mercoledì 13 maggio 2009

Sette, morto che parla - 28

Mi ero infilato un paio di jeans, una maglietta a maniche corte dei Joy Division e i miei zoccoli giapponesi da casa. Siccome alzano di circa quattro centimetri, in questo modo arrivavo al metro e ottantacinque. Non che io sia basso, ma Carmel è maledettamente alta e detesto fare la figura del nano.

Quando suonò al citofono ero già pronto con due bicchieri di Cuba Libre in mano. Una pecca dei sudamericani è che apprezzano un po’ troppo il rum.

Carmel salì le otto rampe di scale che portano al mio sottotetto in meno di cinque minuti e quando arrivò sbuffava ed era sudata.

«Ho pensato che facendoti ubriacare sarei andato sul sicuro,» esordii, osservando con attenzione il vestito di lino bianco che indossava.

«Mannooo,» mi rimproverò, lei, bonariamente, ma poi prese il suo drink. Si chiuse la porta dietro e si andò a sedere, leggiadra, sul mio divano rosso scuro. I capelli le ricadevano sulle spalle coperte da un velo di sudore, ed io pensai che se il mio serial killer subito prima di uccidere si sentiva come me in quel momento, potevo perdonargli la perdita di controllo.

Mi chinai e le baciai una spalla, prima di lasciarmi cadere a mia volta sul divano.

«Sono preoccupato, ecco cosa,” dissi, buttando giù un’abbondante sorsata di coca e rum. Come previsto era dolciastro e semi-inbevibile.

Lo appoggiai sul tavolinetto davanti a me e mi sdraiai su un fianco, andando ad adagiare la testa in grembo a Carmel. Il suo odore, il calore della sua pelle, mi davano le vertigini.

«Acomodati, eh?» rise lei.

La presi in parola e le accarezzai un seno rimanendo sopra al vestito. «Perchè non mi sposi?” proposi, ma non facevo sul serio. Almeno. Non proprio.

Lei rise ancora. «Commissario Ermanno Sensi…» mi prese in giro «…non dirme che vuoi meter la testa a posto?»

Non avevo mai capito con quale criterio deformasse alcune parole italiane e altre no, ma lo trovavo irresistibile.

Risalii lungo il suo stomaco, tra il solco dei suoi seni, fino a baciare quella sua bocca pazzesca dal sapore di miele.

«Sicuro. Comprare una casetta in campagna, buttare via tutti i dischi, prendere un cane da guardia da fare avvelenare ai ladri…»

La circondai con le braccia e iniziai a baciarle il collo.

«La campagna te materebbe dopo un giorno. Comprate una casa vicino a gli alberi e saprò che te vuoi ucidere!» rise lei.

Mugolai il mio assenso, mentre le infilavo una mano nella scollatura.

Poi, insidiosamente, fui colto da un pensiero.

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