mercoledì 22 luglio 2009

L'appartamento di sopra - 12

Chiara era nel suo letto. La stanza era pressappoco quadrata, la finestra era chiusa, l’altro letto era vuoto. Sensi entrò, scortato dalla dottoressa Pagano, e si fermò in piedi accanto alla testa della degente.
“La è venuta a trovare il commissario Sensi,” disse la psichiatra, avvicinandosi all’altro lato del letto. “Come si sente?”
“Ho sonno,” rispose Chiara, con voce strascicata. “Quel calmante era una bomba.”
“Credo che dormire un po’ le faccia bene.”
“Sì, suppongo di sì. Grazie, dottoressa.”
“La lascio con il commissario. Per qualsiasi cosa chiami le infermiere.”
La psichiatra se ne andò e Sensi rimase in piedi accanto al letto, osservando Chiara. La frangia le spioveva floscia sopra gli occhi, che senza trucco sembravano ancora più piccoli. Si puntarono su di lui come due spilli.
“Perché mi hai fatta portare qua?” chiese. La voce era impastata, ma lei sembrava sufficientemente lucida.
“Perché non potevo evitarlo,” rispose il commissario. “Hai detto di aver visto un demonio nella tua camera da letto.”
Chiara prese lentamente fiato. “Questo posto ti fa venire il sospetto di essere pazza.”
Sensi si guardò lentamente intorno. Qualcuno, in un’altra stanza, canticchiava una sorta di ninna nanna, le pareti erano spoglie, i letti avevano l’intelaiatura di alluminio, ma fuori dalla finestra si vedevano degli alberi.
“Ti hanno trattata bene?” chiese, alla fine.
“Sai, non legano più i matti al proprio letto,” rispose l’altra, con un vago sorriso. “Mi hanno dato da mangiare. La dottoressa sembra decente.”
“Le ho spiegato che c’era stato un omicidio sopra casa tua. Ho fatto revocare il TSO. Domani, se vuoi, te ne puoi andare.”
“Le ho spiegato anch’io che c’era stato un omicidio. Ha detto che probabilmente ho avuto un’allucinazione come risposta allo stress.”
Sensi si limitò a guardarla in silenzio.
“Le ho dato ragione su tutta la linea,” aggiunse Chiara.
Sensi continuò semplicemente a guardarla. Indossava la maglia di un pigiama leggero con sopra disegnati dei pinguini.
“Ma ovviamente ho visto quell’affare nella mia camera, ho visto i tuoi occhi diventare rossi e ti ho visto mentre tracciavi un cerchio di sale attorno a me. Potrei essere impazzita, ma io non credo.”
Sensi si stropicciò gli occhi.
“Ora stai cercando di decidere che cosa dirmi,” continuò Chiara. “Se dirmi che sono pazza, o se dirmi che non la sono.”
“No,” rispose Sensi. “Mi sto solo chiedendo se nel bar di questo posto vendono della Red Bull, perché sarà una lunga chiacchierata e ho la gola secca.”
Chiara gli passò la bottiglietta d’acqua che aveva sul comodino. Sensi la guardò per qualche istante come se pensasse che potesse essere velenosa, poi l’aprì e bevve un sorso.
“Qualcuno è stato nell’appartamento sopra al tuo, stanotte,” disse, poi. “Come è entrato non è importante. Ci sono tanti modi per aprire una porta, più modi di quelli che immagini. Ha ucciso Paolo Sorriso. Era un sacrificio, credo. Uno strano sacrificio, se vuoi.”
“Perché i tuoi occhi sono diventati rossi?” lo interruppe Chiara, con una certa urgenza.
Sensi la fissò.
“Questa è una domanda che non puoi farmi,” disse, e a Chiara in quel momento sembrò che un muro fosse sceso davanti al suo sguardo, un muro che non poteva nemmeno immaginare di sgretolare.
Sensi girò attorno al suo letto e andò a sedersi sull’altro, quello vuoto più vicino alla finestra, con la luce del giorno alle spalle.
“La persona che ha ucciso Sorriso ha tracciato un sigillo sul muro. Non è necessario nominare l’essere che ha chiamato, ma l’hai visto nella tua camera da letto. A questo serviva il cerchio di sale.”
“A… proteggermi?” domandò l’altra, con voce sottile.
“A nasconderti,” rettificò Sensi. “Ma non sapevo ancora niente. Quando sono stato nella stanza dell’evocazione… è stata una strana evocazione. Mi mancano troppi tasselli, non capisco quali fossero le intenzioni dell’omicida. Sai, di solito… se evochi un demone vuoi qualcosa da lui. Per prima cosa non vuoi che ti uccida. Vuoi che faccia qualcosa per te.”
Il commissario si fermò un istante, chiuse gli occhi. Sembrava sul punto di lasciarsi cadere all’indietro sul letto, forse di addormentarsi.
“Certo, così avrebbe un senso…” mormorò.
“Che cosa avrebbe un senso?” lo incalzò Chiara.
L’altro riaprì gli occhi e la fissò come se fosse stupito di vederla.
“Ieri sera avrei dovuto fare qualche domanda in più ai due piccioncini. Posso farne qualcuna a te, invece?”
“Ermanno, io vorrei che mi spiegassi qualcosa, piuttosto,” replicò lei.
