bagno delle donne era uscita una cicciona gotica, un esemplare diffuso a tutte le latitudini. Chissà perché le donne quando pesavano più di cento chili erano sempre convinte che il nero le snellisse o che avere un look trasgressivo le rendesse più sexy.
E d’altronde gli uomini che pesavano più di cento chili di solito erano convinti di non avere alcun problema di grasso.
Sensi era entrato nel bagno delle donne. Dato che la chiusura non funzionava aveva messo in conto che qualcuno potesse entrare mentre pisciava, ma si stupì lo stesso un pochino quando l’intrusa si rivelò essere la ragazza a cui aveva ceduto il bagno degli uomini.
“Oh, scusa. Volevo vedere se te ne eri andato.”
Sensi, con il pisello in mano, le aveva rivolto un’occhiata divertita.
“Di’ un po’, quanto hai bevuto?” aveva chiesto, dando una scrollata e rimettendoselo dentro.
Lei aveva riso. “No, solo un margarita. Non sono sbronza, solo stanca. Hey, scusa per l’invasione, eh?”
Sensi era scivolato fuori dal bagno passandole accanto. Sapeva di alcool e di fumo. “Fammi indovinare, adesso andrai nel cortile a farti una sigaretta,” aveva detto, lavandosi le mani.
Lei aveva riso e aveva confermato. Sensi aveva deciso di accompagnarla.
Il cortile interno era una cosa minuscola, con dei tavolini minuscoli e delle sedie di tela da regista. I gestori non incoraggiavano i clienti a stare fuori, perché un paio di volte il vicino del piano di sopra gli aveva tirato addosso delle secchiate d’acqua, in linea col tipico senso della tolleranza spezzino.
Sensi e Chiara si erano seduti a un tavolino e lei si era accesa una sigaretta.
“Tu non fumi?” aveva chiesto lei.
“Ho altri difetti,” le aveva spiegato lui, dolcemente.
“Quindi sei uscito giusto per fare un po’ di conversazione? Ti ho visto, prima, eri solo.”
Lui aveva sorriso. Nelle ombre scure create dall’illuminazione tenue la sua ombra era parsa stiracchiarsi.
“Veramente sono uscito per vedere se dopo avermi visto il pisello ora mi facevi vedere qualcosa di tuo,” aveva risposto, sincero, con un piccolo sorriso disarmante.
“Be’, sei sincero,” aveva commentato, infatti, lei.
“Potrei diventarlo ancora di più, ma non hai ancora finito la sigaretta. So quanto diventano irritabili i fumatori se gli togli la loro droga.”
Lei aveva dato un tiro bello profondo. Aveva il naso aquilino e le labbra carnose. Gli occhi erano piccoli e castani, semi-nascosti da una frangia ramata che doveva costarle un patrimonio in lacca ogni mattina.
“I ragazzi d’oggi non sanno più cosa significhi la parola corteggiamento.”
“Le ragazze d’oggi non sanno più che cosa significhi la parola gonna.
Lei aveva riso e aveva accavallato le gambe nell’altra direzione.
“La mia gonna non è così corta,” aveva detto.
Sensi si era permesso di apparire scettico. “Hai ragione. Copre le tue chiappe quasi per intero e questo, temo, è il suo unico difetto. Mi spiego meglio.” Aveva allungato una mano sotto la sedia e l’aveva appoggiata in corrispondenza delle sue chiappe. “Immaginiamo che questo inconsistente pezzo di tela non ci sia… starei toccando la tua gonna o le tue mutande?”
L’altra era sembrata oltraggiata solo per pochi istanti. “Esattamente in quel punto?”
“Mh.”
“Be’, allora non staresti toccando proprio niente. Ho uno string.”
Sensi aveva tolto la mano, si era riappoggiato contro lo schienale della sedia e aveva accavallato le gambe.
“Oh, e di che colore?” si era informato.
Chiara era sembrata perplessa. “Bianco, credo.”
“Credo?”
Lei aveva scosso la testa e si era messa a ridere. “Mi stavo giusto chiedendo dove volevi andare a parare!”
“Sai, metà delle persone non sono in grado di rispondere a una domanda sul colore delle proprie mutande a memoria. L’altra metà suppongo che le abbia di un colore solo.”
“E di che colore sono le tue, allora?”
Sensi aveva inarcato le sopracciglia. “Io sono di quelli che le hanno di un colore solo.”
“Nero!”
Il commissario si era messo a ridere. “Bianco, temo.”
“Sono delusissima.”
“Di solito questo me lo dicono in seguito, ma è sempre meglio mettersi avanti, eh?”
Lei aveva finalmente spento la sigaretta. Sensi si era alzato. “Te ne vai?” aveva chiesto Chiara.
“Torno al bagno, vieni con me?”
Lei aveva aggrottato le sopracciglia. “Cioè?”
“Dobbiamo concludere la nostra indagine sul colore del tuo string. Quel “credo” non mi ha convinto per niente.”
“Ah,” aveva detto lei. “Be’, hai la faccia come il culo.”
“Un culo divinamente ossuto, però.”
Sensi, ovviamente, era preparato a un due di picche. Il due di picche era un’arte squisitamente spezzina. Per questo aveva imparato a non perdere tempo con il corteggiamento.
Ma lei si era alzata, gli aveva rivolto un sorrisetto indisponente e l’aveva preceduto dentro. Forse, aveva pensato Sensi, era stata adottata. Forse, in realtà, era originaria di qualche altro posto. Tipo di Saturno.
L’aveva seguita nel bagno degli uomini, visto che quello delle donne era occupato. Era, tra l’altro, insolitamente pulito, segno che la serata era fiacca.
Le aveva sollevato la gonna e aveva osservato per qualche minuto.
“Sono verde acqua. Come hai fatto a dimenticartelo?”
“Mhh… fretta mattutina.”
Sensi si era accucciato e aveva fatto scivolare il capo d’abbigliamento incriminato fino alle caviglie dell’altra.
“E questa che cos’è, ceretta brasiliana?”
“Era dalle elementari che non andavo in bagno con qualcuno per guardarci a vicenda,” aveva sottolineato lei, con le mani sui fianchi.
Sensi l’aveva accarezzata con un dito. “Scommetto che alle elementari eri molto popolare.”
Lei non aveva risposto e Sensi l’aveva di nuovo accarezzata con un dito. “Scommetto che alle elementari questo non si vedeva,” aveva aggiunto, e si era chinato per baciarla tra le gambe. L’aveva succhiata leggermente e lei gli aveva appoggiato le ginocchia sulle spalle.
“In definitiva penso che tu debba arrenderti all’evidenza che non sei più alle elementari.”
Le aveva infilato un dito davanti, poi, visto che sembrava divertente, le aveva infilato anche un dito dietro.
La serata era proseguita con un rapporto nel bagno del Portrait, con un veloce saluto alle amiche di lei e con altro sesso a casa di lui.
E adesso Sensi era in un letto non suo, in un appartamento non suo, a guardare un soffitto non suo.
Un soffitto sul quale si stava allargando una macchia rossa.

2 commenti:

Skiribilla ha detto...

Son contenta che tu stia postando questa storia tutti i giorni.

Susanna Raule ha detto...

cercherò di postarla in fretta, promesso!
grazie, skiri!