martedì 5 maggio 2009

Sette, morto che parla - 7

[Carlotta, contrariamente ai miei timori, non disse niente dell’accaduto.
Da quel giorno in poi, in classe, iniziò a evitare il mio sguardo e sono certo che non rimanemmo più soli neanche un minuto fino alla fine dell’anno.
Non sono molto bravo a capire cosa frulla nella testa della gente, ma penso che si vergognasse.
Era un po’ come se ci fosse stata con me, non trovi?
Io, d’altronde, avevo nutrito per la prima volta la cosa.
Non l’anemico sostituto costituito dai gatti o dai cani. No, quello era vero nutrimento, per lei. Il terrore improvviso, la carne squarciata, l’estasi dei sensi… tutto quanto, l’intera faccenda, il servizio completo.
Alla fine dell’anno andai alle superiori. Liceo scientifico.
I miei non credevano particolarmente nel valore dell’istruzione e forse avrebbero preferito un professionale, tuttavia i miei insegnanti delle medie insistettero che ero portato per la matematica e così finii al Pacinotti.
Me la cavai senza infamia e senza lode, uscendo con cinquantadue.
La verità è che avevo altro per la testa.
Adolescenza, sussulti ormonali, pulsioni sempre più difficili da tenere sotto controllo.
Riuscii a rimanermene buono per gran parte di quel periodo, ma dentro di me qualcosa stava maturando. Era come se la cosa, l’entità, fino a quel momento se ne fosse stata in un bozzolo e ora fosse pronta a uscire.
Facevo sogni pieni di sangue, da cui mi svegliavo con le lenzuola impiastricciate.
Avevo iniziato a interessarmi della vita degli animali, delle loro abitudini di accoppiamento, del modo in cui uccidevano.
I miei compagni di scuola immaginavano che cosa avrebbero potuto fare con le ragazze. E anch’io.
Devo ammettere che la nostra idea di divertimento era alquanto distante.
Per fortuna non venni indotto in tentazione. Ora so che all’epoca non sarei stato pronto. Le ragazze non si interessavano a me. Ero troppo silenzioso, troppo tranquillo. Per loro ero uno sfigato all’ultimo stadio, o semplicemente una non-persona, qualcuno che nemmeno esisteva.
Malgrado questo, non temere, mai nessun bullo se l’è presa con me.
I ragazzi preferivano starmi alla larga.
Ammetto che durante le superiori organizzai qualche scherzo non proprio simpatico ai loro danni, ma queste sono piccolezze. Non ci furono mai feriti gravi e gli insegnanti non si accorsero mai che ero stato io.
Io ero il ragazzo magro e pallido in seconda fila, quello “dispari”, che era rimasto nel banco da solo. Per qualche motivo non ti stupisci, vero?]

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