Lui sbuffò. “Come posso spiegarti qualcosa che ancora non so? Questa mattina non ho capito niente, non è certo una novità. Potrei non aver capito niente neanche ora. Parlami del demone, piuttosto. È come colato dal soffitto, come se stesse sprofondando attraverso qualcosa privo di sostanza. Era solido?”
Il labbro inferiore dell’altra tremò appena. “Non lo so. Non l’ho guardato bene. Forse… non del tutto. Sembrava come… fuori fuoco.”
“Ti ha guardata.”
“Sì,”
“Ti ha vista,”
“Non lo so! Mi stai facendo paura, adesso!”
Chiara iniziò a piangere e Sensi si sedette sul suo letto e l’abbracciò. Un’infermiera mise la testa dentro la stanza.
“Tutto bene?” chiese, in tono sospettoso.
Sensi alzò lo sguardo su di lei, continuando a tenere Chiara contro il suo petto.
“Questa donna ha paura,” disse. “Ha visto un assassino.”
L’infermiera aprì la bocca, attonita.
“Sto bene,” piagnucolò Chiara, con la faccia premuta contro la maglietta del commissario.
“È passato,” disse Sensi. “È passato.”
“Vado a chiamare il primario,” borbottò l’infermiera, e uscì come un razzo dalla stanza.
Sensi si alzò di scatto. “Merda,” disse.
Poi si mosse molto velocemente. Non solo con una velocità che Chiara non gli avrebbe creduta propria (Ermanno, di solito, era piuttosto lento), ma con una velocità che quasi rendeva difficile seguire i suoi movimenti. Non veloce come un essere soprannaturale, questo no, ma comunque molto veloce per essere un essere umano.
Spostò il letto di lei di qualche centimetro, staccandolo dal muro. Prese un temperino da una tasca dei jeans, lo aprì e si praticò un taglio lungo e profondo su una mano. Il sangue ne zampillò copioso, come se avesse reciso una vena. Sensi tracciò un largo cerchio attorno al letto: una scia rossa e irregolare si disegnò sul pavimento piastrellato. Poi, con la stessa mano sanguinante, il commissario estrasse un accendino e diede fuoco al cerchio. Chiara non pensava che il sangue potesse bruciare, ma quello di Sensi bruciò. Divampò come se fosse benzina e non lasciò traccia.
Il commissario si rimise l’accendino in tasca, poi spinse di nuovo il letto contro il muro, ma non completamente. Lo accostò soltanto. Chiara sapeva che era tutto dentro il cerchio, il cerchio che era bruciato e non si vedeva più.
La dottoressa Pagano entrò nella stanza un secondo più tardi, seguita da un’infermiera.
Sensi, in piedi accanto al letto, la guardò con sguardo calmo, con una mano infilata in tasca (la mano ferita).
“Dottoressa, le devo rivolgere una richiesta,” disse il commissario, solo leggermente affannato.
“Si sente bene, signorina Rosaio?” chiese il primario, invece di rispondere. Col suo lungo camice bianco, assomigliava a un totem.
“Sì, io… sto bene, ora.”
“Questa donna è una testimone per un caso di omicidio. La lascio sotto la sua responsabilità fino a domani, quando qualcuno verrà a prelevarla per interrogarla in modo ufficiale. Qualunque cosa dovesse dire fino a quel momento – e auspico che sia il meno possibile – è coperto dal segreto istruttorio.”
Sensi fece un gesto vago con una mano, la mano che non era nella tasca dei pantaloni. “Preferirei non doverlo aggiungere, ma è chiaro che si verificasse una qualsiasi fuga di notizie…”
“Non si verificherà nessuna fuga di notizie,” lo interruppe la dottoressa, in tono netto.
“No,” sorrise Sensi. “Credo di no. Arrivederci, Chiara. Ci vediamo domani mattina.”
E senza aspettare altro, Sensi uscì dalla stanza.
Il primario lo seguì, il lungo camice che le svolazzava dietro. “Commissario!” lo chiamò.
“La ringrazio,” disse Sensi, voltandosi appena.
“Commissario, non c’è niente che pensa di dovermi dire?”
Sensi si fermò, si voltò, e la fissò con i piccoli occhi grigi e duri.
“Forse soltanto… che non era un demone, dopotutto, la persona che Chiara ha visto.”
Poi riprese a camminare come se l’altra non esistesse più. La dottoressa gli aprì una porta che dal reparto femminile portava sul retro dell’ospedale e Sensi camminò di buon passo fino alla jeep.
Quando si fu seduto al suo interno tirò fuori la mano dalla tasca e osservò la lunga e profonda lacerazione che si era fatto col temperino.
Strizzò appena gli occhi ed emise un gemito soffocato di dolore.
“Merda, che male,” piagnucolò.

2 commenti:

Luca Bonisoli ha detto...

Davvero wow!
Ma i dettagli "tecnici" sui sigilli, i demoni, le protezioni, ecc... te li sei inventati di sana pianta o haiconsultato qualche testo di occultismo?

Susanna Raule ha detto...

la seconda che hai detto, luca.
terribilmente pallosi, se vuoi la mia opinione.