venerdì 24 luglio 2009

L'appartamento di sopra - 15

“Ho appena addentato un pezzo di cetriolo,” disse il commissario. Stava guidando a velocità contenuta lungo via Carducci, il largo viale che portava alle autostrade o, abbastanza di frequente, a disastrosi incidenti. Un disastroso incidente, nello specifico, era quello che stava facendo avanzare il commissario a velocità contenuta. Una mini si era scontrata con una panda mentre tentava di attraversare le due corsie del senso di marcia opposto. La mini in questione, dopo l’impatto, avrebbe potuto essere ribattezzata “micro”.
Sensi osservò distrattamente le lamiere sparse per una cinquantina di metri, continuando a mordere il suo tramezzino.
“Forse non l’aveva visto,” commentò Mainardi, sul sedile del passeggero.
“Il punto non è vederlo, ma sentirlo,” rispose il commissario.
“Sentirlo?”
“Già. Non si vede, ma si sente.”
“Una macchina che arriva nell’altra direzione?”
Sensi sospirò. “Il cetriolo.”
“Ah,” disse Mainardi, che alcune volte faceva fatica a sintonizzarsi sul disinteresse cosmico del capo.
“Va be’. Dimmi che cosa avete scoperto oggi,” tagliò corto Sensi, appoggiandogli sulle gambe i resti del proprio tramezzino. Mainardi estrasse prudentemente il taccuino, non osando disfarsi della cena del capo fuori dal finestrino. Sensi poteva trovare irrilevante un incidente stradale, ma non sopportava che si buttasse spazzatura per terra.
“La Riu è stata dal patologo. L’autopsia è fissata per martedì, ma il pover uomo le ha dato qualche opinione sparsa.”
“Ho notato anch’io che la gente diventa incredibilmente collaborativa se parla con l’ispettrice. Chissà perché.”
“Dice che finché non avranno i risultati degli esami non possono spiegare perché il sangue non si sia seccato, ma è possibile che la vittima prendesse degli anticoagulanti.”
“Aveva fatto un intervento chirurgico?”
“Due settimane fa gli avevano tolto le tonsille.” Mainardi sfogliò il taccuino. “Il patologo pensa che l’arma del delitto sia un oggetto da taglio.”
“Geniale. E io che credevo che fosse morto di polmonite.”
“Ma ci sono delle stranezze. I bordi delle ferite erano semi-cauterizzati, come se avessero usato uno strumento caldo, ed erano lacerate”
Sensi si limitò a grugnire. Si immise sulla bretella che portava alla galleria per Lerici. l’abitacolo fu invaso da uno sgradevole odore di uova marce.
“Capo, c’era dell’uovo, nel tuo tramezzino?”
“No, viene da quel mucchio di terra là. Dai, continua, non abbiamo tutta la notte.”
Mainardi osservò il mucchio di terra in questione mentre gli passavano accanto con la macchina. La zona era brulla come la luna e probabilmente qualcuno aveva pensato di usarla come discarica. Qualcuno tipo il Comune.
“Milovich è stato drogato. Qualcosa di pesante simile al Roipnol. È andato in overdose o roba del genere. All’ospedale dicono che gli potremo parlare domani.”
“I vicini?”
“Hanno sentito dei rumori venire dall’appartamento dei due, poi anche dei rumori dall’appartamento di sotto. Pensavano che si trattasse di qualcuno che faceva sesso energicamente, ma secondo me…”
“Era qualcuno che faceva sesso energicamente, credimi. È sempre così.”
“Se lo dici tu. In ogni caso non hanno visto nessuno. Nemmeno il tipico marocchino con l’aria losca.”
“Forse il pacchetto sicurezza inizia a funzionare,” commentò il commissario, filosofico.
“Nel senso che i marocchini, terrorizzati, se ne stanno a casa loro?”
“Nel senso che i cittadini non vengono più a raccontarci di averli visti in giro, ma aspettano il momento buono per denunciarli per conto proprio,” replicò Sensi, entrando nella galleria. Nell’aria iniziò a sentirsi un fortissimo odore di marijuana.
“Capo…” disse Mainardi.
“No, non credo che nel mio tramezzino ci fosse della marijuana, se è quello che intendi.”
“Ah,” si limitò a dire Mainardi.
