sabato 20 giugno 2009

Una linea d'ombra - 20

Sensi era partito sgommando. Una volta in via Milano aveva messo il lampeggiante sul tetto e l’aveva acceso, insieme alla sirena. Aveva percorso via Milano accelerando fino ai 90, aveva svoltato in via Fiume e aveva accelerato ancora, dribblando tra le macchine sulle due corsie.
Arrivato alla rotatoria di piazza Saint Bon aveva inchiodato sull’angolo e era schizzato giù, verso la farmacia.
“Polizia!” aveva gridato, entrando di corsa e sbracciandosi come un matto. “Una confezione di Narcan!” Aveva anche sventolato il distintivo, tanto per evitare le solite reazioni tu-non-sei-un-poliziotto. Ma la farmacista doveva avere una certa esperienza. Vista la fauna della zona Sensi non doveva essere il primo folle che entrava chiedendo del Narcan con urgenza.
Gli allungò una confezione e Sensi ripartì a razzo. Decisamente, se anche quella mattina se ne fosse stato a letto la sua vita sarebbe stata molto più semplice. Avrebbe potuto passare a raccogliere i morti verso mezzogiorno, comodamente.
Si immise nella rotatoria e si infilò nella galleria Spallanzani, con il piede a tavoletta sull’acceleratore. Le macchine si spostavano con un certo ritardo, e Sensi quasi ne beccò un paio.
In via Crispi, fuori dalla galleria, tirò dritto a tutti gli incroci senza guardare, girò in viale Italia e riprese velocità. Il suo wragler non era un mezzo da competizione, e a Sensi non piaceva guidare veloce, ma riuscì comunque a toccare i 120 passando davanti alla questura circa sette minuti dopo aver ricevuto la telefonata di Mainardi. Da lì a Toxic Ville c’erano poco più di cinquecento metri.
Sensi li fece in accelerazione costante, arrivando sotto lo squallido condominio di Morelli circa otto minuti dopo la chiamata di Mainardi.
Il portone era socchiuso e Sensi lo spalancò con un calcio. Poi iniziò a correre su per le scale.
La porta dell’appartamento di Moreno il Tossico era già spalancata. “Fai qualcosa, cazzo!” urlava una voce acuta, forse quella di Omar, o forse quella di Teresa.
Si proiettò attraverso la porta.
Se avesse trovato solo una lite coniugale, pensò, avrebbe arrestato tutti, o forse li avrebbe uccisi.
Ma, ovviamente, Omar e Teresa erano inginocchiati vicino al corpo riverso di Moreno, mentre Mainardi, con gli occhi sgranati guardava la scena con il cellulare in mano.
“Toglietevi dal cazzo,” disse Sensi, spostando a viva forza il ragazzino. “Datemi una delle siringhe di Moreno,” aggiunse, poi.
“Ho chiamato l’ambulanza, capo,” lo informò Mainardi, mentre Omar gli passava una siringa nuova.
Sensi aprì la confezione del Narcan e tirò fuori una fiala. Riempì la siringa con il suo contenuto, poi la piantò senza tante cerimonie nella spalla di Moreno, passando attraverso il maglione e qualsiasi strato di abbigliamento sottostante. Abbassò completamente lo stantuffo, poi cadde sulle proprie chiappe, respirando come un mantice.
“Cristo,” ansimò.
“Cosa gli hai fatto?” chiese Omar, che era in piedi dietro di lui.
“Gli ho salvato le chiappe,” rispose Sensi. “Era in overdose, giusto?”
“Sì,” disse Teresa, che era ancora inginocchiata accanto all’uomo, in maglietta e mutande. Le mutande, notò Sensi con un certo raccapriccio, erano del tipo con uno spacco davanti.
Osservò la sua opera. Moreno era ancora privo di coscienza, e apparentemente non respirava.
“Fantastico,” borbottò Sensi, rivoltandosi per inginocchiarsi accanto a lui. “Merda,” aggiunse.
Fece una smorfia schifata, tappò il naso dell’altro e appiccicò la propria bocca alla sua. Dopo un istante tolse la mano dal naso, strappò la siringa dalla spalla e iniziò a spingere con forza contro l’esile torace del moribondo. Si chinò e soffiò altra aria.
“Ha l’epatite,” si sentì in dovere di informarlo, Omar.
Sensi soffiò ancora, continuando a spingere ritmicamente sul cuore dell’altro.
Finalmente Moreno spalancò gli occhi.
Sensi, sputacchiando, tornò a sedersi sulle proprie chiappe.
“Tanto perché tu lo sappia,” disse all’uomo ancora riverso a terra, “questa è una delle cose più schifose che io abbia mai fatto. E non parlo della tua bava.”
Moreno lo guardò con aria confusa, poi ebbe un brivido.
“Adesso andrai in astinenza,” lo informò Sensi.
“Cazzo,” disse l’altro, con voce impastata.
“Se pensi di aver avuto una giornata di merda non hai visto la mia.”
Moreno cercò di tirarsi a sedere.
“Capo, che cosa…?” iniziò a dire Mainardi, avvicinandosi con una certa cautela.
Sensi si rialzò. “Avevo la mezza idea che questo imbecille si volesse fare il buco dell’addio,” borbottò. “Qualcuno ha della Red Bull?” aggiunse.
Il citofono suonò.
“Dev’essere l’ambulanza,” offrì Mainardi, senza muoversi.
“Bene. Non credo che si siano accorti che il portone è scassato. Forse è meglio che apri.”
Teresa, intanto, stava insultando allegramente il suo uomo.
“Ehy, commissario,” disse Omar, toccando Sensi su un braccio. “Bella mossa.”
Sulle scale iniziarono a risuonare dei passi veloci. Un istante dopo un tizio della Pubblica Assistenza infilò la testa dentro.
“È qua l’overdose?”
Moreno, ancora sul pavimento, sventolò una mano in segno di saluto.
L’infermiere si guardò intorno con espressione smarrita.
“Gli ho fatto una fiala di naloxone,” spiegò Sensi, tirandosi indietro i capelli. Poi guardò l’orologio.
“Se ora permettete, avrei una bomba a cui badare all’altro capo della città,” aggiunse.
La mattinata stava prendendo una piega decisamente surreale.

2 commenti:

Luca Bonisoli ha detto...

...e poi dicono che gli statali non fanno niente... ^__-

Susanna Raule ha detto...

be', comunque è un caso eccezionale :)