Percorsero la galleria in silenzio e spuntarono sopra San Terenzo. Una strada stretta e tortuosa portava al mare, parecchio più in basso, zigzagando tra basse costruzioni e tratti boschivi.
Accanto all’imbocco della strada stazionava una pattuglia dei vigili urbani, che non degnarono di uno sguardo la jeep di Sensi.
Meno di un chilometro più in basso, però, dove la via si congiungeva al lungomare e attraversava il paese propriamente detto, una transenna gli bloccò la strada. Accanto alla transenna c’erano un paio di vigili urbani e una marea di gente in tenuta da mare.
Sensi fermò la jeep davanti alla transenna e scese dalla macchina.
“Salve,” disse a uno dei due vigili, una donna dall’espressione gioviale. “Sono il commissario Sensi, dovrei passare.”
“La strada è chiusa,” spiegò la donna.
Sensi socchiuse gli occhi. “Già, me n’ero accorto.”
“C’è lo sbarco dei saraceni, stasera.”
“L’ho sempre detto che di Gheddafi non c’era da fidarsi. Ma dovrei passare lo stesso.”
La donna continuò a sorridere. “La strada è chiusa,” ripeté.
“Sì, da una transenna, lo vedo. Le ho già detto che sono un ufficiale di polizia e che dovrei passare?”
“Be’, signore, di qua non si passa. La strada è chiusa anche in alto.”
“In alto la strada non è chiusa, se questo può aiutarla a rimuovere quella transenna per far passere l’ispettore e me.”
“Mi dispiace, ma non posso. Potrebbe investire qualche pedone.”
Sensi emise un profondo sospiro. “E da dove dovrei passare?”
“Be’, la strada è…”
“Chiusa, sì. Ho capito. E visto che è chiusa, da dove dovrei passare se non voglio rimanere qua fino alla fine dello sbarco?”
“Riapriremo verso mezzanotte.”
Sensi guardò l’orologio. “Ah, e se in queste tre ore avessi bisogno di arrivare dall’altra parte del paese, come potrei fare?”
“Forse anche un po’ prima, di mezzanotte,” spiegò la vigilessa.
“Non mi dica. Un po’ prima, eh? Sono sollevato.”
“Può, ecco… fare un po’ di retromarcia.”
“Ah, vuol dire un po’ di retromarcia fino in cima al monte, suppongo. E immagino che fare retromarcia con una jeep su per una strada piena di curve sulla quale la gente cammina come se fosse un’isola pedonale per un chilometro sia molto meno rischioso che farmi procedere dritto per un centinaio di metri oltre la sua preziosa transenna…”
La vigilessa lo guardò con sguardo sereno.
“La strada è chiusa,” disse.
Sensi, che era un uomo poco portato alla bestemmia, bestemmiò.
Poi tornò alla jeep, prese il lampeggiante e lo fissò sopra il tetto.
“Capo, che cosa…” iniziò Mainardi, che fino a quel punto si era goduto lo spettacolo. La sua voce fu coperta dal suono lancinante di una sirena che iniziava a suonare.
“Le ho già detto che è una fottuta emergenza?” gridò Sensi, sopra al frastuono. Poi si rimise al volante e procedette risoluto fino allo sbarramento. La vigilessa osservò vacuamente la jeep mentre urtava dolcemente la transenna e la trascinava con sé in mezzo alla gente.
Vide il commissario urlare qualcosa dal finestrino e un tizio in bermuda rimosse la transenna e l’appoggiò di lato.
Poi la jeep, con la sirena al massimo, procedette a passo d’uomo attraverso la folla fino alla fine dell’area recintata, dove un altro vigile urbano gli spostò deferentemente la sbarra per farlo passare.
“Non dire niente, Mainardi,” lo avvertì Sensi. “Non dire niente o mi metto a sparare.”

3 commenti:

Armaduk ha detto...

'Sta storia della vigilessa mi è familiare!

Luca Bonisoli ha detto...

San Terenzo!
Ci andavo al mare da bambino!
Sono riuscito a visualizzare praticamente tutta la scena, e mi sono piegato dal ridere! ^__^

Susanna Raule ha detto...

e comunque la storia della vigilessa è vera.
solo che noi abbiamo fatto retromarcia per una ventina di metri, facendo lo slalom in mezzo alla gente, e poi abbiamo preso un viottolo in contromano.
(ah, sì, e forse io non sono stata "distinta" come sensi)